Agnelli 'Juve, giustizia e vittorie'
Presidente Andrea Agnelli, che effetto fanno le rivelazioni su Calciopoli confidate al nostro giornale da un investigatore? «Faccio un piccolo passo indietro e torno al tavolo voluto da Petrucci. E' stata una giornata importante perché ha riunito persone direttamente coinvolte nel 2006, il capo dello sport e il presidente della Figc: ognuno è rimasto sulle proprie posizioni, ma il documento finale che era stato preparato riconosce - anche se non è stato sottoscritto da tutti - che ci fu giustizia sommaria. La vostra intervista conferma quanto emerso negli ultimi anni e rafforza la necessità di avere un quadro completo, capire cosa accadde ed entrare nel merito. L'inquirente racconta di telefonate che non c'erano, di altre tolte e di un diverbio: elementi che devono essere valutati da un giudice, non è plausibile che in un piccolo sistema di venti squadre ci sia tanta disparità di trattamento»
Quando scoppiò Calciopoli, lei non era ancora presidente della Juve: ebbe comunque, da tifoso, la sensazione che ci fosse qualcosa di scivoloso e di imperfetto? «Il quadro di allora era diverso da oggi. Quando vennero fuori le prime intercettazioni, pensai a una strana coincidenza: ogni volta che stavamo per vincere un titolo, balzava fuori qualcosa, l'anno prima c'era stato il video della flebo di Cannavaro. Poi, improvviso, è arrivato lo tsunami, e parlare di sensazioni, in quei momenti, è difficile. La Juve ha pagato in maniera dura: se la società non avesse varato l'aumento di capitale e lavorato per tornare ai vertici, avrebbe potuto precipitare davvero in categorie minori. Adesso esigiamo parità di trattamento».
Al tavolo s'è parlato della relazione di Palazzi? E' anomalo che non se ne tenga conto...
«L'istituto prescrizione non l'ho istituito io. La Juve è stata condannata per una serie di violazioni dell'articolo 1, la cui somma ha configurato violazione dell'articolo 6. Per l'Inter, invece, l'articolo 6 è stato tirato in ballo direttamente da Palazzi. Ricordo anche che l'annata sportiva 2005-2006 è immacolata, non c'erano più nemmeno Bergamo e Pairetto come designatori. Questo deve far riflettere, ci sono società e persone fisiche che hanno subito condanne: non si può far finta di nulla e dire "è stata giustizia sommaria, andiamo avanti". Ci sono richieste danni per centinaia di milioni».
L'investigatore racconta perfino di un audio che potrebbe scagionare Della Valle e di cui non c'è traccia: che ne pensa?
«Che ci sono troppe domande in attesa di risposta: dall'intervista emerge che è stato commesso un reato, che sono state intercettate utenze internazionali senza permesso, vien fuori che ci fu una lite per chiudere il caso o andare avanti e sarebbe importante sapere perché si proseguì. Il 12 maggio 2006, il presidente Abete dettò una dichiarazione che torna d'attualità: "Considerati l'importanza e il rilievo che il calcio riveste nel nostro Paese anche sotto il profilo sociale, riteniamo positivo che si faccia di tutto per l'accertamento di quanto avvenuto, avendo come obiettivo prioritario quello di garantire il massimo livello di chiarezza e trasparenza”».
C'è imbarazzo, da parte vostra, nel confronto quotidiano con la Federazione?
«A livello politico, faccio fatica a confrontarmi in generale: ci sono le stesse persone, più o meno, e hanno il dovere di mettere a disposizione degli associati strumenti che garantiscano parità di trattamento».
Cosa pensa della denuncia di Della Valle a Guido Rossi?
«Non entro in personalismi: per me Rossi rappresentava la Federazione, ha agito in suo nome e per suo conto».
Cosa sarebbe successo se Moratti avesse fatto un gesto distensivo, rinunciando allo scudetto?
«La relazione è lì, ma non m'addentro: ognuno ha una sua coscienza e le sue profonde convinzioni».
Che rapporti ha con il presidente nerazzurro?
«Di educazione e civiltà: devono rimanere tali e sarebbe bello se si estendessero ai tifosi. Non siamo in guerra, il calcio è un grande spettacolo di sport, e l'Inter è lì per caso: se fosse arrivata terza un'altra squadra, avremmo chiesto comunque se era giusto assegnarle lo scudetto».
Ritiene sia stato frettoloso, al tempo, scaricare Moggi e Giraudo?
«All'epoca il quadro sembrava completo, con un impianto accusatorio violentissimo e un'attenzione altrettanto violenta da parte dei media che imponeva di decidere in fretta. Noi accettammo tutto, l'esposto è nato per l'assegnazione dello scudetto: abbiamo chiesto se permanevano i requisiti senza entrare nel merito della decisione del 2006. La nostra domanda è molto semplice: "Fu giusto assegnarlo?" Ognuno, naturalmente, ha un'opinione».
Come finirebbe, secondo lei, un'ipotetica sfida tra l'Inter del triplete e la Juventus di Capello?
«Nessun dubbio: vinciamo noi 3-0»
Quella fu l'ultima grande Juve, ma ora state tornando ai vertici...
«Sin dal mio primo giorno di presidenza lavoriamo per tornare a vincere sul campo. Abbiamo trasformato la società, con dirigenti tutti nuovi, e cambiato profondamente la squadra. Sapevamo che il primo anno sarebbe stato difficile e il secondo di completamento: adesso c'è un buon impianto, possiamo ragionare su uno o due inserimenti a stagione per crescere».
C'è stato un momento, in estate, in cui la Juve poteva diventare di Mazzarri?
«E' stata sempre la Juve di Conte»
.
Chi ha scelto il vecchio capitano?
«Tutte le decisioni, con riferimento alla parte sportiva, vengono prese di comune accordo con Marotta, Paratici e Nedved. Quando si è creata la possibilità di ingaggiare Antonio, è stato chiaro a tutti che fosse una scelta idonea. I risultati che ha ottenuto non mi stupiscono: lo conosco da vent'anni, ne ho ben presenti qualità, doti umane e competenza».
Un suo difetto?
«Gli manca un filo d'esperienza, come manca a me. Ma entusiasmo giovanile ed esperienza non possono coesistere».
Come è nata l'dea Pirlo?
«Il compito dell'area sportiva è monitorare le occasioni di mercato che si creano. Se devo essere sincero, mi ha stupito l'iniziale scetticismo: oggi piovono complimenti, ma in estate si sussurrava "è rotto" oppure "è vecchio"».
Il Milan portò via il regista all'Inter e costruì un ciclo vincente: la storia si ripete in bianconero? «La qualità di Pirlo è assoluta, ma io ho una convinzione: in campo si va in undici e un solo campione, per quanto straordinario, non fa la differenza».
In diciotto mesi di presidenza, c'è un calciatore che ha cercato con forza e non è riuscito a prendere?
«No, perché abbiamo lavorato in emergenza, avviato la rifondazione senza avere ancora una strategia. Rimpianti potranno esserci soltanto dall'anno prossimo, quando potremo muoverci con serenità sul mercato e completare, con pochi innesti, l'organico».
Da presidente tifoso, le capita di "innamorarsi" d'un fuoriclasse e suggerirlo ai suoi dirigenti?
«Mi innamoro solo della squadra. E se si assumono professionisti è per attribuirgli responsabilità e lasciarli lavorare».
Con il senno di poi, l'annuncio dell'addio di Del Piero non meritava una maggiore solennità?
«A me spiace che un gesto d'affetto sia stato interpretato come un atto ostile. Fu Del Piero, al momento delle firme, a dire che era il suo ultimo contratto con la Juve: perché tanto stupore se cinque mesi dopo viene chiesto un tributo? Lui è la storia, come Boniperti e Platini».