Astori, giornate di lacrime e brividi. Badelj l'oratore dei ricordi, poi la magia
Capisci che sta per accadere qualcosa di speciale. Milan Badelj sale davanti al leggio, dopo che la funzione ha potuto udire le parole rotte dal pianto del fratello Marco. Ci mette un po’ per iniziare, il fruscio della carta risuona nelle casse. “Inizio dal tuo nome, in ebraico significa amato, diletto. Vedendo quante persone si sono raccolte oggi, il nome è quello giusto”, recita il croato interpretando la lettera della squadra. Legge in un italiano praticamente perfetto, dettato da un dolore che riesce a stabilizzare e controllare.
CON IL CUORE – “Tu sei quello – continua Badelj – che pur non sapendo le nostre lingue è riuscito a parlare a tutti noi, tenendoci uniti e indicandoci la strada, perché tu hai il dono della lingua universale del cuore”. Fuori c’è silenzio, la sincerità della voce monopolizza l’attenzione. Rifiata, con fatica, e riparte: “I tuoi genitori devono sapere che non hanno sbagliato niente con te”. Applausi. “Avere te al fianco ti fa sentire al sicuro: tu, designer di fama mondiale e calciatore nel tempo libero, come amavi definirti. Tua figlia, crescendo, deve sapere che suo padre è un uomo con la U maiuscola”. Si ferma, spiega che racconterà un aneddoto che conoscono i compagni, con naturalezza: “Quando la mattina arrivavamo nella sala della fisioterapia, tu eri il primo ad accendere la luce. Ecco, tu sei questo: luce”. Nuovi applausi, lacrime.
DALLA FINE – Partiamo dalla termine del racconto, perché l’inizio è troppo ingiusto per parlarne ancora. Quindi la bara lascia la chiesa e fuori si leva un coro. È l’inno della Fiorentina, intonato dai diecimila che hanno riempito Piazza Santa Croce, che si colora di viola grazie a sciarpe e bandiere. Un fumogeno tinge il cielo dello stesso colore della terra, in quel momento, come in una simbolica unione. “Un Capitano, c’è solo un Capitano”, a cui seguono ulteriori canti. Il feretro lascia la folla e ripiomba il silenzio. Surreale. Sembra che ci sia un interruttore.
UNITI E RIUNITI – Fin dai primi minuti, Firenze si è unita e stretta nel dolore. Con il passare dei giorni, la voglia di portare vicinanza non è scemata. E anche ieri, alla camera ardente allestita a Coverciano, solo arrivati in quattordicimila. Compresi i colleghi, ad alcuni dei quali, oggi, se ne sono aggregati altri. C’erano i nerazzurri, gli ex compagni, il Sassuolo, il Bologna, la Juventus arrivata direttamente da Londra e applaudita da tutta la piazza. Era scontato, nessuno si è fermato a pensare a una rivalità troppo piccola per essere paragonata a qualsiasi cosa seria e sensata in quel frangente.
EMOZIONI – C’era voglia di salutare Davide, da parte di tutti. Dai colleghi ai tifosi. E l’intento è riuscito. Nella sua tragicità, l’evento si è trasformato incanalando una vena poetica è degna. È stata l’ennesima dimostrazione di affetto, poi la gara di domenica. Un altro modo per rendere omaggio a Davide. La giornata di oggi, come quelle precedenti, rimarrà impressa. Storia, per un fiorentino come noi.
CON IL CUORE – “Tu sei quello – continua Badelj – che pur non sapendo le nostre lingue è riuscito a parlare a tutti noi, tenendoci uniti e indicandoci la strada, perché tu hai il dono della lingua universale del cuore”. Fuori c’è silenzio, la sincerità della voce monopolizza l’attenzione. Rifiata, con fatica, e riparte: “I tuoi genitori devono sapere che non hanno sbagliato niente con te”. Applausi. “Avere te al fianco ti fa sentire al sicuro: tu, designer di fama mondiale e calciatore nel tempo libero, come amavi definirti. Tua figlia, crescendo, deve sapere che suo padre è un uomo con la U maiuscola”. Si ferma, spiega che racconterà un aneddoto che conoscono i compagni, con naturalezza: “Quando la mattina arrivavamo nella sala della fisioterapia, tu eri il primo ad accendere la luce. Ecco, tu sei questo: luce”. Nuovi applausi, lacrime.
DALLA FINE – Partiamo dalla termine del racconto, perché l’inizio è troppo ingiusto per parlarne ancora. Quindi la bara lascia la chiesa e fuori si leva un coro. È l’inno della Fiorentina, intonato dai diecimila che hanno riempito Piazza Santa Croce, che si colora di viola grazie a sciarpe e bandiere. Un fumogeno tinge il cielo dello stesso colore della terra, in quel momento, come in una simbolica unione. “Un Capitano, c’è solo un Capitano”, a cui seguono ulteriori canti. Il feretro lascia la folla e ripiomba il silenzio. Surreale. Sembra che ci sia un interruttore.
UNITI E RIUNITI – Fin dai primi minuti, Firenze si è unita e stretta nel dolore. Con il passare dei giorni, la voglia di portare vicinanza non è scemata. E anche ieri, alla camera ardente allestita a Coverciano, solo arrivati in quattordicimila. Compresi i colleghi, ad alcuni dei quali, oggi, se ne sono aggregati altri. C’erano i nerazzurri, gli ex compagni, il Sassuolo, il Bologna, la Juventus arrivata direttamente da Londra e applaudita da tutta la piazza. Era scontato, nessuno si è fermato a pensare a una rivalità troppo piccola per essere paragonata a qualsiasi cosa seria e sensata in quel frangente.
EMOZIONI – C’era voglia di salutare Davide, da parte di tutti. Dai colleghi ai tifosi. E l’intento è riuscito. Nella sua tragicità, l’evento si è trasformato incanalando una vena poetica è degna. È stata l’ennesima dimostrazione di affetto, poi la gara di domenica. Un altro modo per rendere omaggio a Davide. La giornata di oggi, come quelle precedenti, rimarrà impressa. Storia, per un fiorentino come noi.