Balotelli story: dalla malattia all'Inter, sino al sogno sul tetto d'Europa
Lo vedi così, mezzo nudo che festeggia i due gol alla Germania - pugni chiusi e posa da culturista, fisico scolpito che sembra esplodere - e fai fatica a credere che vent'anni fa il piccolo Balotelli non era Super per niente. Che Mario Barwuahy soffriva. Piccino, mingherlino e debole. Malato. Solo. Che ha trascorso il primo anno di vita in ospedale, operazioni, cure, sofferenza.
Già, questo è il destino di Mario, da sempre: non è come lo vedi, c'è sempre qualcosa che ti inganna, un passato che non conosci, un pensiero troppo intimo per capirlo, un vissuto difficile che non ha niente a che vedere con i luccichii di adesso, riflettori, auto di lusso, belle donne. Per conoscere - o almeno provarci - e capire veramente Mario, questo buffo ragazzone di colore che parla con accento bresciano, bisogna conoscere e capire la sua storia, le sue debolezze, le sue difficoltà. E ripartire da lontano.
UN ANNO DI OSPEDALE
Dal 1988, quando Rose e Thomas Barbwuah lasciano il Ghana e vengono a cercare fortuna in Italia. Palermo, quartiere di Borgo Nuovo. È qui che, il 12 agosto 1990, la coppia di immigrati dà alla luce il primo figlio. Mario è un bambino vispo che però non sorride, si lamenta. Non sta bene. E il responso dei medici è devastante: malformazione all'intestino, bisogna intervenire chirurgicamente e poi c'è bisogno di cure delicate, controlli. E dodici mesi di ricovero in ospedale.
Rose e Thomas non sanno che fare. Soldi non ce ne sono, lavoro nemmeno, difficile andare avanti. Decidono di trasferirsi al Nord, a Bagnolo Mella (provincia di Brescia), dove però non è facile trovare un'abitazione e l'unica soluzione è vivere in un alloggio fatiscente da condividere con un'altra famiglia. Si rivolgono agli assistenti sociali per chiedere aiuto.
«Case per noi non ce ne erano - ha raccontato qualche tempo fa la madre di Mario - in compenso, avendo saputo che avevo un bimbo malato, mi dissero che sarebbe stato meglio affidare mio figlio a qualche famiglia della zona. Furono gli assistenti stessi a indicarci i signori Balotelli». Versione che però, nel 2008, il giocatore ha smentito con un comunicato: «Il mio affido l'ha deciso il Tribunale dei Minori di Brescia, con decreto firmato anche dai miei genitori biologici (che ora sostengono di essere stati ingannati)».
La famiglia Balotelli vive a Concesio, pochi km di distanza da Bagnolo Mella. Franco e Silvia hanno tre figli - Corrado, Giovanni e Cristina - e accolgono il piccolo Mario, che ormai ha due anni, con amore, chiedendone subito l'affido (che verrà rinnovato ogni due anni fino alla maggiore età perché la famiglia originaria non ha mai dato l'assenso all'adozione). Mario cresce con i nuovi genitori e li fa suoi.
Diventa Balotelli. Si sente Balotelli. Anche perché Rose e Thomas Barbwuah - che poi avranno altri due figli, Enoch e Abigail - spariscono definitivamente («Per 16 anni non ho nemmeno ricevuto una loro telefonata nel giorno del mio compleanno - li ha accusati SuperMario - Con loro, dai 2 anni in poi, non ho mai vissuto»).
FUORI ROSA A 7 ANNI
Mario Balotelli cresce e si appassiona al calcio, anche se mamma Silvia preferirebbe vederlo giocare a basket. Con il pallone tra i piedi ha talento e la sua prima squadra, a 7 anni, è quella del San Bartolomeo. Ma dopo poche settimane lo lasciano a casa perché fa fatica a rispettare le regole, si ribella e le mamme degli altri ragazzini si lamentano. Mario così va a giocare all'oratorio di Mompiano.
Dribbling, gol, assist, diventa immarcabile e lo notano le società di mezza Lombardia che poi, però, ripetono lo stesso ritornello: «Bravo, ma il carattere...». Solo il Lumezzane ci crede. E quando, a 15 anni, Mario gioca una partita di allenamento contro la prima squadra, l'allenatore Sandro Salvioni resta incantato. Fa chiedere una deroga alla Figc e lo fa esordire in Padova-Lumezzane, serie C. Prima esperienza da calciatore vero, ma anche l'impatto con il lato ignorante del football italiano: dalle tribune arrivano fischi e buuuu. Mario, dopo aver conosciuto la malattia e l'abbandono, conosce il razzismo.
L'INTER
Il calcio, invece, inizia a conoscere un talento puro, cristallino, pur imprigionato in un carattere difficile. Balotelli si presenta all'Atalanta per un provino. A metà partitella, quando l'arbitro fischia un fallo, Mario gli gli sputa addosso. Scartato. Va meglio con l'Inter e Moratti mette il giovane Balo sotto contratto, lo cresce, lo lancia in serie A e poi lo vende al Manchester City.
Mario diventa SuperMario in campo, pur dovendo dribblare polemiche e ingenuità fuori dal campo. Perché Balotelli di cazzate ne ha fatte, ne fa e ne farà ancora - anche se spesso vengono ingigantite -, ma non certo perché è uno sbruffone, un arrogante o un furbetto.
No, è semplicemente un bambinone alle prese con una realtà troppo grande. E ogni volta che ci viene da pensare male di lui, ricordiamoci la sua storia e riguardiamoci le immagini in cui bacia mamma Silvia dopo la vittoria con la Germania. Il vero SuperMario è questo, senza barriere e senza paure.