Timossi: lady Barbara, questo non è un calcio per donne
Ho sempre creduto nella parità dei sessi: un idiota è un idiota e un’idiota è un’idiota, non importa se sia uomo o donna. Stesso discorso per le genialità, merce piuttosto rara, anche nel nostro mondo e nel sottouniverso del pallone. Non mi piace giudicare, preferisco osservare le sfumature. E in questo momento non mi pare ce ne siano, di sfumature, nei personaggi del pallone. Meglio mettersi in uniforme: ieri le bermuda del cerchio magico di Berlusconi; oggi la camicia bianca dei ragazzotti che guidano la sinistra europea; ieri e oggi il lusso sguaiato dei padroni e padroncini del calcio italiano. Ho sempre creduto nella parità dei sessi, penso pure che la donna abbia un’intelligenza più sofisticata e un’eleganza più naturale. Ora la mia esperienza (quella che farà dire a un altro dei nostri lettori che la devo smettere di raccontare gli affari miei perché non interessano a nessuno) che mi dice? Mi dice che nel mondo del calcio italiano la parità dei sessi non esiste. Non credo accada solo in Italia, ma non è un buon argomento per un’eventuale difesa. Seguiteci e probabilmente vi convincerete che non ho torto. In principio fu Luciano Gaucci che nel suo satellite di squadre lanciò la prima allenatrice donna. E che per il suo Perugia pensò di ingaggiare una calciatrice femmina dopo aver ingaggiato mezzo continente asiatico. Carolina Morace, l’allenatrice e già campionessa, venne chiamata perché donna, non perché più brava di un collega uomo. A fermare la “trovata pubblicitaria” di Perugia ci pensò l’allora allenatore Serse Cosmi e qualche probabile difficoltà del tesseramento. Cosmi è un buon allenatore, ma è pure un uomo libero. E liberamente capiva che quella scelta di genere era solo un orribile inno al sessismo.
Il discorso è diverso se si parla di presidenti, dirigenti e procuratori. Ci sono donne, tornado alle sfumature, che hanno saputo imporre la loro personalità, come fece Rosella Sensi alla Roma, in un mare di difficoltà, senza snaturare il suo stile. Altre l’hanno seguita sulla stessa strada, molte invece hanno perso le sfumature. Prendete Barbara Berlusconi, vicepresidente del Milan e amministratore delegato in coabitazione (sempre complicata) con Adriano Galliani. Va bene, avrà pure pranzato con il presidente dell’Inter per parlare del nuovo San Siro, ma si è fatta soffiare il Milan da papà Silvio. Lei ci ha provato, ci proverà ancora. Dicono sia intelligente, ma credo che abbia dimenticato le sfumature che una personalità femminile può dare nella gestione di un gruppo. E’ un’arte consolidata dalle esperienze familiari dove il maschio (meschino) cerca sempre di ritagliarsi il suo ruolo subalterno. Invece Barbara ha imposto lo stile maschile alle sue decisioni: liti intestine, pugno di ferro, muso duro, roba che si potrebbe riassumere con quell’elegante slogan da caserma “adesso vediamo chi ce l’ha più lungo…”. Insomma, stile Berlusconi, tutta papà. Già, forse un’altra sfumatura non trascurabile arriva anche dall’immagine che l’ex tutto offre del suo rapporto con le donne (vedere vicende giudiziarie). Barba(ra)papà magari saprà smarcarsi, per ora non lo ha fatto.
Non è finita: credo che il peggio arrivi da un’altra categoria professionale, quella dei procuratori. Sono parecchi anni che alcune donne hanno iniziato a curare gli interessi dei calciatori. Silvia Patruno è stata tra le prime ad avere successo, “grintosa come un uomo” dicevano alcuni colleghi colmi di ammirazione. Appunto, come un uomo: non credo che il paragone andrebbe considerato un complimento. C’è invece chi come Ilaria Landini (figlia del roccioso Spartaco) ha saputo mantenere le giuste sfumature: intelligenza, preparazione e poi (ma solo poi) il fascino di una bella donna. Mi sarò perso qualcosa, ma mi pare che Ilaria abbia smesso di frequentare con assiduità le arene del calciomercato. Insomma, nel calcio italiano la parità tra i generi non c’è, è un pallone sempre malato di maschilismo. Dove un terribile abito gessato viene inseguito da uno spacco nella gonna troppo corta e troppo stretta. Dove a un vaffa gridato al telefonino da un procuratore che vuole farsi notare, segue un vaffa gridato al telefonino da una procuratrice che vuole farsi notare. Dove se non sei qualcuno cerchi disperatamente di sembrare qualcuno. Dove uomini e donne cercano di sentirsi uguali guidando fuoristrada con i vetri oscurati, che andrebbero bene per la Parigi-Dakar e che invece parcheggiano ovunque davanti agli hotel del calciomercato milanese. Credo che un fuoristrada così ce l’abbia anche l’editore (illuminato) di questo sito. Mi ha promesso che guarirà.
Giampiero Timossi (giornalista Il Secolo XIX)
Su Twitter: @GTimossi
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