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Ancelotti a Gattuso: 'Anima del mio Milan, meriti di esserlo da allenatore'
L'ex allenatore del Milan Carlo Ancelotti ha pubblicato una lettera sulla Gazzetta dello Sport per inviare i propri auguri all'attuale tecnico rossonero Gennaro Gattuso nel giorno del suo compleanno.
"Quarant’anni anni, caro Rino, meritano una lettera d’auguri seria, mica soltanto una telefonata, le nostre solite chiacchiere, i nostri scherzi. Quarant’anni sono un momento di riflessione, c’è abbastanza tempo alle spalle per ricordare e c’è anche tanto spazio davanti per costruire nuove imprese. Adesso che ti vedo sulla panchina del Milan, e ti agiti come un matto, urli, sbraiti, inciti i tuoi giocatori, mi viene da pensare che sei la persona giusta al posto giusto: c’è bisogno della tua passione, del tuo carattere, del tuo spirito di sacrificio per superare gli ostacoli; c’è bisogno anche della tua allegria per sdrammatizzare certe tensioni; e di qualche tua solenne arrabbiatura per svegliare qualcuno che dorme, perché in una squadra, in un gruppo, c’è sempre qualcuno che dorme...
In campo eri il mio guerriero. Mai una volta che ti abbia visto mollare, mai una volta che ti abbia visto la maglia pulita, mai una volta che non ti abbia visto fare fatica. È questo che ho sempre ammirato in te: la capacità di arrivare all’obiettivo nonostante la natura non ti avesse dotato di grandi mezzi tecnici. Perché - posso dirlo? - i tuoi piedi non sono proprio il massimo dell’educazione! Però la grinta che ci mettevi tu non ce l’aveva nessuno e, cosa non comune, sapevi trasmetterla agli altri. Quante volte ti ho visto parlare con un compagno per aiutarlo, spronarlo, sorreggerlo nei momenti difficili! Il calcio è questo: al di là degli schemi, dei moduli, delle diagonali, del pressing e delle ripartenze, ci sono le persone. E sono le persone che fanno la differenza. Tu, caro Rino, per me e per il nostro Milan, l’hai fatta. Otto anni, giorno più giorno meno, ti ho allenato. E ti ho sopportato. Prima delle partite eri inavvicinabile: nervoso, scontroso. Era il tuo modo di prepararti e siccome anch’io, quando giocavo, entravo in partita con largo anticipo, con te sapevo come comportarmi: una battuta tanto per abbassare il livello dell’ansia, una risata, una passeggiata fuori dallo spogliatoio.
Ti ricordi quand’eravamo in ritiro a Malta, nel gennaio del 2007? Kaladze ti ha fatto diventare matto, perché ti prendeva in giro per il tuo compleanno, e gli altri compagni lo appoggiavano. Io facevo finta di niente, ma sapevo che con te non bisognava mica esagerare sennò, come si dice tra di noi, «scatta l’ignoranza». E difatti una sera rincorresti Kaladze nella sala ristorante e non voglio sapere che cos’è successo. So, però, quello che è successo qualche mese più tardi. In quei giorni, a Malta, io vi feci una promessa: vi porterò in finale di Champions. Voi mi prendeste per matto. Ma poi in finale ci siamo arrivati, e l’abbiamo pure vinta. E tu, Rino, di quel Milan, sei stato l’anima. Ti auguro di esserlo ancora dalla panchina, te lo meriti".
"Quarant’anni anni, caro Rino, meritano una lettera d’auguri seria, mica soltanto una telefonata, le nostre solite chiacchiere, i nostri scherzi. Quarant’anni sono un momento di riflessione, c’è abbastanza tempo alle spalle per ricordare e c’è anche tanto spazio davanti per costruire nuove imprese. Adesso che ti vedo sulla panchina del Milan, e ti agiti come un matto, urli, sbraiti, inciti i tuoi giocatori, mi viene da pensare che sei la persona giusta al posto giusto: c’è bisogno della tua passione, del tuo carattere, del tuo spirito di sacrificio per superare gli ostacoli; c’è bisogno anche della tua allegria per sdrammatizzare certe tensioni; e di qualche tua solenne arrabbiatura per svegliare qualcuno che dorme, perché in una squadra, in un gruppo, c’è sempre qualcuno che dorme...
In campo eri il mio guerriero. Mai una volta che ti abbia visto mollare, mai una volta che ti abbia visto la maglia pulita, mai una volta che non ti abbia visto fare fatica. È questo che ho sempre ammirato in te: la capacità di arrivare all’obiettivo nonostante la natura non ti avesse dotato di grandi mezzi tecnici. Perché - posso dirlo? - i tuoi piedi non sono proprio il massimo dell’educazione! Però la grinta che ci mettevi tu non ce l’aveva nessuno e, cosa non comune, sapevi trasmetterla agli altri. Quante volte ti ho visto parlare con un compagno per aiutarlo, spronarlo, sorreggerlo nei momenti difficili! Il calcio è questo: al di là degli schemi, dei moduli, delle diagonali, del pressing e delle ripartenze, ci sono le persone. E sono le persone che fanno la differenza. Tu, caro Rino, per me e per il nostro Milan, l’hai fatta. Otto anni, giorno più giorno meno, ti ho allenato. E ti ho sopportato. Prima delle partite eri inavvicinabile: nervoso, scontroso. Era il tuo modo di prepararti e siccome anch’io, quando giocavo, entravo in partita con largo anticipo, con te sapevo come comportarmi: una battuta tanto per abbassare il livello dell’ansia, una risata, una passeggiata fuori dallo spogliatoio.
Ti ricordi quand’eravamo in ritiro a Malta, nel gennaio del 2007? Kaladze ti ha fatto diventare matto, perché ti prendeva in giro per il tuo compleanno, e gli altri compagni lo appoggiavano. Io facevo finta di niente, ma sapevo che con te non bisognava mica esagerare sennò, come si dice tra di noi, «scatta l’ignoranza». E difatti una sera rincorresti Kaladze nella sala ristorante e non voglio sapere che cos’è successo. So, però, quello che è successo qualche mese più tardi. In quei giorni, a Malta, io vi feci una promessa: vi porterò in finale di Champions. Voi mi prendeste per matto. Ma poi in finale ci siamo arrivati, e l’abbiamo pure vinta. E tu, Rino, di quel Milan, sei stato l’anima. Ti auguro di esserlo ancora dalla panchina, te lo meriti".