Addio a Ciampi, che ricordò al calcio cosa vuole dire essere veri italiani
Soltanto uno, prima di lui, era riuscito a conquistare strada facendo i gradi di “presidente di tutti gli italiani”. Sandro Pertini, un ligure dal carattere talvolta impossibile per bizzarria e per permalosità ma anche posseduto da una forza interiore talmente potente e da una pulizia di pensiero talmente cristallina che confluivano in un appeal carismatico in grado di conquistare il consenso popolare senza distinzioni di classe politica o sociale. Se Pertini possedeva il segreto della formula alchemica giusta per stuzzicare la “pancia” degli italiani, Carlo Azeglio Ciampi sapeva egualmente creare un’aura di grande empatia con strumenti meno da palcoscenico eppure di presa pressoché inattaccabile stimolando anche la ragione dei suoi connazionali. In questo lo aiutava sicuramente la sua livornesità a denominazionie di origine controllata.
Gente curiosa quella che vive in una città portuale la quale, geograficamente posizionata in Toscana, partorisce figli differenti da quelli che nascono in un regione che spesso ama atteggiarsi a madre, linguistica e culturale, di tutti gli italiani. I livornesi non pretendono così tanto. Non sono presuntuosi fino a tal punto. Consapevoli di essere frutto di “razza bastarda” concepita dal seme di etnie differenti in una sorta di non luogo geografico, vanno addirittura oltre rivendicando il sommo rispetto dovuto agli uomini in senso ampio e facendo dell’orgoglio nazionale e non regionale la bandiera della loro terra. Non a caso i semi dell’anarchia libertaria e positiva proprio nel Livornese hanno prodotto i frutti migliori.
Carlo Azeglio Ciampi, nonostante le fatali contaminazioni internazionali e malgrado le pericolose frequentazioni capitoline di palazzo, non tradì mai il valore cardine delle sue origini. Non solo. Avendone ricevuto dal Parlamento riunito e in maniera praticamente plebiscitaria la possibilità di farlo operò, come capo dello Stato, per fare in modo che ciascun cittadino si riappropriasse della propria identità smarrita per strada e rivendicasse davanti agli occhi del mondo intero il dovuto rispetto per chi era orgoglioso di essere italiano. In maniera concreta, sentita e senza formalismi di sorta. Ed è stato proprio nel corso del suo settennato che il nostro Paese, rappresentato da differenti premierati come quelli di Prodi, D’Alema e Berlusconi i cui scivoloni trovavano indulto internazionale grazie alla presenza carismatica del presidente Ciampi, ha trovato la giusta collocazione e si è guadagnato la dovuta considerazione dell’Europa che conta.
Rispetto a Sandro Pertini, l’unico rammarico di Carlo Azeglio Ciampi fu quello di non aver potuto replicare in copiacarbone la grande e meravigliosa avventura che, invece, toccò in sorte al suo più fortunato predecessore nello stadio del Bernabeu a Madrid dove l’Italia di Enzo Bearzot conquistò la Coppa del Mondo del 1982. Ciampi, nelle vesti di presidente della Repubblica, si trovava nella tribuna d’onore dell’impianto De Kuip di Rotterdam dove, nel 2000, era in cartellone la finalissima con in palio l’Europeo tra gli azzurri e la Francia. Vinsero i “cugini”, per due a uno, nei tempi supplementari. La delusione non oscurò, comunque, la parte passionale del Ciampi tifoso di calcio e, in particolare, del suo Livorno.
Fu maestosa la standing ovation con la quale il pubblico del Picchi accolse il presidente una domenica di settembre del 2004 prima di Livorno-Chievo. Fu memorabile, per il presidente Spinelli e i suoi ragazzi, un giovedì di fine estate del 2005 quando tutti gli uomini del team amaranto vennero ricevuti al Vittoriale. Di quel momento rimane una fotografia di Carlo Azeglio Ciampi che, palla al piede e la schiena ben ritta, fa un tunnel ad uno sbacalito Lucarelli.
Buon viaggio e buon riposo, presidente.