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    Belodedici: la fuga d'amore per la Stella Rossa, la condanna a dieci anni di carcere e le due Coppe dei Campioni

    Belodedici: la fuga d'amore per la Stella Rossa, la condanna a dieci anni di carcere e le due Coppe dei Campioni

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    Me lo ricordo benissimo.
    Fin dal suo primo giorno di scuola.
    Quando entrò in classe insieme a tutti gli altri bimbi mi colpì immediatamente.
    Primo perché era almeno quattro dita più alto di tutti gli altri e poi perché era magrissimo, con una testa di riccioli che gli coprivano la fronte.
    Non piangeva e non cercava sua mamma.
    Stava dritto impettito, osservando con attenzione tutto quello che si muoveva intorno a lui.
    Gli sorrisi, gli dissi che sarei stato il suo maestro e gli dissi anche se con tutti quei centimetri avrebbe voluto fare il giocatore di pallacanestro.

    Rimase impassibile, accennando solo un mezzo sorriso imbarazzato.
    Non aveva capito una sola parola di quello che gli avevo detto.
    Il giorno stesso quando la madre tornò a riprenderlo al termine delle lezioni parlai con lei.
    Mi spiegò come stavano le cose.
    Lei era rumena ma il padre era jugoslavo.
    Si corresse.
    Non jugoslavo.
    Serbo.

    E in casa si doveva parlare solo la lingua paterna.

    Ma signora … qui siamo in Romania !” le dissi senza nascondere il mio fastidio.
    “Venga lei a spiegarlo a mio marito” mi rispose con un tono che pesava ancora di più di quelle parole già di per sé pesanti come macigni.
    Fu facile affezionarsi a lui.
    Sembrava un cerbiatto smarrito.
    A scuola ci metteva tutto l’impegno del mondo ma le difficoltà, soprattutto all’inizio, erano evidenti.

    Ci vollero più o meno due anni prima che potesse comunicare in maniera sufficiente con me e soprattutto con i suoi compagni.
    C’era un posto però dove si sentiva assolutamente a suo agio.
    Era nel campetto dietro la scuola quando si trattava di correre dietro ad un pallone.
    Bastava un semplice appassionato di calcio come il sottoscritto per capire che di talento quel ragazzino riccioluto ne aveva da vendere.

    … altro che basket …
    Io amo il calcio e faccio il tifo per la squadra della città dove sono nato.
    L’Universitatea Craiova.

    Non riesco più a vederla giocare spesso come vorrei.
    Non da quando sono venuto qui a Socol, sulle rive del Danubio ad un tiro di schioppo dal confine con la Serbia e a quasi 300 chilometri di distanza da casa mia a insegnare in questa scuola elementare.
    Non rimasi minimamente stupito quando più o meno dieci anni dopo vidi Miodrag Belodedici lasciare il Mineral Moldova Noua per venire reclutato dal Luceafarul Bucarest, praticamente il serbatoio dello Steaua, una delle due squadre del potere insieme alla Dinamo Bucarest … quelle gradite al regime e che in pratica si dividevano i trionfi.
    Aveva già tutte quelle caratteristiche che avrebbero contraddistinto il suo gioco negli anni a venire.
    Prima fra tutte quella incredibile capacità di “trasformarsi” a seconda della situazione di gioco. Quando c’era da difendere o da recuperare una palla sapeva essere duro e determinato ma appena ne entrava in possesso alzava la testa, muovendosi con eleganza e sapienza tattica.

    A 18 anni era già un titolare inamovibile dello Steaua che piano piano stava diventando una sorte di Nazionale rumena.
    Che una squadra così dominasse in patria ce lo aspettavamo tutti.
    Ma che potesse diventare una delle formazioni più forti d’Europa fu un’autentica sorpresa.
    Quando in semifinale riuscirono a superare l’Anderlecht, una delle grandi favorite di quella edizione, tutto il Paese fu preso da un’estasi collettiva.
    Lo Steaua rappresentava la Romania.
    La prima squadra dell’est europeo con la possibilità concreta di conquistare il massimo trofeo del continente dopo il Partizan di Belgrado che arrivò in finale venti anni prima ma senza riuscire a mettere la mani sulla Coppa dei Campioni.

    Quel 7 di maggio del 1986 la Romania intera si fermò. Tutti davanti al televisore.
    A dir la verità neppure i più sfegatati tifosi della squadra dei “militari” come veniva chiamata in Patria ci speravano più di tanto.
    Di fronte c’era il Barcellona che aveva eliminato la Juventus e che aveva giocatori del calibro di Schuster, Archibald, Carrasco e Alexanco.
    Qualcuno ci scherzava sopra dicendo che per la manutenzione del loro Nou Camp i catalani spendevano più che lo Steaua in stipendi ai calciatori !
    E poi si giocava in Spagna, a Siviglia, e anche questo era un fattore.
    Ma in Romania sapevamo anche che quei ragazzi non avrebbero regalato nulla e che comunque fare gol allo Steaua non era poi così facile.

    Mi accorsi che guardavo più Belodedici della partita.
    Quanta strada aveva fatto quel cucciolo smarrito del primo giorno di scuola !
    Adesso invece era lì, a lottare per portare in Romania il più grande risultato sportivo della nostra storia dai tempi degli ori di Nadia Comaneci alle Olimpiadi.

    Sono di parte lo so bene … ma nessuno mi toglierà mai dalla testa che se alla fine dei centoventi minuti di gioco gli spagnoli non erano riusciti a segnare neppure uno straccio di gol gran parte del merito andava proprio a “Belo” che aveva giocato una partita sontuosa, guidando la difesa alla perfezione.

    Si arrivò così ai calci di rigore.

    Il protagonista diventò il portiere Duckadam
    che parò tutti e quattro i rigori ai catalani.
    Allo Steaua fu sufficiente segnarne due per vincere il trofeo.
    … il quinto rigore avrebbe dovuto calciarlo proprio Belodedici … meglio così per le mie coronarie.
    I calciatori furono accolti come eroi al loro rientro.
    Per loro si aprirono tutte le porte possibili e immaginabili.
    Non esiste un governo al mondo che non cavalchi l’onda di un grande successo sportivo.

    La Romania non fu differente.
    Feste, riconoscimenti, premi.
    Sembrava che l’onda lunga di quel successo non si esaurisse più.
    Solo che Miodrag quando era proprio costretto a partecipare se ne stava sempre un po’ in disparte, sempre in un angolo o in seconda fila. Non lo vedevi mai vicino alle personalità del governo che si facevano immortalare a fianco dei nuovi eroi nazionali.
    Che era timido lo sapevo da sempre.

    Ma c’era qualcos’altro, qualcosa di più.
    Ma questo non potevo saperlo.
    Lo scoprii nell’inverno del 1988.
    Belodedici si era fatto fare dalle autorità il classico permesso per poter passare il confine.
    Il motivo era una visita ai parenti che vivevano in Jugoslavia.

    Solo che lui dalla Jugoslavia non tornò più.
    Lo scoprimmo dopo qualche tempo.
    Fu una vera e propria fuga d’amore.
    Ma non per la ragazza dei suoi sogni.

    No. Miodrag Belodedici aveva lasciato l’adorazione del suo popolo, gli agi della sua condizione di icona dello sport rumeno per coronare il sogno della sua vita, condiviso da sempre con il padre: giocare per la “sua” STELLA ROSSA di Belgrado.

    Ceausescu, già alle prese con un calo di gradimento importante da parte dei suoi compatrioti, lo prese come un vero e proprio tradimento.
    Dieci anni di prigione la pena comminata a Belodedici.

    Non solo. Una denuncia presso la FIFA per rescissione unilaterale e ingiustificata del contratto … contratto che pare fosse in realtà in scadenza e non fu mai messo a disposizione dallo Steaua agli organi competenti. La FIFA, guardandosi bene dall’indagare in maniera approfondita, decide di squalificare il povero Miodrag per un anno intero.

    Il suo sogno però era coronato.

    Sul finire dell’anno successivo iniziò a giocare per la “sua” Crvena Zvezda.
    Ormai in tanti ci eravamo affezionati a lui. 
    E così ci sembrò la cosa più naturale del mondo passare il confine almeno una volta al mese per andare ad ammirarlo a Belgrado, con i suoi nuovi colori nel meraviglioso Marakana.
    In fondo i chilometri sono solo 130.
    Ah dimenticavo. La scusa per poter passare il confine ? 
    Una visita ai parenti ovviamente !

    Nella Stella Rossa di Belgrado Miodrag Belodedic (la “i” gli fu aggiunta in Romania) arriva proprio mentre sta sbocciando una generazione di fenomeni.

    Tra i pali c’è un portiere agilissimo e spericolato come Stevan Stojanovic, in difesa c’è una roccia autentica come il difensore macedone Ilija Najdoski, in mezzo al campo un raffinato metronomo come Vladimir Jugovic e a supporto del centravanti Pancev (che lì in mezzo sembra un fenomeno pure lui) ci sono tre tra i più promettenti calciatori di tutta Europa: Robert Prosinecki, Dejan  Savicevic e Dragan Stojkovic.
    Belodedici rappresenta l’equilibrio, la forza nel gioco aereo e la grande personalità con cui organizza il reparto difensivo.
    E con i piedi “educati” che si ritrova è quasi sempre lui ad impostare l’azione.
    Una squadra così non ha rivali in Patria.
    Vincerà subito il campionato, quello della sua prima stagione a Belgrado.
    E’ il maggio del 1990.
    Nel frattempo la Romania sta cambiando pelle.
    La dittatura di Ceausescu è giunta alla fine dei suoi giorni. L’ex Presidente rumeno è stato giustiziato il giorno di Natale del 1989. 
    La Romania si è qualificata per i Mondiali “italiani” del 1990.

    Belodedici sarebbe fondamentale in un team che comprende calciatori del valore di Popescu, di Dumitrescu, di Balint, Camataru, di Lacatus, di un giovanissimo Raducioiu e soprattutto di Gheorghe Hagi, il Maradona dei Balcani.

    La sua fuga di meno di due anni prima però non è ancora stata assimilata e assorbita da un Paese che sta ancora affrontando un radicale cambiamento.
    La Federazione gli nega la possibilità di giocare quel Mondiale.
    La Stella Rossa però continua a crescere.

    In Patria non ha rivali ma è ora che l’Europa intera impari a conoscere una delle squadre con il più alto tasso tecnico del continente.

    Belodedici ancora non c’era quando il 9 novembre del 1988 la nebbia di Belgrado rinviò probabilmente l’appuntamento con la storia.

    Ma era tra gli undici titolari a Bari nel maggio del 1991 quando lui e i suoi compagni riuscirono finalmente ad alzare al cielo la “Coppa dalle grandi orecchie” dopo una finale combattuta ma francamente bruttina contro l’Olympique Marsiglia.
    Due sole squadre dell’est europeo sono riuscite a conquistare il più importante trofeo europeo per club: Steaua Bucarest e Stella Rossa di Belgrado.

    E in entrambe giocava MIODRAG BELODEDICI.


    … diventando il primo giocatore nella storia della competizione a vincere il trofeo con due squadre diverse.




    ANEDDOTI E CURIOSITA’

    Belodedici ha sempre ammesso la sua avversione per il regime di Ceausescu.

    “Socol è una piccola cittadina sulle rive del Danubio. La popolazione è sempre stata bilingue e qui ci sono sempre stati tanti slavi. Capivo fin da bambino che c’era qualcosa che non andava nel mio Paese. Vedevo i bambini sull’altra riva fare il bagno e giocare con i loro genitori. Da noi era proibito e spesso c’erano militari a controllare. Tutto nella Romania di Ceausescu era grigio, duro e difficile. Ci fu un periodo in cui ci furono diversi tentativi di superare il fiume per andare in Jugoslavia. Diverse persone vennero uccise e io stesso tornando da scuola verso casa dovevo passare 5 checkpoint dove potevano perquisirmi o chiedermi i documenti” ricorda oggi con amarezza l’ex difensore.

    Lo Steaua era in pratica la squadra dei militari e Belodedici risultava appunto come “militare” in una paese dove il dilettantismo di facciata era un obbligo.

    Per questo motivo la sua fu considerata una vera e propria “diserzione” e punita, nelle intenzioni di Nicolae Ceausescu, nella maniera così severa come detto poc’anzi.

    Di sicuro il povero Miodrag non poteva immaginare che la sua fuga da un Paese sull’orlo di una rivoluzione potesse essere solo un piccolo “contrattempo” rispetto alla tragedia che si svilupperà in Jugoslavia dopo pochi anni.

    Il 13 maggio del 1990 Miodrag Belodedici è in campo con i suoi compagni della Stella Rossa nella trasferta a Zagabria contro la Dinamo.

    La rivalità tra le due squadre è da sempre accesissima visto che spesso sono state proprio loro a contendersi il titolo. Ma stavolta in gioco c’è molto di più.

    Solo una settimana prima il partito di Franjo Tudman, l’Unione Democratica Croata, aveva vinto le elezioni svoltesi in Croazia, dando così una grande spinta al desiderio del popolo croato di fondare una Confederazione staccandosi dal potere centrale di Belgrado.

    La tensione sfociò presto in gravi incidenti tra le due tifoserie che si riversarono in breve sul campo di gioco. Protagonista suo malgrado il futuro milanista Zvonimir Boban, quel giorno capitano della Dinamo Zagabira, che reagendo ad un efferato attacco di un poliziotto ad un suo tifoso gli sferrò un calcio diventando l’emblema della rivolta del popolo croato e al tempo stesso un nemico giurato dei Serbi.

    In tutto questo Belodedici e i suoi compagni (protetti dalla polizia, quasi esclusivamente serba) fecero rapidamente ritorno negli spogliatoi prima di essere riaccompagnati a Belgrado con un aereo militare.

    … tra i 3.000 tifosi serbi che scatenarono gli incidenti di quel giorno c’era anche Željko Ražnatović, conosciuto in seguito come ARKAN, nome che diventerà tristemente conosciuto durante il conflitto jugoslavo di pochi anni dopo.

    Durante il percorso nelle competizioni europee per lo Steaua era impossibile accedere ad informazioni o video degli avversari. “Quasi sempre li vedevamo per la prima volta nel sottopassaggio prima di scendere in campo” ricorda divertito Belodedici. “L’unica volta fu proprio prima della finale con il Barcellona. Quelli dell’Ambasciata rumena in Spagna ci fecero avere alcuni video di partite del Barcellona. Da quelle immagini era difficile capire se erano meglio o peggio di noi e così fu una grande sorpresa accorgersi in campo che tra noi e loro non c’era una gran differenza ! E ad ogni minuto che passava cresceva la nostra autostima e aumentava la loro preoccupazione”.

    Al ritorno vi fu un’accoglienza incredibile per i giocatori dello Steaua e, come ricorda Belodedici, un’occasione unica per corroborare la validità del “sistema” e per altra propaganda politica.

    “Prima della cerimonia ufficiale ci venne detto che il Presidente Ceausescu gradiva che tutti ci presentassimo con i capelli corti” racconta sempre Belodedici “e che tutti noi, in ogni intervista, avremmo dovuto limitarci a dire “ABBIAMO SOLO SERVITO IL PAESE” …

    Dopo la delusione della mancata partecipazione ai Mondiali in Italia del 1990 Belodedici fa invece parte della spedizione ad USA 1994. Dopo l’impresa ai quarti di finale di eliminare l’Argentina di Batistuta, Simeone e Balbo, i rumeni affrontano nei quarti di finale la Svezia. I romeni sono i favoriti e probabilmente sentono la partita in tasca quando, in vantaggio per due reti ad una nei supplementari, agli svedesi viene espulso il centrocampista Schwarz. Invece il gigante Kennet Andersson riporta in parità le sorti del match quando mancano meno di cinque minuti alla fine.

    Si va ai rigori e stavolta Belodedici fallisce il suo tiro dal dischetto venendo imitato poco dopo dal compagno Dan Petrescu. Il sogno di una Romania tra le prime quattro del mondo svanisce.

    Allo scoppio del conflitto in Jugoslavia per Belodedici arriva un’importante offerta dal Valencia allenato da Gus Hiddink. Non saranno stagioni particolarmente brillanti per i “Che” e dopo due stagioni Belodedici si trasferirà prima al Valladolid e poi al Villareal per poi accettare la corte della squadra messicana dell’Atlante dove giocherà fino al 1998 prima di fare il ritorno in Romania nelle file dello Steaua chiudendo la sua carriera al termine della stagione 2000-2001 … vincendo il suo sesto titolo di Campione di Romania.

    Miodrag Belodedici ora lavora con i giovani per la Federcalcio rumena ed è davvero tanto il tempo che dedica al sociale in particolare dedicando tempo e risorse ai ragazzi con gravi disabilità.

    Infine la sua opinione su Gheorghe Hagi, il fuoriclasse rumeno con cui ha diviso i colori sia dello Steaua che della Romania. “Beh, dev’essere stata una cosa fantastica per lui giocare con uno come me !” afferma ridendo Belodedici.

    “Scherzi a parte. Hagi è stato un calciatore straordinario, uno dei più forti che io abbia visto su un campo di calcio. Non sapevi MAI cosa avrebbe fatto con la palla. Era capace di nasconderla, di rallentare e poi di ripartire di scatto saltandoti con una facilità estrema. E con quel sinistro faceva davvero quello che voleva …” ricorda ammirato Miodrag Belodedici, l’ultimo grande “libero” della storia del calcio.

    Come sempre la prima parte è frutto della “fantasia” dell’autore anche se creata sulla base di  interviste, articoli, racconti e video sulla carriera del protagonista.

    Stavolta però c’è qualcosa di ancora più vero.

    Da Socul partiva spesso una comitiva di amici di Belodedici che si recava al Marakanà di Belgrado per seguire le gesta del loro campione.

    Tra questi c’era effettivamente il suo maestro elementare.

    Un giorno però alcune immagini della partita della Stella Rossa vengono trasmesse anche dalla televisione rumena e purtroppo un’inquadratura coglie in pieno il maestro e gli altri amici di Belodedici che al loro rientro in patria si trovarono a fare i conti con la polizia e il susseguente divieto di nuove trasferte,

     … parenti da visitare o meno … 
     

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