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'Baggio' Husidic: l'orrore della guerra in Bosnia, il veganismo, gli Stati Uniti e il nome dedicato al Divin Codino
Il padre Zarif è un grande appassionato di calcio.
Ai Mondiali del 1990 segue si la sua Jugoslavia ma si innamora follemente di un giocatore italiano dal talento purissimo e che porta un curioso “codino”. Si chiama Roberto Baggio e da quell’estate inizierà a chiamare così il figlio più piccolo Adis che con un pallone tra i piedi ci passa già gran parte del suo tempo anche se ha poco più di tre anni.
Ma tutto sta tragicamente per finire.
Le loro vite vanno letteralmente sottosopra. Come la Jugoslavia, una nazione che impazzisce accecata dall’odio etnico e religioso.
La Bosnia diventa uno dei campi di battaglia più cruenti.
Paesi interi vengono saccheggiati e distrutti, ci sono bombe e scontri a fuoco dappertutto.
La famiglia Husidic è musulmana e saranno quelli della loro religione a pagare il prezzo più alto tra gli oltre centomila morti e oltre due milioni di rifugiati. Vivono in una tenda insieme ad altri quindici persone. Intorno a loro c’è solo morte e distruzione.
Nel 1994, corrompendo una guardia con i pochi risparmi rimasti, (qualcuno dice in cambio della Mercedes del padre) la famiglia Husidic riesce a trovare una possibilità di fuga da quella guerra sempre più cruenta e spietata.
Arrivano in Croazia a Spalato dove trovano rifugio da vecchi parenti.
Stanno praticamente nascosti sei mesi per non svelare la loro provenienza e la loro religione. Poi scoprono che la Germania ha iniziato a dare asilo politico ai rifugiati della guerra nei Balcani.
Zarif e Zamira svolgono rapidamente le pratiche e poche settimane dopo inizia un altro viaggio. La destinazione è Amburgo, nel nord della Germania.
Lontano dalla guerra e dalla morte.
Sembra che il peggio sia alla spalle.
Non è così purtroppo.
Né per Zarif e Zamira che non riescono a trovare nessun tipo di occupazione, neppure quelle più umili, e non è cosi neppure per Alen e Adis che subiscono sistematicamente attacchi razzisti.
“Non c’era giorno che non facessimo a botte con qualche ragazzino tedesco. Ci odiavano, ci ripetevano di tornarcene a casa nostra e che la guerra non era un problema loro” racconterà Adis di quei giorni. “Ci odiavano e ci disprezzavano. La vita mia e di mio fratello era un inferno. Arrivammo a pensare che sarebbe stato meglio rimanere in Bosnia”.
Per loro fortuna, come capita in tante di queste storie, arriva un ancora di salvezza: è un pallone.
Alen e Adis sono discreti anche se non ci hanno certo potuto giocare tanto né in Bosnia e neppure in Croazia. Ma ad una ventina di chilometri da Amburgo c’è una squadra che si chiama UETERSEN che semplicemente accoglie tutti.
Ci sono tedeschi, figli di immigrati turchi e altri ragazzi provenienti dai più disparati paesi del globo. Alen e Adis ora hanno uno scopo, hanno quello che per ragazzi della loro età è fondamentale: essere accettati e sentirsi parte di qualcosa.
La crescita di Alen e Adis nella squadra è rapidissima. Diventano in breve titolari fissi. Il loro calcio, imparato nelle strade e nei cortili, è così immediato, creativo e soprattutto diverso da tutti gli altri. Si inizia a mormorare che presto qualche squadra importante possa interessarsi a loro.
Adis specialmente ha una buona tecnica, corre come un matto ma sembra sempre avere “tempo” sul pallone … caratteristica che solo quelli bravi posseggono. Ci sono vite però che sembrano non potere avere pace.
Quelle della famiglia Husidic sembrano esageratamente di questa categoria.
La guerra nei Balcani finisce e con la fine della guerra finiscono le sovvenzioni del governo tedesco per i rifugiati.
Occorre fare le valigie un’altra volta, l’ennesima.
Ma dove?
In Bosnia non era certo possibile.
Laggiù non c’era più nulla.
Un giorno Zafira sente quella che sembra poco più di una chiacchiera.
Canada e Stati Uniti hanno aperto le porte ad un numero chiuso di rifugiati dalla guerra. C’è da far domanda e poi sperare di essere tra quelli baciati dalla buona sorte. Per una volta le Dea Bendata si ricorda di loro.
La domanda per trasferirsi negli Stati Uniti è stata accolta.
Si apre una nuova pagina e con lei una nuova speranza.
“Il destino ce lo deve” continua a ripetere il padre alla moglie e ai suoi due figli.
“Sognavo l’America che vedevo in televisione in Germania” racconterà Adis “Baggio” di quel periodo. “Mi dissi che avrei provato tutti gli sport con la palla, compresi baseball e football americano. Non potevo essere più felice”.
All’arrivo però la situazione è molto diversa dai “sogni ad occhi aperti” di Adis. Per loro c’è un piccolissimo monolocale alla periferia di Chicago.Ai genitori viene detto che i loro diplomi sono poco più che carta straccia e il loro primo lavoro è quello di imbustare penne e matite in un freddo magazzino per pochi dollari l’ora.
“L’unica cosa che vedevo da quella casa erano i binari della ferrovia con i treni che passavano ad ogni ora del giorno e della notte. L’America era molto diversa da come l’avevo immaginata” racconta Adis.
Anche la lingua è un ostacolo non indifferente ma per una famiglia che ne ha passate quante la loro non rimangono molte cose che possano togliere il sonno. Il padre Zarif trova lavoro nell’edilizia. E’ un lavoro duro ma la paga è buona.
E intanto continua a imbustare matite e biro nel turno serale.
Anche la madre finalmente trova un lavoro adeguato presso i Laboratori Abbots.
Entrerà nella storia dell’azienda per non aver saltato un solo giorno di lavoro in diciannove anni.
E Alen e Adis? Vanno entrambi al college e Alen scopre ben presto di avere un grande talento nella Logistica. Diventa un eccellente intermediario con uno stipendio annuo che arriverà a superare i 200 mila dollari.
Adis però non ha pensato che ad una cosa: il calcio. Al college si conferma uno dei più forti.
Nel 2003, quando ha ancora solo sedici anni, arriva anche per lui la svolta.
Durante una di queste partite nella squadra opposta “Baggio” si trova a fronteggiare Ian Sarachan, il figlio dell’allenatore dei Chicago Fire, Dave Sarachan.
Il ragazzo racconta entusiasta della prova di Adis e il padre, dopo averlo visionato, gli offre un contratto con la squadra giovanile dei “Fire”, i “Sockers FC”.
Lì rimane per meno di un anno prima che arrivi un contratto con i Chicago Fire di tre anni.
Anche Adis ce l’ha fatta.
Il suo stile di gioco è ammirato da tutti. Fa da baluardo davanti alla difesa, ruba palloni e poi li distribuisce con intelligenza e rapidità. Si inserisce anche in attacco e non disdegna di andare a concludere. Ma è ancora una volta la sua freddezza in ogni situazione di gioco che fa la differenza.
Che Adis “Baggio” avesse carattere lo si era capito … ma quando al termine della stagione 2011 i Chicago Fire non gli rinnovano il contratto Adis non ci pensa un solo secondo. Invece di attendere il “Re-Entry Draft MLS” ovvero il ricollocamento dei calciatori senza contratto Husidic fa le valigie un’altra volta (sai che novità …). Stavolta la destinazione è la Svezia esattamente ad Hammarby dove giocherà una stagione prima di fare il suo rientro negli States.
Al suo rientro c’è però una novità, bella quanto inattesa.
A volerlo sono nientemeno che i Los Angeles Galaxy, squadra di punta del campionato MLS, con il popolarissimo Bruce Arena, manager dei Galaxy, che vuole a tutti i costi il ragazzo bosniaco.
Saranno quattro stagioni meravigliose per Adis che non solo avrà la possibilità di giocare a fianco di grandi campioni quali Steven Gerrard, Robbie Keane, Giovani Dos Santos, Landon Donovan e Ashley Cole ma anche e soprattutto di sollevare al cielo il trofeo della MLS CUP nel dicembre del 2014.
Adis “Baggio” Husidic chiuderà la sua carriera proprio nel Galaxy nel 2019 per iniziare la carriera di allenatore nei college e nelle Università.
Negli Stati Uniti ha trovato casa, lavoro, amicizie e stabilità.
La guerra è un ricordo lontano.
“Se ripenso a quello che ho visto e vissuto provo solo una profonda tristezza che torna prepotentemente fuori ogni volta che sento di una guerra in qualche parte del mondo. Solo chi l’ha vissuta sa quanto può essere terribile. Ma c’è una cosa che mi ha cambiato e che da quando ho fatto mia ha cambiato la mia vita e l’approccio alle cose.
Una frase di Nelson Mandela.
“Non sarai mai libero fino a quando non avrai perdonato”.
ANEDDOTI E CURIOSITA’
Una delle giornate più memorabili per Adis “Baggio” Hudisic fu sicuramente quella del 29 maggio 2016 nella quale disputò l’unico incontro della sua carriera con la Nazionale della Bosnia in un’amichevole contro la Spagna.
Molto bella la definizione che diede Robbie Keane, il grande attaccante irlandese e capitano dei Los Angeles Galaxy riferendosi al compagno di squadra Adis Hudisic.
“E’ difficile che Adis con il suo stile di gioco vinca il premio per il Miglior calciatore della partita … ma è ancora più difficile che sia lui il punto debole della squadra”.
Frutto di molta curiosità è anche la scelta alimentare di Husidic che da diversi anni è vegano.
“Durante la partita corro di più di tutti i miei compagni, recupero molto più velocemente e anche la mia muscolatura assorbe molto meglio la fatica. Dormo mediamente nove ore e mezzo per notte, ho una pelle bellissima e che non rilascia alcun odore. Mi ammalo molto raramente e sono sempre allegro e felice e potrei continuare per ore con i benefici”.
Durante la pausa invernale del campionato svedese Adis insieme alla fidanzata Kathleen decide di tornare in Bosnia per una visita ad una nonna che ancora vive laggiù. Sono passati quasi vent’anni da quando era dovuto fuggire con la famiglia attraversando risalendo il Paese fino a Spalato attraverso morte e distruzione. “C’erano corpi e resti di uomini uccisi dalle bombe dappertutto. Mio padre cercava di distrarci o di nasconderli alla vista mia e di mio fratello ma era praticamente impossibile” racconterà di quel periodo tragico Adis.
“Ci vorrà del tempo per dimenticare tutto, almeno un’altra generazione. Ma la Bosnia è la terra dove sono nato, è ancora bella e in fondo ero talmente piccolo che mi sono rimasti quasi solo i ricordi belli”.
Infine il soprannome: Baggio. “Beh, non ho proprio nulla in comune con lui! Ma mio padre ne era talmente innamorato che finirono per chiamarmi tutti così, anche e soprattutto qui negli Stati Uniti”.