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Addio Costanzo. Polimorfo creativo, colonna italiana, precursore: ci ha raccontato per mezzo secolo
Costanzo è stato un caso quasi unico in Italia: un giornalista cronista (iniziò a “Paese Sera” nel 1956) che fece entrare la cronaca, la politica, il cinema, insomma la realtà, in uno studio televisivo. Spettacolarizzò il quotidiano come nessuno, senza distinguere tra alto e basso, tra effimero e radicato.
Oggi, siamo abituati ai talk show, appunto, agli spettacoli della parola con giornalisti intrattenitori, con ospiti più o meno urlanti, professori che diventano attori, cantanti travestiti da opinionisti, ma negli anni Settanta no. E' con “Bontà loro” del 1976 che Costanzo inaugura una specie di salotto televisivo in cui, per la prima volta (anzi per la seconda: Rispoli lo aveva preceduto di un anno, senza però avere il suo successo) ospita attori e politici, professori e soubrette. Il suo stile è sornione: punzecchia e ritira la mano, incendia e butta acqua sul fuoco. Gian Maria Volontè conta come Pippo Baudo, Mario Merola come il professor Zichichi. Estenderà questa formula del salotto mediatico fin quasi ai giorni nostri col “Maurizio Costanzo Show”, in cui s'incontrano migliaia di ospiti: dal ministro al cuoco, dall'attore all' impresario, dalla massaia alla spogliarellista. E' una varia umanità raccontata per pubbliche virtù, ma talvolta anche per vizi privati perché lui non ha mai smesso di cercare l'individuo nascosto sotto la maschera del successo e del potere o, meglio ancora, del noto. E' stato quest'approccio tra il bonario e il mefistofelico, tra il confidenziale e l'allusivo, la cifra rivoluzionaria che gli ha permesso di raccontare, appunto mezzo secolo italiano.
Certo, Costanzo fu anche un “multiforme ingegno”, capace di scrivere canzoni memorabili come “Se telefonando” (con Ghigo De Chiara) fatta volare dalla musica di Morricone e dalla voce di Mina, di aprire e chiudere giornali come “L'Occhio” (tentativo fallimentare di proporre un “Daily Mirror” nostrano), di dirigere “La Domenica del Corriere”, di partecipare alle sceneggiature di molti film, quattro dei quali diretti da Pupi Avati e di scrivere addirittura, la prima stesura di “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini. Con Scola collaborò alla sceneggiatura di “Una giornata particolare”, interpretato dalla coppia Loren-Mastroianni.
Accetta direzioni artistiche un po' ovunque, fonda case di produzione, si sposa e si separa (4 mogli), riceve - lui mai laureato - parecchie lauree magistrali honoris causa. Scrive ovunque, per “Panorama”, per “Il Messaggero”, “Gente”, “Il Riformista”. Ma il giornale che gli è più caro si chiama “Il Romanista”, che contribuisce a fondare. La Roma e “Il Maurizio Costanzo Show”, (praticamente inesauribile per puntate, riproposizioni, nuove stagioni che si confondono con le vecchie) furono da lui definiti “due punti fermi della mia vita”. Era onnivoro, bulimico, inarrestabile. S'iscrisse alla P2 (“un gravissimo errore” confessò) e subì un attentato dalla mafia. Apriva e chiudeva società di produzione televisive, elargiva consulenze - profumatamente retribuite- a profusione.
Il suo tramonto fu ricco e affollato, fra decine di trasmissioni (soprattutto Mediaset), collaborazioni giornalistiche e libri sfornati a ripetizione. La quantità, spesso, superava la qualità. Era diventato stanco, ma non mollava. Ogni tanto nelle registrazioni dei suoi “show” sembrava distratto, poi, di colpo, si ripigliava e riprendeva la sua specialità da pontefice dell' interruzione, capace di sfilacciare e riannodare il discorso degli altri, di alludere, come se la verità dovesse sempre arrivare da un momento all'altro senza mai palesarsi del tutto. Fu felice di diventare direttore della comunicazione della Roma, ma se ne andò quasi subito, deluso, come spesso succede quando s'incontrano i propri miti da vicino, perché non gli dicevano quasi niente e, quindi, non “aveva niente da comunicare”. Provò decine di diete per dimagrire. Magro non divenne mai.