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    Analisi della Roma: ecco cosa manca per avere una mentalità vincente

    Analisi della Roma: ecco cosa manca per avere una mentalità vincente

    La Roma è una grande squadra, ma ancora non lo sa. A Leverkusen in Champions League è stato evidente per una volta in più questo manifesto tecnico-psicologico della squadra di Garcia. Discutiamo per capire le ragioni di tale assunto. In primo luogo partiamo dai fondamenti di questa squadra forte, ricca di classe e individualità di primo livello e leghiamoli in un gioco di paralleli al concetto di mentalità vincente. Ci troveremo una mancanza chiara e netta. Partiamo analizzandone la struttura tecnica: La Roma ha cifra tecnica, molte possibilità di gioco che esprime con il possesso palla e il contropiede, un numero cospicuo di giocatori in rosa che possono sviluppare stili diversi; ma ha anche un buco nero, un’amnesia fatale e fortemente limitante che nonostante questo impianto fondato esclusivamente sulla classe, le impedisce di credere compiutamente in se stessa e di conseguenza di identificare come traguardo finale la vittoria.

    ROMA DISCONTINUA - Quali sono le ragioni e perché ancora dopo anni c’è questa distanza con il successo? Hanno risposto a una domanda tanto complessa i tedeschi Kampl e Mehmedi, negando la vittoria a questa Roma tanto strutturata nella classe quanto discontinua nel comportamento. Nello sport non basta dire, come spesso fa la Roma: vogliamo vincere. Per ottenere il successo, ci vuole una preparazione specifica e finalizzata, una cura del dettaglio manicale, uno studio di se stessi e dell’avversario, una conoscenza profonda dell’ambito in cui ci si muove. In altre parole occorre una mentalità ferma, rotonda, piena e consapevole. C’è nella Roma questa mentalità? E allargando il discorso troviamo nell’ambiente Roma i caratteri peculiari e fondanti della fatidica mentalità vincente? Le analisi che si possono fare su entrambi i temi convergono sulla stessa risposta. E cioè ancora no. O meglio ancora non ci sono tutti insieme e compiutamente questi aspetti che segnano il passaggio dalla competitività all’essere vincenti.

    I MOTIVI - La ragione è semplice e precisa: ancora non sono stati curati e sviluppati come si dovrebbe e come la qualità della squadra meriterebbe, quei caratteri che partendo dalla mente, creano la vittoria. La Roma ha in tutte le sue componenti le potenzialità di una grande squadra vincente e in parte lo è già. La sua storia degli ultimi trenta cinque anni a partire dal 1979 con la gestione Viola in poi sta a testimoniarlo, infatti, sono giunti importanti successi: due scudetti, undici secondi posti, due terzi, un quarto, sette coppe nazionali, due finali europee, due supercoppe. Ma si sono manifestate anche molte occasioni che la squadra ha mancato e che hanno ritardato il processo d’instaurazione di una mentalità vincente definitiva. Perché? Guardiamo il presente, per capire le ragioni di tale teoria e più precisamente concentriamoci su quei fatidici sei minuti finali in cui i tedeschi hanno rimontato una partita che i più, non certo loro, davano per persa, e in cui la Roma ha buttato al vento una vittoria che aveva ottenuto con classe e personalità. Lì in quell’attimo fatale di confusione e sottovalutazione la squadra ha confermato vecchie paure, e al tempo stesso, il fatto che sia ancora dentro un processo evolutivo sul piano della personalità cioè sul piano della componente che rende solida e duratura una mentalità.

    SUPERARE I LIMITI - Una squadra vincente deve conoscere se stessa e vincere prima di tutto i limiti che ha nella sua struttura. In quel finale convulso la Roma non ha tenuto conto di questo e non ha letto bene il gioco. La mente più che le gambe non ha lavorato in modo maturo perché non ha avvertito il pericolo. I giocatori avrebbero dovuto parlarsi partendo da un presupposto: quando prendiamo gol in partita? Se analizziamo, la Roma ha subito sette goal su i diciotto totali in questa stagione, nel secondo tempo, che con i due di Leverkusen fanno nove, il 50% esatto. Ma cinque di questi nove gli ha subiti negli ultimi quindici minuti, è evidente quindi che la carenza sia nella gestione dei finali, il che per la questione mentale si traduce nella mancanza di concentrazione. La squadra non conosce ancora il controllo della partita. Per questo ha subito il ritorno tedesco: non c’è stato equilibrio, non c’è stata attenzione e cura nei dettagli. La mente comanda questi aspetti, la tecnica li realizza. Alla Roma manca in questi casi la gestione del campo e del gioco, e anche se strutturata col 4-1-4-1 nell’ultimo quarto d’ora, si è opposta ai tedeschi schierati con quattro giocatori offensivi, in modo, non attivo, invece di difendere la vittoria giocando in avanti con le linee e interrompendo il ritmo è arretrata trasmettendo la sua insicurezza all’avversario.

    PIÙ CORAGGIO - Ci vuole più coraggio nella difesa del risultato e ci vuole una mentalità opposta a quella classica: la difesa deve diventare un fondamentale d’attacco essere cioè il termometro di una squadra che vuole vincere a tutti i costi. Questo modo di comportarsi parte dalla mente, solo così può trovare sviluppo nella tattica. La domanda allora nasce spontanea, perché è accaduto questo scollamento tecnico in una squadra dai grandi valori? La risposta è nella combinazione gioco-mentalità. Il gioco è stato di livello a partire dallo 0-2 fino all’ottantesimo. Poi è mancata ancora una volta e meglio di sempre la mentalità, quel fattore invisibile durante la partita ma sempre presente che consente il passaggio dalla competitività alla vittoria. È qui che la squadra di Garcia deve compiere il salto di qualità e superare il limite che essa stessa con ferrea disciplina si autoimpone. Ma è anche qui che deve non in uno o due, ma in tutti i suoi componenti ambiente compreso, vincere il suo limite.

    CAMBIARE LA TRADIZIONE - Arriviamo così al secondo punto: occorre che l’ambiente capisca la necessità di sviluppare un pensiero diverso dal tradizionale che sfrutti al meglio la sua grande passione per la squadra che ad oggi invece in molti momenti disperde. Deve privarsi cioè di sbalzi d’umore, di critiche pretestuose alle prime difficoltà, di ricerca di obiettivi poco legati all’unico vero punto centrale della questione: ragionare per vincere. L’ambiente roma deve introdurre un lavoro che accolga una mentalità nuova in grado di discutere i suoi limiti invece di confinarsi dentro il dogma del noi già sappiamo e già conosciamo. Una voglia di miglioramento che si incontri con la volontà di aprirsi all’idea che i problemi fanno parte del percorso e che non siano freni alla possibilità di vittoria. Ma anzi il punto da cui partire per essere vincenti senza vivere nella pressione. L’idea che anima una grande squadra e un ambiente che ragiona per vincere parte da una base semplice: superare prima di tutto i propri limiti riconoscendoli e analizzandoli per poi metterli in discussione con un fine preciso, quello di migliorarsi costantemente. Quindi per la definitiva maturazione via gli isterismi al primo pareggio e via l’abbandono che il pensiero vincente svanisca alla prima sconfitta; via anche l’idea che occorra vincere solo giocando bene, perché più importante è superare le difficoltà come fanno le grandi squadre.

    BIVIO FIORENTINA - La Roma considerata nella sua totalità ancora non sa vincere i propri limiti. Prima di tutto perché crede com’è successo in Germania, di aver già vinto quando è in vantaggio ma mancano ancora dieci minuti da giocare. E’ li, invece che deve afferrare la vittoria con determinazione ragionando positivo sulle difficoltà che incontra. E’ lì che non deve cedere combattendo il suo primo grosso limite, la paura di vincere e quel timore di non ottenere il risultato per cui ha lottato. Poi perché Il mondo Roma deve imparare a riconoscere se stesso in ogni momento identificando in maniera più chiara e matura i suoi pregi (molti) di natura tecnica e sentimentale ma soprattutto i suoi difetti (chirurgici e distruttivi) nell’approccio e nella lettura del gioco nonché nell’idea che ha di se, senza critiche ma con precise analisi. La partita con la grande Fiorentina di quest’anno allenata da un mentalista forte e convinto come Paulo Sousa, nello scontro al vertice più interessante d’inizio stagione, deve essere il primo passo verso questa definitiva maturazione. Un ambiente che si riconosca forte non ha bisogno di criticare sempre e comunque; una squadra che vuole vincere non teme un passo falso ma mira a ciò che conta realmente: l’obiettivo finale. Provino tutti a ragionare diverso nei giorni precedenti a questa gara, cercando le soluzioni e non i problemi; ci troveranno il segreto del successo e probabilmente anche la vittoria.

    Matteo Quaglini

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