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Baggio, il drammatico racconto della prima operazione al ginocchio: 'Il trapano, le graffette, dissi a mia mamma...'
IL NUMERO 10 - "Difficile essere il numero 10? Si, lo è sempre stato. Era già complicato ai miei tempi. Eravamo sempre discussi. Zola, ad esempio, per giocare è andato a Londra. Ora ce ne sono di meno, sono un genere in via di estinzione. Bisognerebbe stare dentro il mondo del calcio di oggi per capire le ragioni di questa eclissi della fantasia. Io non ci sono. So solo che per me quel numero corrispondeva al desiderio di fare le giocate, di inventare, di sentirsi liberi".
LA FANTASIA NEL CALCIO - "Quando giocavo in nazionale sono uscito dal mondiale e non mi hanno più convocato. Sembrava che il calcio non avesse più bisogno di fantasia, che considerasse l’estro un reato. Tutto era finito in mano alla tattica. Le partite non le vincevano più i giocatori, le vincevano gli allenatori".
I MODELLI - "Sentimentalmente Paolo Rossi. Lui giocava a Vicenza, la mia città. E io andavo in bicicletta con mio padre a vederlo. Ed era sempre uno spettacolo. Dal punto di vista del gioco mi innamorai di Zico. Lo sognavo di notte".
I MONDIALI DEL '94 - "La partita che vorrei rigiocare? La finale dei mondiali del 1994 a Pasadena, Italia-Brasile. Non la posso dimenticare. Quella sì vorrei rigiocarla. Siamo arrivati un po’ cotti, avevamo fatto i supplementari con la Nigeria e mezz’ora in più, a quelle temperature, ti stronca. Se fossimo stati più lucidi forse sarebbe stata un’altra partita".
L'ERRORE DAL DISCHETTO - "Cosa ho pensato dopo l'errore dal dischetto? Cercavo un badile, mi volevo sotterrare. Mamma mia, mamma mia. Non si possono cancellare cose così. Quella partita, proprio Italia-Brasile, l’avevo sognata e immaginata tante volte quando ero bambino. Avevo tre anni ma la sconfitta del 1970 non riuscivo a dimenticarla. Volevo vendicare Riva e gli altri. Era il mio sogno, davvero. E quando è finita così mi è crollato il mondo addosso".
IL MOMENTO PIU' DIFFICILE IN CARRIERA - "Il momento più brutto della carriera? Il devastante infortunio subito nel 1985 con il Vicenza. Era come se mi fosse scoppiato un ginocchio. Un dolore impensabile, mi ha segnato per la vita e non mi ha mai lasciato. Quando mi sono svegliato dall’anestesia e ho visto come era ridotta la gamba mi sono sentito svenire. Mi hanno tolto il muscolo vasto mediale, quello che sostiene ginocchio e gamba, ed era come se mi avessero tagliato i muscoli e ridotto la gamba. Il mio braccio era più grande della mia gamba. Avevano fatto un buco nella tibia, con il trapano, allora unico modo in cui si poteva attraversare il muscolo. Per fissarlo nella parte esterna mi misero 220 punti di sutura con le graffette di ferro. Io non potevo prendere gli antinfiammatori perché ero allergico. Se dormivo non sentivo dolore, ma da sveglio era una tortura, avevo dentro qualcosa di incandescente. Piangevo tutto il giorno, non mangiavo. Ho perso dodici chili. Quando mi svegliai e vidi la mia gamba in quello stato dissi a mia madre che, se mi voleva bene, doveva ammazzarmi".