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Ammutinamento, Napoli non sei solo: a Bologna toccò a Pioli
Autunno del 2013, il Bologna di Stefano Pioli naviga nelle acque melmose della bassa classifica. A Bologna c’è tanta delusione, la squadra allenata da Pioli è reduce da una tranquilla salvezza e l’anno precedente è salita fino ai 51 punti che le sono valsi il 9° posto. Ma il fuoco si è spento, la scintilla dell’entusiasmo sparita. Il giorno dell’ammutinamento è il 16 dicembre 2013, un lunedì. Il Bologna la domenica ha perso 3-0 a Firenze e si ritrova al penultimo posto in classifica, con un +2 sul Catania ultimo, a una lunghezza dal Livorno terzultimo e a due dal quartultimo posto del Chievo, quindi dalla zona salvezza. La squadra - ci sono Diamanti e Kone, Morleo e Rolando Bianchi, il fantomatico «Churry» Cristaldo e il guerriero Perez - è stata assemblata male, molti acquisti sono stati sbagliati (Riverola, Crespo, Cech, Abero) e ora stenta a trovare la rotta, ma tutto è ancora risolvibile. La verità è che Pioli e un paio di leader rossoblù non si sopportano più, il rapporto di fiducia si è incrinato. Il tecnico decide di portare tutti in ritiro. Ne parla con la società, che avalla la sua scelta anche se comincia a pensare al suo sostituto. La sede del ritiro è la Borghesiana, a Roma. Quel lunedì il pullman della squadra arriva al centro «Niccolò Galli» di Casteldebole in tarda mattinata. L’autista ha appena fatto manovra e sta sistemando il mezzo in attesa dei giocatori. Passano dieci minuti, poi venti, poi un’ora. Il pullman è sempre lì ma non si fa vedere nessuno. Della squadra nemmeno l’ombra. L’autista cerca un dirigente, qualcuno che gli dica che cosa fare. Finalmente lo avvertono: aspetta. E lui aspetta.
Nel frattempo una delegazione di otto giocatori - i più rappresentativi - sale nell’ufficio del presidente, Albano Guaraldi. E chiede due cose. La prima: di annullare il ritiro. La seconda: la testa del tecnico. Guaraldi oppone una strenua resistenza, perché sta già pensando di esonerare Pioli. Il (finto) braccio di ferro lo vincono i giocatori, ma in realtà la società non fa nulla per opporsi.
Pioli ne esce delegittimato, la decisione del ritiro viene sconfessata. Ha capito di avere i giorni contati sulla panchina del Bologna. L’autista aspetta fino al primo pomeriggio, poi lo avvertono. Puoi tornartene a casa, grazie di tutto. La squadra riprende ad allenarsi, ma in quei giorni la tensione è altissima. Nel mentre il presidente Guaraldi contatta Roby Baggio. E gli offre la panchina del Bologna. Sarebbe una scelta clamorosa, la prima panchina per Roby. Soprattutto: Baggio è disposto a parlarne. La domenica, però, ad intralciare i piani della società; arriva la vittoria del Bologna contro il Genoa. 1-0, gol di Diamanti. La curva sta tutta con Pioli e intona: «Fino alla fine Stefano Pioli».
Natale, pausa, il campionato riprende il 6 gennaio. Il Bologna perde 2-0 a Catania. Pioli viene esonerato, nonostante il Bologna sia virtualmente salvo, a +1 dalla zona B. Al suo posto Ballardini. Pochi giorni dopo - all’inizio di febbraio - Diamanti va allo scontro con Guaraldi e «si fa cedere» in Cina, al Guangzhou, tra il frusciare degli yen. E il Bologna che (non) si rinforza con gli acquisti di Friberg e Ibsen, perde il giocatore di maggior peso.
Giusto per ricordare come andò a finire quella volta. A Ballardini non riuscì di invertire la rotta. C'era poca qualità, poca personalità, nessun attaccante degno di questo nome. La squadra retrocesse in B, penultima, insieme a Livorno e Catania. L’anno successivo Guaraldi cedette il club a Joe Tacopina, che dopo il ritorno in A favorì l’ingresso in società dell’attuale patron, Joey Saputo. Quell’estate - a cinque mesi dall’esonero - Pioli firmò per la Lazio. Diamanti rimase in Cina un anno, poi tornò in Italia. L’autista di quel pullman è andato in pensione.