Ambrosini: 'Il mio addio alla Fiorentina? Non è uno scandalo'
L.C.
È difficile credere che un grande campione del calcio possa emozionarsi davanti a una rockstar. Eppure una volta Massimo Ambrosini incontrò Bruce Springsteen e gli chiese di scrivere su un foglio “Born to run”, il titolo della sua canzone preferita. Sì, nato per correre. E quella calligrafia, il giorno dopo, finì sul suo braccio sinistro. «Anche perché se non si run, che cosa si fa?», scherzò. Ma oggi il guerriero dell’ultimo grande Milan - a Livorno per il Champions’ International Camp - è pronto a lasciare: «Forse è arrivato il momento di smettere – confessa al quotidiano Il Tirreno – a 37 anni il ritiro è una possibilità concreta, anche se non ho ancora deciso». Perché? Aspetti la proposta giusta? «Beh, l’età avanza e le offerte sono inversamente proporzionali agli anni. Più vai avanti, meno proposte hai. Ma aspetto altri venti giorni. Se arriverà qualcosa di intrigante valuterò, altrimenti lascerò il calcio serenamente». Intanto si parla di Cesena, Watford e Monza. «Il Monza? Mai sentito. Comunque vediamo nelle prossime settimane». C'è ancora amarezza per i divorzi dalla Fiorentina e dal Milan? «Le amarezze vanno e vengono. A Firenze, nella seconda parte di stagione, ho giocato poco. E ovviamente non ero felice. Poi la società non mi ha rinnovato il contratto». Sulla tua mancata conferma ha influito il parere di Montella? «Beh, faccio fatica a credere che non sia stata una scelta condivisa. Ma non è stato uno scandalo». Forse lo è stato il trattamento del Milan nel tuo ultimo anno rossonero… «Ripeto quello che dissi subito dopo l’addio: mi aspettavo un’attenzione diversa». Intanto i rossoneri ripartono da Inzaghi: sensazioni? «Come tecnico non lo conosco. Sicuramente ha passione ed entusiasmo. Gli auguro il meglio, ma avrà bisogno di tanta fortuna…». Ma perché la società ha silurato Seedorf? «I risultati, nel calcio, condizionano tutto. Ma entrare a stagione in corso non è mai facile». Anche te, come loro, ti vedi su una panchina in futuro? «No, non credo di essere portato per fare l’allenatore ad alti livelli. Mi piace di più stare a contatto con i giovani. Ma nella vita non si sa mai». Passiamo alla Nazionale: qual è stato il motivo principale del fallimento azzurro in Brasile? «Cambiare più di un modulo nel giro di pochi giorni ha inciso sui risultati. E alcune scelte non hanno dato le risposte che Prandelli si aspettava. Poi c’è stata anche un po’ di sfortuna». Ma ora da che cosa deve ripartire l’Italia? «Da dirigenti seri e competenti. E da giocatori seri e disponibili». Albertini presidente federale: ti convince l’idea? «Sì, lui è fatto proprio per una carriera del genere. Ha sia il carattere che le competenze giuste». Da scegliere anche il nuovo ct: hai una preferenza? «No, ma allenare una Nazionale è completamente diverso da allenare un club. Comunque serve una figura con carisma e personalità».