Le tensioni coi 'vecchi', gli insulti per quel tiro da 35 metri, le partite vinte da solo: viaggio nel Novara di Bruno Fernandes
Due i registi ai quali ci affidiamo per raccontare al meglio da dove è partito, in Italia, il prossimo avversario del Milan in Europa League, in questo episodio speciale: il primo allenatore a Novara, Giacomo Gattuso, e il primo leader, Carlalberto Ludi. Chi lo seguiva dalla panchina, chi gli guardava le spalle in campo: Bruno Fernandes - Le origini, Bruno Fernandes Begins, chiamatelo come volete. Ma ecco come, da Novara, è partita la storia del fuoriclasse portoghese.
JACK - L'OCCHIO DEL MISTER
L’INIZIO - Il primo incontro, quello che non si scorda mai, nell'estate 2011, quando Bruno non aveva ancora 18 anni e arrivava dal Boavista: "Dal primo allenamento in cui si presentò a Novarello capii che con noi non c’entrava nulla: era troppo forte. Si vedeva da come toccava la palla, dalle giocate che faceva, da come si muoveva in campo e calciava. Capii subito che era davvero bravo, ma non perché io avessi un occhio particolare: chiunque lo avesse visto in allenamento l’avrebbe detto. Gli ho visto fare delle cose che poi non avrei più rivisto fare a nessuno. Era molto esile, questo era il suo unico difetto. Ma era così bravo che si è dato da fare, negli anni è migliorato anche in questo. Ancora oggi è più piccolo magari di altri, ma così forte e intelligente nelle scelte e nelle giocate, che sopperisce a tutto. Anche umanamente era proprio come era tecnicamente: sapeva quello che voleva, era venuto in Italia perché voleva fare il calciatore".
LA CHIAMATA IN B - Poi, come spesso succede, si sale insieme, a braccetto. Ed è così che Gattuso, Jack, ora allenatore del Como, dove ha Ludi come dg (ironia della sorte, ma forza dell'amicizia), si porta in prima squadra il giovane Bruno Fernandes: "Quando mi nominarono traghettatore della prima squadra, lo convocai subito: era come se giocasse da 10 anni coi grandi, non aveva paura di nulla. Era molto forte a livello mentale, non si accontentava mai: cercava e cerca ancora di migliorarsi costantemente, giorno dopo giorno".
L’ACCOGLIENZA - Il giovane di talento ma acerbo non sempre, in un contesto di classifica difficile, viene accolto alla grande: "Quando presi la squadra io eravamo in zona retrocessione, non era facile. Stavamo andando malissimo, lo chiamai alla prima partita e lo feci esordire, poi lo lasciai fuori e gli spiegai che non volevo bruciarlo. Lui lo capì subito, in un’intervista più avanti lo ricordò anche. Però, sul momento, un po' la soffrì. Io dopo qualche partita tornai in Primavera, lui rimase su, ma non giocava. Spesso veniva da me, al campo accanto a quello della prima squadra, triste perché non giocava. Io gli dicevo: «Tranquillo, sei forte e presto giocherai anche coi grandi». Infatti andò così, dopo qualche settimana iniziò a giocare, fece bene e arrivò ai playoff col Novara, prima che lo acquistasse l’Udinese in Serie A. I grandi, però, non lo accolsero bene. Ricordo che Ludi era infortunato, ma i primi tempi i più vecchi storcevano un po’ il naso: un giovane di 18 anni, in prima squadra in un momento complicato, era un rischio. Dopo i primi mesi qualcuno venne da me a dirmi che ci avevo visto lungo… Il tempo mi ha dato chiaramente ragione".
LE DIFFICOLTÀ - La storia di un campione passa da tappe bruciate a brusche frenate, con le quali imparare a ripartire: "A Novara, per via della grande qualità che aveva, gli davo molta libertà. Non aveva compiti tattici, doveva essere libero di giocare come e dove voleva per esprimere tutte le sue qualità. Provava e riprovava le sue giocate, aveva la possibilità di esprimersi perché riusciva a far diventare tutti bravi. Con Udinese e Sampdoria non riuscì a esprimersi, ogni tanto faceva qualche grande gol, ma in Italia l’aspetto tattico è più importante di quello tecnico. Lì non gli vedevo fare le sue giocate, era come se fosse ingabbiato. Ha fatto comunque dei grandi campionati, io lo seguivo spesso. Lo guardavo e pensavo: «Perché non riesce a fare quello che gli ho visto fare io?». Poi quando tornò in Portogallo rividi il Bruno che conoscevo, da mezzala fece 63 gol, poi anche allo United sto rivedendo i suoi colpi e le sue giocate. Non mi aspettavo arrivasse a segnare così tanto, ma le giocate che fa sì: sa sempre dove arriva la palla, vede il gioco prima. Io gli ho visto fare tante cose straordinarie in allenamento, era già un giocatore tecnicamente fortissimo, ma non mi aspettavo arrivasse così in alto".
OGGI - E ora la gloria, quella che ha portato Bruno Fernandes ad avere il Manchester United ai suoi piedi. Ci sono squadre che vanno al ritmo del cuore del proprio allenatore, ed è il caso del Como; e altre, invece, che vanno al ritmo della qualità dei propri leader tecnici: "Quando andò al Manchester United, mi ringraziò in qualche intervista. Lo scorso anno, verso maggio, ci siamo sentiti. «Mister, chiamami quando vuoi: mi fa piacere parlare con te». Poi, per come sono fatto io, non lo chiamo spesso, ma è un ragazzo di animo buono, che apprezza quello che avevamo fatto per lui. Quando eravamo a Novara e lui ormai era fisso in prima squadra, veniva spesso a salutarci sul pullman della Primavera in partenza per le trasferte. Lui aveva in mente solo di diventare un calciatore, aveva una mentalità superiore rispetto a tutti. Mi piacerebbe rivederlo in Italia, oltre al campione che è io ricordo un ragazzo semplice e giusto, veramente a modo. Ogni volta che lo vedo in tv mi emoziono, se dovessi incontrarlo anche di persona sarebbe bellissimo".
CHARLY - DAGLI INSULTI ALL'AMICIZIA VERA
PRIMO RICORDO - Quanti film sportivi hanno visto il leader della squadra accogliere il giovane/nuovo con diffidenza e astio? Tanti. Quanti, poi, hanno visto quella diffidenza trasformarsi in amicizia, vera amicizia? Tutti. Ed è andata così anche tra Ludi e Bruno Fernandes: "La prima cosa che mi viene in mente se penso a Bruno è una partita a Lanciano, una delle sue prime presenze. Gara complicata, eravamo in un momento difficile, lui entrò a 20 minuti dalla fine e la prima palla che toccò la tirò verso la porta da 35 metri. Ripeto, non da 15 ma da 35 metri. La palla finì a Pescara, tentò una giocata che poi non gli riuscì, ma questo testimonia il carattere e la personalità che aveva. Sul momento lo insultai, poi dopo qualche mese ero io a chiedergli di tirare da 35 o 40 metri, tutte le volte che voleva, perché faceva comunque la differenza".
ACCOGLIENZA TRA I GRANDI - Entrare in sintonia non è mai semplice, ma è necessario. Ed è da far capire con le buone o con le cattive: "Guardavamo la situazione con sospetto e curiosità. Era un momento delicato, puntare su ragazzo giovane, di appena 18 anni, che ancora si doveva esprimere era un azzardo. L’adattamento a un gruppo di Serie B non era in linea al momento che stavamo vivendo. Lui si cambiava accanto a me, uno dei primi giorni gli feci capire come ci si comportava in uno spogliatoio di grandi. Ci furono anche attimi non di tensione, ma delicati. Lui con grande umiltà si mise in discussione, disse anche a Jack che forse non era ancora pronto, ma poi bastarono due parole e capì subito tutto. Era un ragazzo di un’educazione straordinaria, da quel momento in poi era accanto a me sempre. Le difficoltà che ebbe inizialmente furono un po’ per timidezza e un po' perché non conosceva le dinamiche dello spogliatoio. Poi diventò loquace e simpatico".
A NOVARA - E una volta stabilita la connessione, il campione, per quanto in erba, non può che far vedere di cosa è capace: "Non era di un’altra categoria, era di un altro mondo. In Primavera ancora di più, da noi non riusciva a esprimere sempre tutto il suo estro. Ma vinceva le partite da solo, lui e Seferovic con una buona squadra vincevano le partite da soli. Faceva delle cose incredibili dal punto di vista tecnico. Era davvero uno spettacolo giocarci insieme, io mi riscaldavo con lui prima delle partite perché legammo tantissimo e faceva delle cose non normali. Era 30 secondi avanti a tutti nel pensiero, è senza dubbio il giocatore più forte con cui abbia giocato. Già allora era così, adesso poi...".
LA CARRIERA - E Charly Ludi fa eco a Jack Gattuso, il nostro calcio gli ha ingabbiato il talento: "Le difficoltà con Udinese e Sampdoria? In Italia non è facile giocare, soprattutto per un giovane che ancora si doveva sviluppare fisicamente. Se avrei detto che sarebbe arrivato a valere 80 milioni? No, mentirei rispondendoti il contrario. Ma che avrebbe fatto una carriera così, questo sì. Aveva un amore per il lavoro e un atteggiamento straordinari, era sempre super disponibile. Non era presuntuoso, all’inizio semplicemente non conosceva le dinamiche di spogliatoio. Dopo i primi sei mesi all'Udinese, in cui non giocava molto, lo chiamai per dirgli di stare tranquillo e aspettare: «Datti tempo, sei appena arrivato in Serie A, ma arriverà il tuo momento». Mi rispose: «Charly, con voi ho vissuto un sogno, stavo in mezzo a calciatori con una grande carriera ed era già incredibile. Qua ancora di più, sono in Serie A e mai avrei pensato di arrivarci. Ma io sono più forte di questi, ne sono sicuro al 100%. Tra un po’ gioco e poi non esco più». Dopo due mesi iniziò a giocare titolare e, al netto di alti e bassi, in Italia non fece comunque così male. Si affermò come giovane centrocampista, una squadra importante come il Napoli lo voleva. Ma il modo in cui mi disse «Sono più forte e tra poco gioco», con grande onestà e senza presunzione, dimostra la sua qualità".
AMICIZIA VERA - E chi sale passo dopo passo, con umiltà e riconoscenza, il passato se lo porta dietro. Per questo, Bruno Fernandes, Novara non l'ha mai dimenticata: "Se è un fuoriclasse dal punto di vista tecnico, è fuori concorso dal punto di vista dell’umiltà. Un ragazzo così si fa fatica a trovarlo, penso a Faragò, un altro che ha avuto una buona carriera ed è molto umile. È il potenziale Pallone d’Oro nei prossimi anni, ma se lo chiamo domani mi risponde con una gioia fuori dal normale. Quando mi ritirai, mi fece un video per ringraziarmi di quello che gli avevo insegnato. Io gli dissi: «Grazie a te per avermi fatto vincere le partite». Poi mi commenta le foto su Instagram, è rimasto un bellissimo rapporto. Durante il lockdown di un anno fa ci siamo sentiti, lo volevo mettere in contatto con un altro ex compagno per un’iniziativa benefica. Lui era felicissimo, ricordava aneddoti degli anni a Novara che io stesso non ricordavo, per farvi capire il valore che dà all’esperienza fatta con noi. Tecnicamente io per lui stravedo, è uno dei centrocampisti migliori del mondo. Ma umanamente mi butterei nel fuoco per Bruno".
UN DOMANI… - E chi sa da dove viene, ha ben presente cosa vuole dal suo futuro. Per questo il ragazzino magrettino, ma pieno di talento, ha conquistato lo United: "Se avessi 100 milioni da investire? Bruno lo acquisterei subito, è il primo che prenderei. Gli darei le chiavi di tutto, gli farei fare anche il direttore sportivo e l’allenatore. Ci lega un rapporto di grande affetto, non ci sentiamo spesso ma gli voglio bene. È un giocatore fortissimo, ha cambiato radicalmente lo United, uno dei tre club più forti del mondo, questo dà l'idea dell’impatto tecnico che ha. È un giocatore totale, qualsiasi squadra tra le prime cinque al mondo, dal Real Madrid al Barcellona, farebbe bene a prenderlo. Lo dico con grandissimo orgoglio, senza paura di esagerare perché me lo dice la sua quotidianità. A volte si dice troppo facilmente, ma lui merita davvero tutto".
ORA IL MILAN - E ora, il destino, che sa sempre quello che fa, lo rimette sul percorso di un'italiana, da avversario e da giocatore top in Europa: "Non andrò allo stadio e non so se vedrò la partita in diretta, probabilmente - scherza - guarderò qualche serie tv con mia moglie che se no si arrabbia. Ma sicuramente la vedrò, magari ci sentiremo in questi giorni. Ho visto la partita di andata, la sua storia parla per lui: è uno dei migliori centrocampisti del mondo". E continuerà a parlare. E a emozionare. Come ha fatto lui con chi lo ha conosciuto a Novara. E a sorridere. Come fa il fuoriclasse Bruno vedendo il giovane sé.