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    Ancelotti come Cesare: ha conquistato l'Europa, ora è il più grande di sempre

    Ancelotti come Cesare: ha conquistato l'Europa, ora è il più grande di sempre

    • Matteo Quaglini
    Quando Dino Viola lo acquistò dal Parma, Giampiero Boniperti gli telefonò per chiedergli se era vero. Era il segno della sua predestinazione a fare qualcosa di grande nel calcio. Ieri Carlo Ancelotti già re in Italia, Spagna, Francia e Inghilterra, è salito di nuovo sul trono in Germania, incoronato a Wolfsburg. E ha compiuto qualcosa di grandissimo.

    Quel ragazzo che Liedholm vide più volte giocare a Parma e di cui s’innamorò per la sua forza, la sua tenacia tranquilla che è poi quella propria dei grandi, la sua caparbietà, è oggi Il più grande allenatore d’Europa perché ha saputo adattarsi a tutti e cinque i campionati continentali. Perché ha costruito sempre le squadra partendo dalla centralità degli uomini più che delle teorie. Perché ha comunicato con i giocatori in modo da coinvolgerli, attraverso lo scambio di opinioni, senza renderli semplici esecutori.

    Quando cominciò la sua carriera, nel 1992 come secondo di Sacchi in Nazionale, era già un ex-calciatore che da anni aveva studiato da allenatore nelle accademie calcistiche della zona di Liedholm e, appunto del Cartesio Arrigo. Quella cultura di diversità tattica era la sua differenza. Una differenza che all’inizio non si vide in squadre troppo scolastiche come il Parma, che giocava un 4-4-2 sacchiano statico e lento, o nella stessa Reggiana che portò, nel 1996, in serie A nel suo primo successo da capo allenatore. Ancelotti, in quegli anni di monotonia tattica dirigeva le squadre partendo dalla struttura e dall’applicazione perfetta dei meccanismi di gioco. Era il tempo che ogni giovane allenatore passa, quello delle certezze degli studi, prima che della forza del dubbio.

    Una forza che arrivò nel 2002 quando Berlusconi, dieci anni dopo il suo arrivederci al Milan, lo chiamò per sostituire Terim, imperatore defenestrato. Lì, a casa, Carlo Ancelotti compì il cerchio degli allenatori che diventano grandi: scatenò la fantasia. Dimenticando le rigidezze della sua esperienza juventina nella quale non trovò mai l’empatia necessaria a creare una squadra in cui lui e i giocatori si amassero,  il grande Carlo unì i due principi dell’epopea: l’idea di un gioco che definisce e i grandi giocatori.

    La sua maturazione come allenatore. Con essa si manifestarono i suoi pensieri finalmente aperti e non più rigidi. Sulla base della carriera spalancata al talento, ispirata a Liedholm, nacquero il Milan dei tanti numeri dieci, il Chelsea de i 103 gol in Premier, il Psg dal talento anarchico ma unico tra i tanti Parì ad avere un’anima. E ancora il Madrid della decima, sapientemente tutto costruito sull’intuizione di Di Maria mezzala.

    Tutte squadre la cui anima è stata costruita da Ancelotti puntando su un concetto semplice ma grandioso, dare ai giocatori la possibilità di esprimersi. Di andare oltre i propri limiti senza pensare ai cavilli delle strutture tattiche. Fantasia e immaginazione. Libertà.

    La somma delle personalità così come sono senza filtrarle. Che questo abbia funzionato magnificamente è un dato storico-tecnico ribadito da Cristiano Ronaldo. Quando Ancelotti andò via da Madrid, il portoghese non fu d’accordo. Lui che non ha amato Mou, non ha considerato Pellegrini, che ha detestato Benitez, voleva che Ancelotti con la sua saggezza rimanesse a insegnare l’anarchia dell’intelligenza.

    La stessa che dopo il dogma del guardiolismo ha impostato a Monaco e che i tedeschi celebrano ma con riserva. Un po’ perché è nella loro indole credere solo in se stessi, un po’ perché l’idea del Bayern di oggi di dominare l’Europa vincendo coppe a ripetizione come il Bayern degli anni ’70 non si sta realizzando, un po’ perché c’è sempre un Borussia di mezzo a scalfire la festa della vittoria assoluta.

    Le riserve emotive dei tedeschi non intaccano comunque la storia di Ancelotti divenuto re degli allenatori. Vincendo in quattro dei cinque principali campionati europei ha superato Trapattoni e Mourinho (vincitori rispettivamente in 2 più Austria e Portogallo e in 3 più Portogallo), ha stabilito un primato che nemmeno i dieci allenatori più vincenti di sempre hanno potuto realizzare, ha confermato la sua diversità. Ci perdonerà Tomislav Ivic, gitano delle panchine, anche lui vincitore in 5 paesi (Jugoslavia, Olanda, Belgio, Portogallo e Spagna ) e campione in 4 ma di re in Europa c’è ne uno. Partì dalla via Emilia e fece come Cesare. Grande è il tuo viaggio Carlo Ancelotti, re degli allenatori.

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