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    Al di là del bene e del male: i 60 anni di Mourinho, il genio che si è proclamato vincente prima di diventarlo

    Al di là del bene e del male: i 60 anni di Mourinho, il genio che si è proclamato vincente prima di diventarlo

    • Furio Zara
      Furio Zara
    L’uomo che oggi compie 60 anni ha l’aura del divo. Se stai facendo zapping e sbuca il suo faccino imbronciato, concedi il riposo al tuo telecomando e ti metti comodo: sai che non ti tradirà. Lo sanno bene i tifosi della Roma, che lo adorano, al di là del bene e del male, di una vittoria o di una sconfitta, di un Dybala che illumina o di un Abraham alla ricerca di se stesso. E di un Friedkin che digita il codice per sbloccare il conto corrente, ma poi se lo dimentica e desiste. Abbiamo bisogno - noi, tutti - di credere in qualcuno. Togliete una erre: cedere a qualcuno, pure. Abbandonarci ai sogni, anche quando sono impossibili o - in mancanza d’altro - prendono il contorno di una Conference League. Josè Mourinho è lì per quello. L’antipatia come posa, l’intelligenza sopraffina, l’arroganza da bulletto col sorriso canaglia e il labbro corrucciato, la personalità magnetica, la tendenza all’autocelebrazione: lui.

    Usa la recitazione come terapia, la comunicazione come una forma d’arte. Wilma, passami la clava. Le provocazioni di Mou non sono puro esercizio stilistico, ma risorsa di vita, pane quotidiano. Negli anni se l’è presa con Pepe Guardiola ma anche con Lo Monaco (“Lo Monaco di Tibet?”), con Antonio Conte e con la dottoressa Eva Carneiro, con Arsene Wenger e con Cristiano Ronaldo. Sa scegliere i suoi nemici. Verbalmente è quasi sempre aggressivo, è in lotta con il mondo, ha bisogno di un nemico per caricarsi. Per esistere professionalmente, verrebbe da dire. E’ manicheo. Io (cioè noi) di qua, i nemici sono gli altri. Nel contesto in cui lavora la sua forza è creare fratellanza, anche a costo dello scontro. E' uno sciamano. Si sente investito da una missione: è la sua forza. L’ha fatto ovunque è andato. Dal Porto - dove tutto cominciò - al Chelsea, dall’Inter al Real Madrid, dal Manchester United il Tottenham fino alla Roma. Ha la presunzione, come tutti i visionari e i fanatici, di controllare il destino. E’ universale, trasversale. Non si fa il tifo per le squadre di Mourinho, ognuno ha la sua. Si tifa per Mourinho. Ai tempi dell’Inter, prima di un’amichevole a Locarno - un’insulsa amichevole a Locarno - litigò con il giardiniere svizzero e pretese che l’erba del campo fosse tagliata all’altezza di trenta millimetri. Trenta, non ventinove o trentadue. Lo svizzero - così sono gli svizzeri - ciondolò la testa, lo maledì, ma poi eseguì la spazzolata. Nel 2010 alle elezioni amministrative di San Giovanni La Punta - ripetiamo: San Giovanni La Punta, provincia di Catania - prese 21 preferenze. Cioè: 21 cittadini di San Giovanni La Punta sul foglio scrissero: Josè Mourinho.

    Quindi: Josè Mourinho non è solo un nome, ma un marchio. Da più di vent’anni a questa parte sta dimostrando che “l’eccellenza è un’abitudine”. Ma anche, in fondo, un modo di stare al mondo. Con un colpo di genio infatti Mou si è proclamato vincente prima ancora di vincere qualcosa, fin dall’inizio della sua avventura. Sono ventisei i titoli firmati dal portoghese. Anzi, ventisei e mezzo. Come egli stesso ha sottolineato con straordinaria superbia. Sentite: l’esonero dal Tottenham – nell’aprile 2021 – arrivò a soli sei giorni dalla finale di League Cup contro il City, partita che poi comunque perse. Nella sua testa, quella finale l’ha vinta. O meglio: se ne è assegnata mezza perché - come disse all’epoca - “quella finale non me l’hanno fatta disputare”. Come si può non adorare uno così? Ha la sindrome di Fonzie, quello di “Happy Days”. Non ce la fa proprio a dire: “Ho sbagliato”. Quando la vittoria non lo gratifica a Mou capita di svilire le regole del fair play e il senso stesso dello sport. Gli sbuffi, la medaglia d’argento gettata, le spallucce, le dichiarazioni di scherno. Come si fa a non detestare uno così?

    Amato, detestato. Idolatrato, contestato. Da più di vent’anni professa una sola religione: la sua. Chi lo ama lo segua. Ma chi non lo ama non può rimanere indifferente. Stare dalla parte di Mourinho significa difendere un’attitudine. La verità è che Mourinho è un vincente non solo perché vince, ma soprattutto perché fa qualcosa di più: comunica al suo popolo - la dirigenza che lo prende, la squadra che lo segue, i tifosi che lo adorano - quell’orizzonte raro e prezioso che è il desiderio di vittoria. Desiderare - quando entra in gioco Mou - è già un po’ vincere. E no, non è un pirla. Quando si definì lo Special One non voleva stupirci. Si portava avanti con il lavoro. Voleva fare una cosa più definitiva: conquistarci. Qualsiasi cosa pensiate di Josè Mourinho, dovete ammettere che ci è riuscito.

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