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  • Braida, l'uomo in più della Cremonese che non ama i riflettori: tra l'intuizione Sheva e quel contratto... nelle mutande

    Braida, l'uomo in più della Cremonese che non ama i riflettori: tra l'intuizione Sheva e quel contratto... nelle mutande

    • Alberto Cerruti
    Il suo nome incomincia per A e il suo cognome finisce per A. Ariedo BraidA ha la serie A nel suo destino e non è un caso che grazie a lui la Cremonese, dopo 26 anni, tornerà a giocare nei grandi stadi contro grandi squadre. E’ la dimostrazione che la migliore costruzione dal basso non è quella che in campo mette in difficoltà i portieri, ma quella dei dirigenti come lui, capaci di scalare tutti i gradini del calcio. Prima centravanti in provincia, con le maglie del Brescia, del Varese e del Cesena, poco appariscente ma sempre presente in area di rigore, Braida ha continuato a segnare anche dietro una scrivania, come direttore sportivo da Monza a Udine, passando con disinvoltura dal Milan al Barcellona, fino a quest’ultima tappa, incominciata a metà della stagione scorsa, come direttore generale a Cremona, all’alba dei suoi 76 anni portati con giovanile signorilità.

    Le qualità dell’uomo, mai coinvolto in una polemica, si sposano perfettamente con quelle del dirigente, discreto, competente e determinato. Discreto, perché Braida è sempre rimasto in seconda fila, lasciando la vetrina e i meriti agli altri, ieri Berlusconi e Galliani, il presidente e l’amministratore delegato del Milan, oggi Arvedi e Pecchia il patron e l’allenatore della Cremonese. Per questo tutti gli hanno sempre voluto bene, apprezzando lo stile di chi ha sempre preferito i fatti alle parole, rinunciando al contagioso fascino della popolarità.
    La sua discrezione, però, non basterebbe per spiegare i tanti successi se non fosse accompagnata da una seconda qualità, sempre più rara nel calcio e più in generale nel mondo di oggi, e cioè la competenza. Ricordare, per credere, il suo capolavoro ai tempi del Milan quando fu lui a capire per primo le qualità di Shevchenko, uno dei Palloni d’Oro arrivati a Milanello, come Van Basten, Papin e Weah, grazie alle sue segnalazioni. E infatti, senza la sua preziosa competenza, quando venne più o meno gentilmente messo alla porta da Barbara Berlusconi, il Milan si avviò a un triste declino, mentre lui veniva chiamato dal Barcellona. Una parentesi breve eppure utilissima, che gli ha fatto capire l’importanza di un’esperienza all’estero. Proprio per questo è stato lui a scegliere Pecchia per guidare la Cremonese, senza ascoltare gli amici che gli suggerivano altri nomi. Pecchia, come ha confessato in una bella intervista a “La Gazzetta dello Sport”, non conosceva Braida e rimase sorpreso quando fu chiamato da lui, proprio per il fatto che il dirigente gli riconosceva un’esperienza internazionale, anche di vita, in Inghilterra e in Giappone, utile persino in serie B e a maggior ragione adesso in serie A. 

    Discreto, competente e anche determinato, perché senza la sua insistenza Shevchenko, che inizialmente non convinceva  Galliani, non sarebbe mai arrivato al Milan. E non sarebbe nemmeno arrivato Rijkaard se in quella sera di contestazione dei tifosi portoghesi a Lisbona lui non avesse nascosto nelle mutande il contratto di cessione del centrocampista dallo Sporting Lisbona al Milan, per evitare che l’operazione saltasse. Una determinazione che ha trasmesso anche alla Cremonese nell’ultima decisiva settimana quando tutti pensavano che dopo la sconfitta interna contro l’Ascoli la promozione in serie A fosse ormai compromessa. E invece, con le sue parole e la sua esperienza ha fatto capire ai giocatori e ai tifosi che nel calcio non bisogna mai arrendersi. E mentre Galliani, a Perugia, non poteva ripetere l’urlo scudetto del 1999, proprio a Como, dove nel 1988 incominciarono i successi del loro grande Milan, il suo amico “Arieduccio” festeggiava la promozione della “Cremo”. Bastava leggere il suo cognome per capirlo, perché Braida incomincia per B e finisce per A. 

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