Alle origini del Napoli, Montervino a CM: 'Quattro calciatori, un pallone sgonfio e Simona Ventura'
Ci racconti il primo giorno di ritiro del primo Napoli di De Laurentiis?
"Scene surreali, non avevamo nulla. Io e il Pampa abbiamo raccolto i soldi per comprare pettorine e pantaloncini, ci siamo allenati con un pallone sgonfio della Lazio che aveva Montesanto in macchina".
E cosa facevate in quattro e con un pallone sgonfio?
"Due corsettine, qualche palleggio e poco altro. Nulla di che...".
Te e Montesanto siete gli unici giocatori ad aver vissuto il Napoli prima e dopo il fallimento.
"Io e Aldo avevamo lo stesso agente che ha spinto molto per convincerci a rimanere anche dopo la rinascita. Puntava molto su questa nuova gestione, mi disse di accettare di giocare in Serie C con il Napoli perché sarebbe salito in Serie A e io sarei stato capitano. Ed effettivamente non si sbagliò".
Ti ricordi il momento in cui ti dissero del fallimento?
"Sì, anche se l'ho vissuto da lontano perché a metà di quella stagione lasciai Napoli (dove ero in prestito dall'Ancona) per andare a Catania, sempre in prestito. Quell'anno fallirono sia il Napoli che l'Ancona".
Cosa ti ha convinto a tornare a Napoli in Serie C?
"L'importanza della piazza. I tifosi ci sono sempre stati vicini, ricordo un Napoli-Cittadella con 55mila persone in Serie C. Cose mai viste".
Ma è vero che De Laurentiis all'inizio non capiva molto di calcio? "Direi proprio zero. Per questo aveva messo tutto nelle mani di Pierpaolo Marino, l'uomo che creò un tipo di calcio diverso".
Il primo De Laurentiis che tipo era?
"Era fuori dai parametri di un presidente 'normale'. Era meno allenato a certe dinamiche sportive e più cinematografico, quando succedevano alcune cose noi ci guardavamo basiti".
Facci qualche esempio.
"Ricordo che una volta abbiamo fatto la presentazione della squadra a inizio anno sulla Costa Crociere con Simona Ventura e Siani, i nuovi acquisti arrivavano in elicottero...".
Cosa ti disse appena arrivato? "Ci ha spiegato il percorso che avrebbe voluto fare, ma era tutto così scenografico. Aurelio era così: o ti innamoravi subito di lui o pensavi che fosse pazzo. Con il tempo si è dimostrato un grande imprenditore che ha preso un club a circa 30 milioni di euro e ora lo sta portando sempre più in alto in Italia e in Europa".
Reja ha detto che te eri il riferimento della squadra.
"Con Edy ho avuto un rapporto straordinario per cinque anni, tra noi c'era una bella alchimia e mi ha dato tanto. Sono stato il riferimento dello spogliatoio in Serie C, in B e anche in Serie A, nonostante non giocassi più con continuità".
C'è un aneddoto o un retroscena di quegli anni che non hai mai raccontato?
"Il ricordo più bello, quel 10 giugno 2007 quando siamo saliti in Serie A dopo il pareggio col Genoa. Per me quello è il terzo scudetto del Napoli, vinto ma non vinto; voglio che quello rimanga il ricordo più bello".
Raccontaci com'è andata.
"Quando ho visto in tv le immagini dei tifosi che festeggiavano ho ripensato a quel giorno. Mi sono rivisto lì anch'io, tra 200mila persone in piazza. Noi arrivammo a Capodichino con l'aereo da Genova alle 21.30, ma uscimmo dall'aeroporto a mezzanotte passata. La città era bloccata, cancellarono partenze di aerei perché non si poteva arrivare all'aeroporto. Il pullman scoperto col quale dovevamo fare il giro della città venne a prenderci alla pista d'atterraggio perché non riuscivamo a muoverci, la polizia ci scortò a piedi da Capodichino a piazza del Plebiscito tra migliaia di persone che ci inseguivano. E alla fine, alle 4.30 di notte, andammo a mangiare al ristorante che aprì solo per noi".
@francGuerrieri