Altro che Allegri: Spalletti dimostra che l'allenatore conta, ma meritava la Lazio
Però non sarei onesto intellettualmente se tacessi che la Lazio, per qualità e continuità di gioco, rotondità di risultati, coerenza di progetto e, non ultimi, una serie di danneggiamenti arbitrali, avrebbe meritato di più.
Purtroppo per loro e, per fortuna dell’Inter, questo è il calcio e questo è Luciano Spalletti, un prodigioso artigiano che produce con quello che ha, andando spesso oltre il massimo.
Era successo a Roma, è successo a Milano, sponda interista, nonostante un mercato insufficiente e giocatori non all’altezza. Qualche solone panciuto si accoda ad Allegri quando dice che l’allenatore conta solo per il 5 per cento (Capello diceva il 30). La percentuale varrà per Allegri. Spalletti conta tanto, almeno il cinquanta per cento e contro la Lazio si è visto ancora una volta.
Sotto di un gol alla fine del primo tempo (2-1), l’allenatore interista è passato dal 4-3-3 al 3-4-2-1, poi ha azzeccato il cambio di Candreva con Eder (16’) e quello di Rafinha con Karamoh (22’), alzando il baricentro della squadra e aumentando il peso in attacco.
E’ vero. L’episodio decisivo è stata, forse, l’espulsione di Lulic (34’), già ammonito, per fallo su Brozovic. Tuttavia l’Inter, oltre ad avere già pareggiato con Icardi su rigore procurato da De Vrij (32’), aveva il vento nelle vele perché aveva invertito il senso di una partita per il resto sempre in mano alla Lazio.
L’Inter ha segnato tre gol, due da calcio d’angolo (battuti benissimo da Brozovic) e uno su rigore, nessuno su azione. Tutto ciò testimonia come l’Inter - impossibilitata a tenere i ritmi della Lazio e a costruire gioco al pari dell’avversario - ha speculato sulle palle inattive per andarsi a prendere quei gol che altrimenti non sarebbero venuti.
Nemmeno al 47’, con l’uomo in più e in contropiede, Icardi è riuscito a battere a rete da un passo su assist di Eder. L’italo-brasiliano è stato determinante. Suo, infatti, il passaggio al volo che ha portato Icardi al contatto con De Vrji. Era una palla recupreata da Vecino a centrocampo, ma a raffinarla in area è stato proprio Eder con un’apertura fantastica.
Il gol decisivo lo ha segnato Vecino (36’), di testa, in anticipo su Milinkovic Savic. Tocco spiazzante in tutti i sensi. La Lazio per un tempo e un quarto non solo ha fatto la partita, ma ha segnato due gol (autorete di Perisic all’8 e destro di Felipoe Anderson al 41’ del primo tempo), colpito un palo da punizione con Milinkovic Savic (25’) e chiamato Handanovic ad almeno tre interventi spettacolari.
Non un dominio, ma un’iniziativa costante, spezzata solo dal gol di D’Ambrosio, sempre da angolo, con Strakosha, secondo me, colpevole o quantomeno complice.
Perdere la qualificazione Champions, con tutto quel che ne consegue, a meno di un quarto d’ora dalla fine, e giocando in casa, è particolarmente doloroso. Simone Inzaghi, la sua squadra, la società di Lotito non meritavano questo epilogo amarissimo.
Senza riandare all’intero campionato, basta fermarsi alla partita dell’Olimpico. La Lazio ha giocato per vincere sempre, l’Inter per restare in partita, al massimo per riaprirla, La stessa espulsione di Lulic, autore di un assist straordinario per il gol di Felipe Anderson, è stata provocata dalla foga di recuperare palla in attacco, quando invece bastava gestire.
Una riflessione a parte merita la prestazione di de Vrij il cui contratto per l’anno prossimo con l’Inter è stato depositato qualche giorno fa. Fino al rigore su Icardi, è stato perfetto, riducendo a zero le possibilità del centravanti interista. Sul rigore è responsabile perché non ha frenato l’irruenza, ma non c’è né dolo, né, meno che mai, volontà. Il suo pianto a dirotto, a fine partita, dovrebbe far capire anche ai più maliziosi che de Vrij ha giocato da persona seria e pulita.
Non rinuncio però ad una domanda sarcastica: se, anziché l’Inter, dall’altra parte ci fosse stata la Juve, quali sarebbero adesso le considerazioni della cosiddetta opinione pubblica pallonara?