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  • Baselli a CM: "Como ambizioso, qui la mia rivincita. Fabregas ha cambiato mentalità. Il selfie con Henry, Mihajlovic e l'Atalanta..."

    Baselli a CM: "Como ambizioso, qui la mia rivincita. Fabregas ha cambiato mentalità. Il selfie con Henry, Mihajlovic e l'Atalanta..."

    • Alessandro De Felice
    Rinascere e farlo su “quel ramo del lago di Como”. In provincia, lontano dalle luci della città. Rimettersi in gioco e lasciare la Serie A per accettare una nuova sfida. Scommettere ancora su se stesso. Perché a volte “perdersi è l’unico modo per ritrovarsi”. Quella di Daniele Baselli è stata senza alcun dubbio una scelta difficile quanto lungimirante. Le oltre 230 presenze nel massimo campionato fotografano il valore del classe 1992, che nell’estate 2022 ha deciso di ripartire da Como e dal Como. Sulle rive del lago, il prodotto del settore giovanile dell’Atalanta si è ritrovato attraverso un percorso fatto di gioie e dolori, passando da un infortunio grave al ginocchio fino a toccare il cielo con un dito nella notte del 10 maggio scorso, quando è tornato in ‘Paradiso’, in Serie A. Un traguardo meritato per un ragazzo che non ha mai mollato e che nel momento della scelta, di fronte a numerose offerte, ha deciso di credere nel progetto della società lariana e ha individuato in quello comasco l’ambiente ideale per rialzarsi dopo un periodo difficile.

    Ora Daniele Baselli si gode la Serie A, un traguardo raggiunto da protagonista nel pieno della maturità calcistica. Il classe 1992 si è ripreso il massimo campionato ed è pronto a mettere le proprie qualità tecniche e umane a disposizione di Cesc Fabregas e dei compagni di squadra nella prima stagione in Serie A del Como dopo ben 21 anni.

    A chi e/o cosa hai pensato dopo il fischio finale di Como-Cosenza?
    “Ho pensato un po' a me stesso. È stata un'emozione pazzesca. Non mi capitava di vivere una cosa del genere da tantissimi anni ed è stata anche una piccola rivincita per me. Ho provato tante emozioni che adesso non saprei neanche come descrivere. È stato troppo bello e troppo veloce perché ero lì che ero felicissimo e c’è stata l’invasione dai tifosi. È stato bello festeggiare con loro questa questa promozione”.


    Che sapore ha questa vittoria per la tua carriera?
    “Devo dire che è stato uno degli anni più intensi della mia carriera, non solo per la promozione: per come si è svolto il campionato e per come io arrivavo a questa stagione. Con un'altra operazione alle spalle, dopo essermi rimesso in sesto. Ho fatto un po' di fatica per i primi tre mesi. Poi una volta pronto, penso di aver dato un buon contributo alla squadra per il raggiungimento di questa promozione e sono veramente felice perché è stato tutto perfetto. La ciliegina sulla torta. Devo i miei compagni perché anche grazie a loro che ho trovato la forza di operarmi e di rimettermi in gioco. Naturalmente grazie alla società che mi ha sostenuto fin da quando sono arrivato”.

    Ci racconti la scelta di venire a Como?
    “Non è stato facile all’inizio, sono sincero. Dopo tanti anni in Serie A scendere in B non è mai semplice. Avevo alcune offerte dalla Serie A che però non mi allettava più di tanto. Cercavo un progetto importante ma allo stesso tempo un po' di stabilità perché avevo bisogno di riprendere e giocare con continuità e ritrovare me stesso dopo un po’ di fatica gli ultimi due anni in seguito all'infortunio al crociato. Però questo non deve essere alibi. Ho avuto delle difficoltà e parlando con il direttore ho capito che qua ci sarebbe stata l’opportunità giusta per rimettermi in gioco. il primo anno non è andata benissimo. Però poi nel secondo mi sono levato tantissime soddisfazioni”.

    La prima volta che avete parlato di Serie A nello spogliatoio?
    “Devo dire che comunque le ambizioni del club le conoscevamo già e quindi sapevamo che dovevamo puntare a fare qualcosa di importante. Però all'inizio parti sempre con i piedi per terra perché non puoi mai esagerare e dare false aspettative. Però devo dire che a metà campionato, con l'arrivo del mister Cesc (Fabregas, ndr) - senza nulla togliere naturalmente a Mister Longo, se non fosse stato per lui non eravamo in questa situazione - qualcosa è cambiato. Fabregas ci ha detto che a lui non interessava niente se non vincere, ma non attraverso i playoff. Ci ha trasmesso un po' della sua mentalità vincente. Da lì abbiamo capito che stavamo facendo le cose fatte bene e poi i risultati in campo arrivavano. Quindi ogni giornata che passava cresceva sempre più l'aspettativa e anche noi ci credevamo sempre di più. Penso che si sia visto attraverso a solidità della squadra. Nonostante qualche cambiamento a gennaio, abbiamo mantenuto la stessa continuità. Non era facile perché sappiamo che il campionato è difficilissimo. Però alla fine abbiamo avuto ragione noi e penso che sia visto che non siamo stati altalenanti ma sempre abbastanza continui. Non è facile durante una stagione”.

    Quando hai capito davvero che potevate farcela?
    “Nella partita contro il Cittadella qua (al Sinigaglia, in casa, ndr). Sul primo gol preso alcuni magari hanno pensato ‘Ci giochiamo i playoff’. Poi però la reazione che abbiamo avuto non è stata da squadra mediocre ma da grande squadra. Ci abbiamo creduto e comunque abbiamo dei valori importanti e alla fine si sono visti. È vero che alla fine siamo arrivati un po' carichi e con i nervi tesi, ma non era facile. In pochi hanno affrontato in carriera questo tipo di partite - io per primo perché nonostante abbia fatto tanta Serie A, non mi sono mai giocato qualcosa di importante come quest’anno - e quindi non era facile gestire. Ecco perché alla fine abbiamo avuto qualche difficoltà”.

    Da una parte un calciatore di livello mondiale, dall’altra un allenatore alle prime armi… Cosa ti ha dato Fabregas? 
    “Io ho avuto la fortuna di conoscerlo prima come compagno. Sappiamo tutti che è stato un fenomeno, ha vinto tutto. Un giocatore pazzesco con la che carriera parla da sé. Però devo dire che secondo me lui che è stato bravissimo a fare il cambio di mentalità da giocatore ad allenatore. Ha cambiato mentalità e ci ha detto chiaramente: “Sono stato vostro amico, ma adesso io sono il vostro allenatore”. Sono cose che ti fanno riflettere e ti fanno capire la mentalità vincente, di chi vuole veramente arrivare a raggiungere traguardi importanti”.

    Ci racconti la sua idea di calcio?
    “Sapevamo che lui viene da grandi club, con la filosofia della palla a terra e che non si butta. Ha sicuramente inserito qualcosa di importante e abbiamo provato a farlo nelle prime partite. Le cose riuscivano un po' sì un po' no. Difficoltà normali perché non è così scontato che si riesca subito subito a mettere in campo tutto quello provato in allenamento. Dopo un paio di settimane di lavoro è stato bravo a capire come funziona il campionato di Serie B e che qualche volta bisogna essere “brutti” e non sempre troppo belli. Questo cambio di mentalità e di modo di giocare penso che sia comunque sinonimo di allenatore forte. Non è scontato. Poi ha anche un grande staff alle spalle, hanno lavorato molto bene tutti”.

    C’è un un compagno di squadra che ti ha impressionato e che vedi proiettato già in una big?
    “Da Cunha penso che quest'anno si sia consacrato un po’ in Serie B. È vero che comunque deve misurarsi con la Serie A, ma penso che abbia dato un grosso contributo quest'anno e penso sia stato uno di quelli che si è fatto notare. Così come Odenthal che ha fatto tutta stagione quasi sempre tra i migliori. Penso che anche lui abbia delle buone prospettive”.

    Nel giorno della promozione ha già parlato di lavoro nella prossima: quanto è importante il lavoro di Fabregas dal punto di vista mentale? 
    “Quel video fa capire che non lascia niente al caso. Lui non va in vacanza, io ci scommetto. Vive di calcio, è malato di calcio e questo è meglio per noi perché comunque se abbiamo raggiunto questo traguardo importante è anche grazie a lui. Vorrei ringraziare anche il mister Longo. Lo conosco bene, ci ha dato tanto anche lui. Abbiamo fatto la preparazione con lui dove ci ha fatto lavorare tanto e si vedeva che stavamo bene atleticamente in campo. E ovviamente mister Roberts, anche lui fondamentale nel raggiungimento di questo traguardo”.

    Nel giorno della promozione c’erano Vardy ed Henry: eravate sorpresi? Avete scambiato qualche battuta?
    "Vardy l'ho visto solo dopo sui social, quando ho visto le foto di lui in tribuna. Con Henry, invece, ho  fatto anche un selfie. Però tutto lì è finito. Come fai a non fare un selfie con Henry? (ride, ndr) Non è che capita tutti i giorni di vedere un campione come lui a vedere il Como e addirittura premiarci per la promozione”.

    Com’è andata ad Ibiza? E com’è nata la scommessa con Fabregas?
    “Ma più che scommessa fu Cutrone a dire e che se avessimo conquistato la promozione il Mister ci avrebbe portato ad Ibiza. È successo e lui non si è tirato indietro. Io non sono andato ma ho sentito i compagni e mi hanno raccontato che è stato una giornata lunghissima… (ride, ndr). Si sono divertiti”.

    Cosa ti aspetti dal progetto Como da qui in avanti e già nella prossima stagione?
    “La promozione era un obiettivo fissato già da tempo. Poi naturalmente la proprietà non vuole fare il saliscendi, ma un campionato di livello, magari da metà classifica, tra il decimo e il dodicesimo posto. Sappiamo che non è mai facile fare un mercato con stranieri o prestiti. Comunque sappiamo che il campionato italiano è molto difficile e quindi sarà un bello da giocare. Penso che la società non vorrà stravolgere così tanto la squadra e ripartire completamente da zero”.

    In carriera hai vestito la maglia dell’Atalanta: ti aspettavi potesse arrivare a vincere un trofeo europeo? 
    “Me l’aspettavo, sì, vedendo gli ultimi anni perché si vedeva che era in continua crescita. Una società che punta a investire sul proprio lavoro. Investire sul mercato dopo aver venduto i giocatori non è assolutamente scontato. Io sono stato lì tantissimi anni fa ed era un po' diverso.  Noi dovevamo salvarci. C'era un altro tipo di di gestione. Devo ringraziare l'Atalanta se adesso sono qui e ho fatto la carriera che ho fatto. Arrivo dal settore giovanile e all’Atalanta ho fatto il mio esordio in Serie A e le mie prime partite. Mi hanno fatto diventare uomo, devo tanto al club”.

    Negli ultimi giorni Gasperini ha parlato di come può l’Atalanta ridurre il gap con le big: secondo te qual è la soluzione?
    “La sua Atalanta sappiamo che vive tanto sull'intensità e su una filosofia che si basa sul gioco uomo a uomo. Se sbaglia uno si rischia di perdere campo e subire gol. Basta che una giornata no o un periodo in cui la squadra è un po’ sulle gambe e rischia di soffrire. Secondo me questo è un po' il problema durante l'anno dell’Atalanta. Poi vediamo che fa dei periodi in cui è ‘ingiocabile’, come abbiamo visto in Europa. Comunque non è scontato che vada in Europa e comunque vinca facilmente con squadre europee che lottano anche per il titolo nei loro Paesi. Poi il discorso è legato ad una rosa più competitiva. Deve avere più alternative anche in panchina e solo quello potrebbe essere il modo per livellare questo gap e arrivare a vincere uno scudetto”.

    Al Torino sei stato allenato da Sinisa Mihajlovic: qual è il ricordo più emozionante che hai di lui?
    “Ho un ricordo che custodisco con grande affetto anche se al momento non è stato così bello. Quando arrivò al Torino mi disse che ero un giocatore su cui voleva fare affidamento perché gli piaceva il modo che avevo di giocare e che avrebbe puntato tanto su di me. Le prime due o tre partite feci non benissimo e una volta in conferenza stampa arrivò dal nulla e mi insulto pesantemente. Io mi arrabbiai tanto e il giorno dopo andai da lui subito e gli dissi: “No, Mister, non così. Lo dice a me, non davanti a tutti”. Lui mi risponde: “Guarda, io devo trovare la medicina per te perché sei il più forte che ho qui. Quindi trovare la medicina per farti svoltare”. Da lì feci la mia stagione migliore. Era un grande motivatore, sapeva di calcio e devo dire che mi ha cambiato la carriera. Rinnovai col Torino, anche se avevo tante richieste dall’Italia e dall’estero. L’estate successiva mi chiamò e mi disse: “Ti prego resta con noi. Facciamo una squadra importante”. Ero legato a lui, dovevo ringraziarlo per la stagione mi aveva fatto fare e mi sembrava doveroso rimanere a Torino con lui anche un altro anno”.

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