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    Bielsa è una regola, viva Bielsa! Un gesto di fair play che va oltre il calcio

    Bielsa è una regola, viva Bielsa! Un gesto di fair play che va oltre il calcio

    • Furio Zara
      Furio Zara
    Bielsa, tutto il resto è noia. Tra dieci, venti, cinquant’anni ci ricorderemo tutti di quanto grande - e unico, e speciale - sia stato Marcelo Bielsa, detto "El Loco", ma se è matto lui allora è vero che il mondo (anche quello del calcio) verrà salvato dai matti (e per fortuna).

    La lezione di fair play che ha dato domenica pomeriggio - costringendo i giocatori del Leeds a far segnare quelli dell’Aston Villa perché «colpevoli» di aver fatto gol con un avversario a terra - ha tutte le premesse per diventare una buona novella, di quelle che racconteremo a chi pensa davvero che anche nel calcio ci sia posto per lo stile, l’educazione, il fai play.

    Ad aumentare il significato di un piccolo gesto rivoluzionario c’era l’importanza della partita. Vincendo, il Leeds di Bielsa - che partecipa alla Championship - sarebbe stato promosso in Premier League, ora invece dovrà passare per i play off.

    Non deve stupire che in Argentina Bielsa sia considerato alla stregua di un mito vivente, uno stregone, un uomo capace di tirare fuori il meglio da te. Uno che può confermarlo è Pochettino, il tecnico del Tottenham, che Bielsa ha formato come giocatore e come uomo. Quella per «El Loco» è prima di tutto una fede. Non si può rimanere indifferenti al suo fascino.

    Non è un uomo facile, come tutti i visionari indica orizzonti che non sono facilmente raggiungibili. «Rosarino» come Messi e Che Guevara, nonno tra i giuristi più importanti d’Argentina, padre avvocato, madre insegnante di storia, fratello ministro, ex calciatore (nei Newell’s Old Boys) che ad un certo punto - a 26 anni - capisce che non può fare meglio, perciò si ritira e comincia ad allenare.

    E visto che è un gioco, prende tutto sul serio. Quando allenava nelle giovanili del Newell’s Old Boys girava con un vocabolario sottobraccio, come un Nanni Moretti che non vuole fare danni («Chi parla male vive male»). Da allenatore - dopo gli anni al Newell’s Old Boys - ha vinto l’oro olimpico con l’Argentina (2004), ha fatto grande e bello il Cile (ricordate il 3-3-1-3?), è stato amato ovunque, tra Athletic Bilbao e Marsiglia, anche quando i rapporti sono stati tormentati, anche quando ha seminato di improvvisi e improvvidi addii il suo percorso. Basta un colpo di vento, per scompigliargli capelli e umore.

    Guardiola è convinto che Bielsa sia il più grande allenatore vivente. Non sappiamo cosa ne pensi lo stesso Bielsa. Una delle sue frasi preferite è questa: "Esiste la sconfitta che serve e la vittoria che non serve a nulla". Da più di trent’anni porta in giro per il mondo la sua idea di calcio. Come in tutte le cose, anche piazzando un terzino largo sulla fascia o chiedendo a un centravanti di fare un determinato movimento; Bielsa sta cercando di mettere ordine al caos del mondo. La lezione di stile dell’altro giorno ce lo fa amare ancora di più.

    E poco importa se sui social si scateneranno pro e contro, se verrà tacciato di essere un eccentrico o se qualcuno troverà una convenienza in quello che ha fatto. Bielsa è unico. In un mondo di allenatori fatti con lo stampino che ripetono a comando le stesse cose, Bielsa canta fuori dal coro. Basta questo per renderlo speciale. Nella vita, conta l’esempio che si dà. Viva Bielsa! 

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