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Bologna: Delio e le storie tese
E’ la Bologna del pallone in versione social ad attaccare. Delio Rossi è il principale accusato. Questione di ruoli: “La gente fischia? - ha detto il buon Delio ieri dopo la sconfitta patita ad opera del Palermo - Ci sta: non potevamo certo aspettarci che ci lanciassero dei fiori”. I fiori qualcuno li ha persino preparati per fine stagione. I pessimisti non mancano mai: siamo già in B. Disfattisti, unitevi! Ma il principale imputato è Pantaleo Corvino. Che la partenza non potesse essere lanciata lo si era capito fin dall’agosto scorso, dai ritardi eccessivi con cui la squadra è stata costruita. Di fatto, Rossi è stato messo nelle condizioni di partire col piede sbagliato con il paradossale ritiro estivo, fatto di giocatori con la valigia, di altri sulla soglia (e poi alla fine rimasti…. Mancosu per esempio), di altri arrivati solo negli ultimi giorni.
Quella del tecnico riminese è stata una protesta troppo aziendalista. Si è chiuso nel silenzio, facendo ben capire la sua preoccupazione, giustificata, di uomo di calcio navigato.
Se dopo sette sconfitte, alcune delle quali (quelle interne con Udinese e Palermo) decisamente “sanguinose", il tecnico è ancora al suo posto, lo si deve al "mea culpa" della società. In primis di Corvino, che ammise a ferragosto i ritardi preoccupanti nell’allestimento, non riuscendo tuttavia ad accelerare le operazioni successive. In questo scenario per nulla sorridente, spicca pure la figura di un proprietario-presidente ricco e freddo. Signor Saputo, in questo gelo, offrire a tutti un bel punch caldo, no?
Quella di Delio Rossi sembra proprio una fiducia a tempo. Già corrono in città i nomi di sostituti, in tribuna nelle scorse domeniche si sono visti Zaccheroni e prima ancora Del Neri prendere appunti, mentre in queste ore i soliti bene informati (di solito bugiardissimi) dicono che il Bologna avrebbe già incassato il no di Guidolin e la titubanza di Donadoni. Fantascienza purissima, anche se sono le parole di Fenucci, spese ancor prima della sosta, a suonare come indizio: bisogna cominciare a fare punti. Col Palermo, il campanello d’allarme è suonato ancora più forte. Tanti giovani di belle speranze non fanno primavera: e i giovani, senza un qualche leader carismatico in campo, rischiano di perdere fiducia e piegarsi su se stessi. Il gol del Palermo ha stampato nel morale un pugno da ko. Ci sono state occasioni anche dopo, ma il contraccolpo negativo è stato evidente.
Ci si chiede: farebbe bene il mister a cambiare? A provare senza insistere ormai da tempo sui fedelissimi? C’è chi dice sì, chi no. A nostro modesto avviso, il modulo tattico dovrebbe cambiare. Rossi gioca rigidamente con la difesa a quattro, ma sugli esterni si collassa spesso e volentieri, perché il dispendio di energie dei “cinni” Ferrari e Masina non è comparabile alla loro esperienza a questi livelli. Tre indizi fanno una prova? Diawara “serve” Floro Flores nell’azione gol del Sassuolo (0-1); Masina in disperata ritirata spinge sui piedi di Zapata il pallone del ko interno con Udine; e ieri fa quasi lo stesso con Vazquez che smarca Gilardino disinnescato miracolosamente da Gastaldello. E allora, perché non provare la difesa a tre, alzandone il livello di esperienza, aggiungendo la qualità di Oikonomou e limitando l’usura degli esterni che cantano e portano la croce?
Considerazioni da bar, se volete, ma da bar Otello di una volta, ovvero da fulcro del tifo: in città se lo chiedono in molti. Vero che la fortuna ha un po’ voltato le spalle ai rossoblù, visto che il periodo nero coincide con l’infortunio di Giaccherini, arrivato per essere un uomo guida. Ma anche in questo caso, il tifoso contesta. Che il bravo esterno di origini marchigiane rappresentasse una scommessa lo si sapeva da un anno. Un anno travagliato, il suo, in Inghilterra. E ancora si contestano giocatori bravi troppo presto usciti dalla rotazione del tecnico. Crisetig, per esempio, epurato non appena è sbocciata la passione di Rossi per il talentino Diawara. Anche a centrocampo qualche mugugno, perché non abbiamo ancora capito quale fascia sia territorio di Rizzo e Donsah, di che pasta sia fatto Brienza (che ha età ed esperienza ma non sembra calato nei panni del leader carismatico) e perché mai il povero Mounier debba svariare così tanto, finendo sempre o quasi la benzina prima del gong.
Non è finita: c’è il capitolo Destro. Non si sblocca. Ma il fiato sul collo della stampa locale non lo aiuta. Col Palermo ha fallito di testa un’occasionissima. Non è lucido, per via delle responsabilità e poi ha poco sostegno, perché dietro di lui Mancosu e Acquafresca sembrano davvero poca cosa. Nel taccuino del tifoso bolognese, insomma, gli argomenti non mancano, alla vigilia di un match in casa del Carpi, che ha già il sapore dello spareggio.
Diego Costa