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Albania, Serbia, Kosovo: una felpa del leccese Ramadani riaccende l'eterna polemica
Classe 1996, giunto la scorsa estate in Salento proveniente dal club scozzese dell’Aberdeen, Ramadani si è inserito presto e bene nel nostro campionato, svelando soprattutto ottime doti da incontrista. Le statistiche affermano che è fra i primi recuperatori di palloni del nostro torneo. Il temperamento non gli manca e lo ha dimostrato una volta di più nella serata di ieri, in una circostanza che per il calcio albanese è stata di piena festa. La nazionale aveva appena ottenuto la qualificazione alla fase finale degli Europei di Germania 2024 grazie al pareggio 1-1 sul campo della Moldavia e Ramadani (tedesco di nascita ma albanese di origine e perciò selezionato dall’Albania), che ha giocato la gara per intero, si è presentato davanti alle telecamere per le interviste post-gara a commentare il risultato ottenuto dalla nazionale.
Non vi sarebbe stato alcunché di strano, se non fosse per un dettaglio nell’abbigliamento del calciatore giallorosso: la felpa con sfondo nero sulla quale è impressa l’immagine disegnata di un uomo dalla folta barba. Non si tratta di una figura qualsiasi. L’uomo ritratto nella felpa indossata da Ramadani è (anzi, era) Adem Jashari, cioè una delle figure di maggior spicco nella campagna per l’indipendenza del Kosovo. Fondatore dell’Esercito per la Liberazione del Kosovo (UCK), Jashari venne massacrato assieme a parte della famiglia il 7 marzo 1998 dalle milizie serbe,a colpi di kalashnikov. E come è ovvio in casi del genere, la figura di Jashari viene raccontata in modi opposti a seconda dei punti di vista. Per kosovari e albanesi si tratta di un martire della patria, mentre per i serbi è un terrorista che è stato giustiziato al termine di un’ordinaria azione di polizia. Dunque si comprende come mai l’immagine della felpa indossata da Ramadani davanti alle telecamere abbia generato immediatamente proteste e malumori in Serbia. Dal canto suo, il calciatore del Lecce ha esplicitamente rivendicato il gesto di vestire quella felpa come atto di orgoglio nazionale e identitario. Una franca rivendicazione che segna un nuovo episodio su questo questo specifico fronte che vede calcio e politica inscindibilmente intrecciati.