Aiutare i bambini a essere felici col pallone: in sardo si traduce Cuccureddu
È l’uomo che, in tuta e con addosso una scuffia di lana, spinge un carrello pieno di calce bianca che gli servirà per segnare le linee di demarcazione di un campo da calcio. Sono le sette del mattino e lui che ha settantadue anni come tutte le persone anziane si sveglia presto. Quando il cielo comincia a rischiararsi e l’alba spunta dalla parte del Continente, Antonello Cuccureddu è già al lavoro. Talvolta ad aiutarlo c’è anche suo figlio Luca che parla con inflessione torinese perchè è nato e cresciuto nella città dove il babbo ha trascorso una vita giocando nella Juventus.
Quando piove, il campo che Cuccureddu ha allestito per far divertire soprattutto i bambini diventa una palude, perchè non c’è erba ma soltanto sabbia e terra scura come i volti dei sardi bruciati dal sole. Ma questo, anziché rappresentare un cruccio per il “maestro”, è fonte di pensieri positivi. I campioni, quelli autentici, nascono dal fango ed escono dal campo sporchi che fatichi a riconoscerli. Sul sintetico, come vorrebbero i genitori, possono fare le belle fighette ma non imparano a domare il pallone come invece occorre fare. È questo il teorema del “cuccureddupensiero”. Quello che gli permise, a vent’anni, di sfondare il muto dell’anonimato per diventare un protagonista da cineteca per il calcio nazionale e internazionale. Lui apripista della genia sarda del pallone vincente seguito poi da Virdis e Zola.
Scudetti, Coppe assortite, maglia azzurra, presenze da record e molti gol importanti per i successi della sua Juventus da sogno per la quale lui rappresentò una colonna portante. Un uomo semplice e buono, soprattutto, al limite della beata innocenza degli onesti e ingenui che possono venir presi in mezzo dai birbacchioni. Incidente che gli capitò una volta tornato nella sua terra come vittima di un raggiro per il quale venne ingiustamente infamato. Ma la verità viene (quasi) sempre a galla e oggi Antonello Cuccureddu può alzarsi dal letto al canto del gallo, specchiarsi con orgoglio e andare al lavoro con lo scopo di aiutare i bambini ad essere felici.