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    Briegel racconta: "La birra a Maradona all'antidoping e l'arbitro amico di Platini"

    Briegel racconta: "La birra a Maradona all'antidoping e l'arbitro amico di Platini"

    Hans-Peter Briegel, roccioso tedesco classe 1955, è stato una delle anime del Verona di Bagnoli campione d'Italia nel 1985. Nel quarantennale di quello storico Scudetto, Briegel si racconta in un'intervista a Repubblica, di cui riprendiamo le parti più interessanti. 

    Briegel, sono 40 anni da quello scudetto al Verona. Primo pensiero?
    «Che la vita passa in un momento. E c’è questa parola, questa frase, come si dice, oh, un attimo, bitte (prende il telefono, smanetta su Google traduttore, ha trovato). Se non vuoi diventare vecchio, è semplice: devi morire prima! Ah ah ah…».

    Cos’eravate, voi di quella squadra?
    «Una cosa sola. Ci telefoniamo ancora quasi ogni giorno, e se solo potessi farlo con Garella, con Claudione, ah… Per vincere non devi avere i fuoriclasse, ma i più uniti. Quell’anno andarono in campo soltanto 14 giocatori: non potrà succedere mai più».

    Lei faceva tutto, anche i gol.
    «Una volta giocai persino di punta, ma segnavo comunque tanto. Nove reti nell’anno dello scudetto, da mediano».

    Il Verona di Osvaldo Bagnoli.
    «Parlava poco ma parlava giusto. Vigilia della prima partita, viene in camera e mi fa: “Tu, domani, Maradona”. Tre parole, e io rispondo con una: “Sì”. Poi esce senza salutare. La domenica marco Diego, faccio gol e vinciamo 3-1».

    Perché con Maradona eravate amici?
    «Ma io veramente gli avrò parlato cinque volte in tutto. Però, senta: dopo la finale del Mondiale dell’86 a Città del Messico, ci sorteggiano per l’antidoping. Siccome Diego non riesce a fare pipì, io gli passo una birra e allora il medico dell’Argentina urla “nooo!”. Pensava fosse dopata. Allora ne bevo un sorso e poi la do a Maradona. Fino al 2002, ogni Natale mi arrivava a casa un suo biglietto d’auguri, li conservo tutti. Credo mi stimasse perché non lo picchiavo come invece facevano gli altri».

    Ci parli di Juventus-Verona di Coppa dei Campioni a porte chiuse, 6 novembre 1985.
    «Diedero un rigore a loro per un mio fallo di mano del tutto involontario, e non ne diedero uno a noi, enorme, sempre per un mani, di Serena. L’arbitro era un francese, Wurtz, molto amico di Platini».

    Finale mondiale 1982, Italia batte Germania. Lei, in campo.
    «Eravamo stremati dopo i rigori contro la Francia tre giorni prima, altrimenti chissà. Azzurri fortissimi, certamente, ma noi avevamo sbagliato la preparazione: il cittì Derwall non ci fece allenare per i primi dieci giorni, diceva che eravamo stanchi dopo la Bundesliga, così perdemmo contro l’Algeria. Da quel momento, allenamenti… A Siviglia, la notte della semifinale c’erano 42 gradi. Arrivammo poi a Madrid alle tre e mezza del mattino, fuori c’era già il sole…».

    Lei perse la finale anche quattro anni dopo. Le pesa?
    «No, perché non potevo fare di più e l’Argentina era fortissima. Noi avevamo questo problema, come si dice? (Google traduttore: il gigante mostra il cellulare con la parola “ossigeno” sullo schermo). Poco ossigeno nel cervello, ecco, ma a 2.500 metri di altitudine correvo lo stesso come un pazzo. Non bastò».

    Il calcio lo guarda?
    «Tifo per la Germania, per l’Italia che è la mia seconda nazionale e naturalmente per l’Hellas e il Kaiserslautern. Vedo tutte le partite in tivù».
     

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