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Altafini, precursore del mercato di oggi: lo zio procuratore e i cambi di maglia
MAZZOLA - Nato a Piracicaba da genitori italiani emigrati, José Altafini da giovane svolge un'infinità di lavori per aiutare le finanze famigliari, ma il suo vero amore è il calcio. Adalberto Bortolotti per il Guerin Sportivo racconta di come furono importanti due italiani agli inizi della carriera di Altafini. Josè un bel giorno inizia a lavorare come meccanico in un'officina dell'italiano Mario Dedini, che è anche presidente di una piccola squadra di calcio di Piracicaba. Altafini entra quindi nella squadra e inizia a mettere in mostra le sue qualità, tanto che un altro italiano, Idilio Giannetti che di mestiere è proprietario di una piccola impresa di trasporti, ma per passione fa l'osservatore per il Palmeiras, lo nota e lo convince a partecipare ad un provino per “gli italiani”. Così Josè Altafini a diciassette anni diventa un calciatore del Palmeiras: un vestito e due camice, il suo primo ingaggio. La sua somiglianza fisica con Valentino Mazzola viene subito notata: ancora tutti si ricordano della tournée del Grande Torino e tifosi e addetti ai lavori prendono a chiamare Altafini, proprio per la sua somiglianza fisica, “Mazzola” e così si presenta alla grande ribalta del calcio che conta. Titolare nel Palmeiras e quindi esordio in Nazionale con vista sulla Coppa del Mondo. Al Mondiale svedese del 1958 Mazzola-Altafini è protagonista indiscusso nella prima parte della competizione, nel proseguo si vede retrocesso a riserva da Feola, vuoi per lasciare definitivo spazio all'astro nascente Pelé, vuoi perché – come suggerisce Ghirelli – frastornato dalle trattative con il Milan. Così Mazzola-Altafini si vedrà semifinale e finale dalla panchina, sostituito da Vavà. Interessante uno stralcio di intervista di Angelo Rovelli a Feola tratta da La Gazzetta dello Sport del 22 giugno 1958: “(...) Abbiamo chiesto a Feola se questo esimio professore ha penetrato la psicologia di Mazzola. Feola ha sorriso ed ha replicato:
-Sin lì c'ero arrivato anch'io! Mazzola è un impulsivo ed un meditativo nello stesso tempo.
-Davvero?
-Questo l'ho scoperto io. È impulsivo nel correr dietro al miraggio dei milioni italiani, è meditativo quando si pone mentalmente a contarli...
Non ci è voluto molto per capire che Mazzola è uscito dalle simpatie di Feola.”
SOLDI, QUINDI - La tournée brasiliana in Italia in preparazione della Coppa del Mondo Altafini la sfrutta nel migliore dei modi, segnando una doppietta nella gara contro la Fiorentina e segnando anche alcuni giorni dopo contro l'Inter. Gli occhi degli emissari rossoneri rimangono incantati e la società meneghina affonda il colpo per aggiudicarsi il calciatore. Il presidente rossonero Rizzoli brucia la concorrenza della Roma e per 135 milioni riesce a portare Altafini al Milan. Gli anni a Milano saranno esplosivi, ricchi di soddisfazioni, ma anche pieni di polemiche e piccoli grandi “casi”. In un vortice di emozioni gli anni al Milan di Altafini sono segnati da scudetti vinti, reti a grappoli, divergenze di opinioni che Viani e Rocco hanno su di lui, amori finiti e amori iniziati nella clandestinità. E la Coppa dei Campioni vinta nel 1963 segnando la bellezza di 14 reti, spezzando l'egemonia del Real Madrid, il capolavoro di Altafini in rossonero. Come costante le grandi discussioni sull'ingaggio ogni volta che c'era da rinnovare il contratto: perché se è vero che José non ha mai badato al denaro – oggi vive non certo nel lusso – vero è che non lo mai scansato. Nel suo porsi con le società è stato senza dubbio un precursore. La figura chiave è Angelo Marchesoni, lo zio di Altafini che funge da procuratore quando ancora nessuno aveva pensato a quella figura e Caliendo era molto in là a venire. Altafini dal Milan un bel giorno scappa, è l'estate del 1964. Il Milan del nuovo presidente Riva tentenna nel rinnovare il contratto, vorrebbe proporre un contratto legato al rendimento, Altafini si stanca e se ne torna in Brasile, magari speranzoso di potersi accasare al Palmeiras. Il problema è che in Brasile non sono molto ben disposti a pagare il Milan e quindi Altafini resta al palo. A Natale chiede a suo zio di riallacciare i contatti con il Milan e alla fine ritorna a Milano, ma ormai la sua storia con i rossoneri è ai titoli di coda. Il finale, purtroppo, non è affatto lieto. A febbraio, quando Altafini rientra in squadra, il Milan è primo in classifica con nove punti di vantaggio sull'Inter. Pare semplice, non lo è affatto. Il caso vuole che il rientro di Altafini coincida con il crollo fisico del Milan che alla fine del campionato si vedrà battere in volata proprio dall'Inter. Il sipario sulla storia d'amore tra Altafini e il Milan cala una volta per tutte. Dopo 7 anni in rossonero Altafini è pronto per un'altra avventura perchè la sua carriera è soltanto alla fine del primo tempo.
CORE N'GRATO - Il secondo tempo della carriera di Altafini non è meno entusiasmante del primo. Se stiamo ai racconti de La Gazzetta dello Sport dell'epoca, Viani aveva tentato di far entrare nella cessione del brasiliano anche l'Inter, ma Allodi e Moratti ben presto si tirano indietro. Ritrovatosi sul mercato, nell'estate del 1965 il neo promosso Napoli fa follie e porta sotto il Vesuvio Altafini e Sivori, appena scaricato dalla Juventus. La coppia farà meraviglie e farà divertire il popolo napoletano. Altafini al Napoli resta sette anni, segnando oltre 70 reti. L'ultima stagione al Napoli accetta ciò che invece al Milan aveva a suo tempo rifiutato: il contratto a prestazione. È l'ultimo anno. A 34 anni, però, per Altafini non è ancora il tempo dell'addio. C'è un ultimo sogno da rincorrere, un sogno dai colori bianconeri. Nell'estate del 1972 fa scalpore il passaggio di Altafini alla Juventus. In bianconero vice due scudetti, viene impiegato part-time, nobilitando il ruolo di tredicesimo uomo, di riserva di lusso che a partita in corso subentra e spesso diventa decisivo. Decisivo Altafini lo è anche nel testa a testa tra Juventus e Napoli nella corsa allo scudetto del 1975, quando nello scontro diretto del 6 aprile Altafini segna la rete decisiva della vittoria juventina. Lo scudetto va a Torino, a Napoli Altafini diventa per sempre “core n'grato”.