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    Blanco, imperatore azteco: gli spagnoli, l'invenzione della Cuauhtemina e quel gol al Bernabeu...

    Blanco, imperatore azteco: gli spagnoli, l'invenzione della Cuauhtemina e quel gol al Bernabeu...

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    “Se ve lo dico io potete fidarvi.
    Sono più di 30 anni che vado in giro per il mondo ad assistere a partite di calcio.
    Dove gioca il Messico ci sono anch’io.
    Che sia Copa America, CONCACAF e soprattutto Campionati del Mondo.
    Io ci sono.
    Nel 1986 ero uno studente di letteratura e i Mondiali si giocavano proprio nel mio Paese.
    Ricordo tutto, ma proprio tutto di quel Mondiale.
    C’erano fior di giocatori nella nostra Nazionale.
    Fernando Quirarte, Manuel Negrete e soprattutto lui, Hugo Sanchez, che in Europa aveva dato spettacolo con il grande Real Madrid.
    E ho visto tutti gli altri grandi giocatori che il mio Paese ha sfornato fino ad oggi.
    Ramon Morales, Jorge Campos, Rafael Marquez, Carlos Hermosillo, Jared Borgetti, Luis Hernandez, Luis Roberto Alves fino al Chicharito Hernandez.
    Tutti autentici fuoriclasse.
    Ma non ho un solo dubbio al mondo su chi sia stato il più grande calciatore messicano che io abbia visto con i miei occhi: CUAUHTEMOC BLANCO.
    Per tante ragioni.
    Non solo tecniche.
    Un condottiero autentico, nel massimo rispetto del suo nome di battesimo.
    Come Cuauhtèmoc è stato l’ultimo ad arrendersi agli spagnoli così il “nostro” Cuauhtèmoc è sempre stato l’ultimo a farlo su un campo di calcio.
    L’ho visto volere a tutti i costi la palla quando ai suoi compagni scottava terribilmente tra i piedi e qualcuno addirittura si nascondeva.
    L’ho visto inventarsi giocate incredibili capace di ridare vigore ai compagni e di scuotere noi tifosi sugli spalti.
    L’ho visto fare gol in tutti i modi possibili: di testa, di destro e di sinistro, in acrobazia, su punizione, di opportunismo a un metro dalla porta o con dei tiri pazzeschi dalla distanza.
    L’ho visto fornire palloni d’oro a compagni di squadra spesso stupiti e incapaci di reagire a regali del genere.
    Io c’ero in Francia quando il mondo intero scoprì “il salto del canguro” nella partita d’esordio contro la Corea.
    C’ero ovviamente anche pochi giorni dopo quando un suo gol in acrobazia ci permise di agguantare il pari contro il Belgio e di fatto rimanere in gioco in quei Mondiali.
    C’ero anche nel 2002 quando Cuauhtèmoc arrivò a quei Mondiali in condizioni fisiche pietose dopo le due tribolate stagioni in Spagna.
    Per fortuna il nostro Mister, il “vasco” Aguirre, sapeva bene che un condottiero è tale in ogni circostanza, soprattutto in quelle apparentemente più complicate.
    Fu suo il gol su rigore contro la Croazia che ci spianò la strada verso la qualificazione al turno successivo.
    C’ero anche quando lui non c’era.
    Nel 2006 c’è mancato poco che in Messico non scoppiasse una nuova rivoluzione !
    Quando si seppe che Cuauhtèmoc Blanco non avrebbe fatto parte della spedizione per i mondiali di Germania la gente scese in strada a manifestare contro il commissario tecnico Ricardo La Volpe e i suoi collaboratori, colpevoli di aver escluso l’icona assoluta del calcio messicano.
    Non ci fu niente da fare.
    “Témo” (così lo chiamiamo qui da noi) non giocò in quel Mondiale … ma incredibilmente fu presente in quello successivo … a 37 anni suonati !
    Non male per uno che quattro anni prima era stato giudicato finito …
    Non solo.
    Contro la Francia segnò, ancora una volta su rigore, il gol del definitivo 2 a 0, diventando così l’unico giocatore messicano ad aver segnato in tre diverse edizioni dei Mondiali.
    … che sarebbero con ogni probabilità diventate quattro se fosse sceso in campo ai Mondiali del 2002 in Corea e Giappone
    Scorbutico, arrogante, irascibile …
    Ma tutti lo abbiamo amato, tutti. Come un imperatore. Il nostro ultimo imperatore …
    Anche da chi come il sottoscritto tifa per il Chivas di Guadalajara.
    E sapete perché ? Perché Cuauhtémoc Blanco era lo sberleffo davanti ai dogmi del calcio moderno, fatto di fisici scultorei, di atleti tutti sopra il metro e ottanta, con pettinature all’ultimo grido, cerchietti tra i capelli e sorrisi da star di Hollywood. Cuauhtémoc invece aveva la pancetta da bevitore di birra, un collo taurino, un naso da pugile e le gambe corte. E in campo faceva quello che voleva … e quasi sempre lo faceva alla grande”.



    Cuauhtémoc Blanco nasce il 17 gennaio del 1973 a Città del Messico.
    Quando a 16 anni, durante un torneo giovanile, viene notato da Antonio Gonzalez, Cuauhtémoc non solo dimostra già grandi doti tecniche ma spicca soprattutto per il carattere mai domo, per la predisposizione al confronto fisico anche con avversari molto più dotati fisicamente di lui e per quel carattere combattivo e spesso spigoloso che sarà una costante nella sua carriera.
    D’altronde uno cresciuto nel Barrio Bravo di Tepito, uno dei quartieri più poveri e malfamati della capitale messicana, a quell’età ha già capito che farsi rispettare non è una scelta ma una necessità.
    Viene portato al Club América, la squadra probabilmente più prestigiosa di tutto il Paese e che gioca le sue partite interne nel suggestivo Stadio Azteca.
    Inizia il classico periodo di prova ma le cose non vanno certo come sperato dal giovane Blanco.
    Viene schierato in difesa, lui che vive già per segnare gol e mandare in rete i compagni.
    “Témo” dopo pochi giorni se ne torna a casa.
    “Vorrà dire che mi cercherò un’altra squadra. Di sicuro in difesa io non ci gioco”. Queste la parole del “Temo” al momento di abbandonare il Club.
    La sua ostinazione e il suo carattere non lasciano insensibili i dirigenti delle “Aguilas”.
    Blanco viene convinto a rientrare nei ranghi e spostato in un ruolo a lui più congeniale (all’ala ma con ampia libertà di manovra).
    A questo punto “Témo” inizia a mostrare appieno le sue grandi doti anche se quel fisico tozzo, senza collo e con il baricentro basso non entusiasma certo gli esteti del futbol.
    Gli viene offerto il primo contratto (tre anni di durata) e nel 1992 fa il suo esordio in prima squadra.
    Per oltre un anno però le sue apparizioni sono assai sporadiche e quasi sempre dalla panchina.
    Davanti a lui nelle gerarchie di squadre ci sono due autentiche glorie nazionali come Hugo Sanchez, appena rientrato in Messico dal suo indimenticabile soggiorno madrileno, e da un altro fantastico attaccante come Luis Roberto Alves detto “Zaguinho”.
    Nella stagione 1994-1995 arriva però la svolta.
    Sulla panchina del Club América arriva l’olandese Leo Beenhakker che non solo stravolge lo stile di gioco delle “Aquile” trasformandole in un team dal gioco spiccatamente offensivo, veloce e verticale ma utilizzando in attacco il giovane Cuauhtémoc Blanco a fianco del gigante “Zaguinho” e del neo-acquisto Omam-Biyik, il camerunense affermatosi ad Italia 90.
    Non si fermerà più diventando in poco tempo la star assoluta del campionato messicano e della sua Nazionale.
    Dopo una esperienza infelice e sfortunata in Spagna (Real Valladolid) qualche anno dopo ne affronterà un’altra, del tutto particolare.
    Si trasferisce negli Stati Uniti per giocare con i Chicago Fire.

    Per la numerosissima comunità messicana della città è una festa.
    Qui giocherà tre stagioni ad altissimo livello, deliziando i tifosi con le sue giocate estemporanee, con i suoi assist e i suoi gol.

    Al suo ritorno in Messico nel 2010, a 37 anni suonati, non solo Blanco decide di continuare a giocare ma lo fa con una squadra della Seconda Divisione messicana, nei “Tiburones Rojos” di Veracruz.
    … giocando ad un livello tale da meritarsi la convocazione per i Mondiali Sudafricani del 2010 … scrivendo un altro record: quello del primo giocatore messicano a disputare i Mondiali di calcio pur giocando in Seconda Divisione.
    Appenderà definitivamente le scarpette al fatidico chiodo solo nel 2015, dopo essere addirittura tornato in Prima Divisione nelle file del Puebla.
    Ma l’ultimissima partita ufficiale, e non poteva davvero essere diversamente, Cuauhtémoc Blanco la gioca nelle file del Club nel quale aveva esordito la bellezza di 24 anni prima … il CLUB de FUTBOL AMERICA.
    E’ una partita di campionato e di fronte c’è il Monarcas Morelia.
    Cuauhtémoc è in campo dall’inizio, con la fascia di capitano al braccio e il numero “100” sulla schiena.
    Ha esattamente 42 anni e 47 giorni.

    In campo però non va per una semplice passerella. Lotta, vuole il pallone tra i piedi come ha fatto per più di un quarto di secolo, imposta spesso l’azione, inventa giocate, assist … e solo la traversa gli impedisce di segnare un gol che lo consegnerebbe ulteriormente alla leggenda del calcio messicano. 
    Uscirà dopo 36 minuti di gioco … e la sua ultima giocata pochi secondi prima di chiedere il cambio e non poteva essere diversamente, è stata una Cuauhtemina.




    ANEDDOTI E CURIOSITA’

    Il “salto del canguro”, una delle giocate più singolari e spettacolari di Blanco in Messico viene chiamata, in onore del suo inventore, la Cuauhtemina.
    Ma cos’è esattamente ?
    E’ una giocata semplicemente pazzesca, unica e geniale.
    Quando Blanco si trova chiuso e pressato da due o più avversari stringe il pallone tra i piedi prima di compiere un balzo in avanti sempre trattenendo il pallone per poi lasciarlo nell’attimo in cui ricade a terra, controllandolo e ripartendo dopo aver lasciato sul posto i suoi esterrefatti avversari.

    Nel suo repertorio ci sono altre giocate assolutamente originali.
    I passaggi ai compagni effettuati con la spalla o addirittura con la schiena prendono il nome di “Jorobinha” mentre l’altra giocata con il suo marchio di fabbrica è lo stop effettuato con il sedere, chiamato “Nalguinha”.

    La mancata convocazione per i Mondiali di Germania del 2006 fu un boccone molto difficile da digerire per Blanco.
    Le ragioni di quella esclusione però vengono da molto lontano.
    Per un breve e infelice periodo infatti Ricardo La Volpe, allenatore amatissimo in Messico, si sedette sulla panchina del Club America.
    Il rapporto con Blanco fu assolutamente burrascoso.
    L’idea di calcio “collettivo” di La Volpe si scontrava clamorosamente con il calcio creativo, estemporaneo ma comunque anarchico di Blanco.
    Nel 1999, durante una partita di qualificazione per la Libertardores tra il Club America di Blanco e l’Atlas Guadalajara diretto proprio dal tecnico argentino. “Témo” segna e decide di festeggiare andandosi a coricare con un sorriso a 32 denti proprio davanti alla panchina del “rivale”.
    … che evidentemente non ha mai dimenticato lo sgarbo …

    Fece scalpore, per più di un motivo, il gol di Blanco al Santiago Bernabeu.
    Un calcio di punizione magistrale
    , che batté Casillas e permise al Real Valladolid di cogliere un insperato punto nella cattedrale delle “Merengues”.
    … talmente insperato che praticamente tutti i compagni di squadra avevano giocato la schedina mettendo il segno “1” sul loro incontro con il Real Madrid.
    Il gol di Blanco costò ai compagni di squadra qualcosa come 800 milioni di pesetas … non c’è da stupirsi se dopo il gol se ne vede solo uno correre per abbracciare “Témo” !

    Durante la Copa Libertadores del 2000 il sorteggio mette di fronte l’América di Blanco contro i colombiani dell’America de Cali.
    All’andata i messicani si impongono per 2 reti ad 1 e il gol decisivo è siglato proprio da “Témo” ad una manciata di minuti dalla fine.
    Prima della gara di ritorno in Colombia a Cuauhtémoc Blanco arrivano minacce di morte ripetute da parte soprattutto da componenti della “Barra Disturbio Rojo” dei colombiani.
    La cosa viene presa tremendamente sul serio dalle autorità e si arriva perfino a pensare di evitare a Blanco questa trasferta.
    Ipotesi che “Témo” non prende neppure in considerazione.
    Andrà in Colombia e giocherà quella importantissima partita.
    Al suo arrivo a Bogotà viene accolto con un chiaro avviso da parte della tifoseria colombiana: “Cuauhtémoc cabron te vas en un cajon”.
    La partita si gioca regolarmente.
    L’América vincerà per 3 reti a 2 qualificandosi per il turno successivo e Cuauhtémoc Blanco segnerà tutti e tre i gol per la sua squadra … uscendo dal campo tra gli applausi del pubblico colombiano.
     

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