Atalantamania: è andata bene all’Inter, perché con Zapata…
VUOTO A...PAREGGIARE- La Dea ha dimostrato comunque personalità e solidità, sia in difesa nel rincorrere un Politano spesso libero e un Perisic lesto, sia in attacco cercando le aperture e i varchi di Castagne per Ilicic e per beffare Handanovic. Ma la profondità, quella del possesso palla nell’area piccola nemica in cui l’Atalanta si è sempre laureata a pieni voti, ieri è mancata. Occasioni di Castagne e (incredibilmente sbagliata) del Papu Gomez a parte, la Dea si è vista più a lottare a centrocampo, in duelli infiniti con Asamoah. Del resto, anche il pareggio a reti bianche è un risultato insolito per la banda di Gasp (il secondo in campionato, dopo ben sei mesi e mezzo), ancora di più per una squadra che subisce sempre almeno uno o due gol e, miglior attacco di A, ne realizza minimo altrettanti. Ma la profondità mancava perché mancava Zapata: con lui in campo, alcune delle palle sulla linea fornite dai motorini esterni, sarebbero entrate al 90%, anzi, al 91%, il marchio di Duván.
ALL’ATTACCO DEL MERCATO- Oppure, potrei dire, ‘mercato per l’attacco’ o ancora ‘questo attacco al mercato’. L’Inter non ha potuto vedere coi propri occhi chi inizia a ritenere sempre più concretamente l’erede di un Icardi con la valigia in mano, ma la Dea una cosa l’ha vista bene: non solo non ha un sostituto all’altezza lì davanti, ma non ha proprio un sostituto. E competere per Coppa e Champions senza un secondo attaccante di peso in rosa è davvero una battaglia persa. O meglio, lo sarebbe per tutte le squadre, ma se ieri la Dea ha pareggiato è perché il suo fare squadra, l’insieme e l’organico, ha saputo colmare il vuoto in avanti. Kulusevski e Piccoli, lo dice quest’ultimo, sono ancora troppo piccoli e inesperti, ma Barrow, quel fuoco di paglia che esattamente un anno fa trascinava la Dea al settimo posto a suon di gol, adesso si è perso. Ma non solo lui però, anche le palle che passano sui suoi piedi. Altro che titolare dal 1', difficile dire cosa non sbagli, facile il contrario: i movimenti, le accelerazioni, gli stop, la gestione della palla, gli scatti verso la porta, i passaggi. Se sia un problema di testa nel post di un entusiasmo che l’aveva scambiato per un 'gabbiano' invece che un 'gambiano' dodici mesi fa, ancora non si sa. Di certo, ora somiglia più alla ‘Storia di un gabbiano che disimparò a volare’.
E POI…L’EMPOLI- Di certo in questi quaranta giorni Gasp e i suoi pregheranno il cielo perché Zapata non li lasci soli. Trattenuto il respiro per un’ammonizione non pervenuta al diffidato mago-genio-professor-ogni epiteto è anche un eufemismo per le magie regalate a San Siro-Ilicic, adesso c’è l’Empoli ad attendere una Dea in piena Champions. Ma non si sa se esserne felici in quei di Bergamo, dove il rendimento in casa e con le piccole cala e dove il valido team di Andreazzoli andrà a raccattare punti salvezza. Come col Bologna, conterà la testa, la grinta, la determinazione-anche quando i crampi chiamano- degli 11 messi in campo al Meazza. Manca una settimana abbondante al match-day, la Dea deve ricaricare le pile, perché quel 15 aprile sarà anche a -10 dalla semifinale. Il morale che scaturirà da quel tabellino influenzerà molto-inutile dir di no dopo l’esperienza Copenaghen- gli obiettivi futuri della Dea. Che deve puntare in alto, a quella musichetta, per cadere- in ogni caso- tra le stelle.