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    Adani: ‘Sono in panchina. Maradona il più grande ma prego Dio che vinca Messi’. Su CR7, le critiche e Cassano…

    Adani: ‘Sono in panchina. Maradona il più grande ma prego Dio che vinca Messi’. Su CR7, le critiche e Cassano…

    • Redazione CM
    Daniele Adani si è raccontato in un’intervista dai mille spunti al Corriere della Sera. Commenterà la finale per il terzo-quarto posto fra Marocco e Croazia.            
     
    MESSI DRIBBLA I CAMMELLI… - «Ha fatto di più: per preparare l’assist del 3-0, ha portato a spasso lungo tutta la fascia il più forte difensore dei Mondiali, Josko Gvardiol. Ha fatto una giocata di forza, non da Messi. In quel momento c’era Maradona in lui».
     
    DIEGO L’AVEVA PREDETTO - «Da due anni, da quando è morto, non c’è giorno che io non pensi a Maradona. Intendeva che il calcio argentino non finiva con lui. Il giorno del suo ritiro, della sua morte sportiva, Diego pronunciò la frase più importante nella storia del football. La pelota no se mancha. Lui aveva sbagliato, e pagato. Ma il pallone non si macchia. Come il pennacchio di Cyrano (di Bergerac, ndr)».
     
    I TELESPETTATORI PROTESTANO - «I telespettatori vogliono emozioni».
     
    NIENTE FINALE MONDIALE - «Mi hanno insegnato che quando il mister ti manda in panchina non si chiede mai perché. Non era previsto che commentassi la finale. Ho fatto 14 telecronache. Un’esperienza stupenda; già mi manca. Una grande spedizione: Donatella Scarnati, Alessandro Antinelli e tutti gli altri hanno fatto un lavoro straordinario».
     
    LA DIFFERENZA FRA GLI APPASSIONATI DI SKY E IL PUBBLICO GENERALISTA - «L’ho sentito dire anche in Rai. Ma pure il pubblico generalista è appassionato di calcio. Legga i messaggi che ricevo. Decine al giorno. Mi scrivono per ringraziare, commentare, chiedere aiuto…Le difese da parte di Aldo Grasso mi ha fatto molto piacere. Ma io non cerco il consenso. Cerco il dissenso. Quando hai dieci milioni di persone davanti al video, devi trasmettere loro qualcosa».
     
    IL SUO PRIMO RICORDO CALCISTICO - «Spagna 1982, Italia-Brasile. Avevo otto anni. Papà e lo zio si abbracciavano ai gol di Paolo Rossi. Fu allora che compresi l’immensità del calcio. Il suo segreto».
     
    IL SUO SEGRETO - «Il legame tra quel che senti guardando i campioni, e quel che senti giocando per strada».
     
    IL SUO PRIMO CLUB - «Iniziato alla Sammartinese? Sì. E ho finito nella Sammartinese. Il più clamoroso dei salti all’indietro: dieci divisioni, dalla serie A alla seconda categoria. Avevo 34 anni, offerte dall’estero. Ma volevo tornare a casa, a San Martino in Rio, Reggio Emilia. Famiglia contadina. Di sinistra: il mito era Berlinguer. Papà Sante era artigiano, anzi artista: era più bravo a lavorare il legno di quanto non fossi io con il pallone. Mia madre Vanna, operaia, non c’è più da dieci anni. Anche se la sento sempre con me. Nella brezza che spira qui al diciannovesimo piano, nel caffè che stiamo bevendo, nel mare all’orizzonte…».
     
    CR7 DOVREBBE TORNARE A CASA? - «Arriva sempre nella vita l’ora di restituire parte di quello che ti è stato donato: le grida d’amore di ottantamila persone. La morte sportiva è un momento drammatico. Guardi qui in Qatar: oltre a Cristiano, Suarez, Cavani, Modric, Di Maria, anche Messi…».
     
    CREDE IN DIO? - «Certo. Non può finire tutto qui».
     
    CHI E’ STATO IL PIU’ GRANDE - «Messi da diciotto anni ha una continuità non umana. Però ogni generazione ha il suo eroe. Per me il più grande è stato Maradona. Ma Guardiola indica la statua di Crujff e dice: dobbiamo tutto a lui. Secondo El Flaco Menotti il più grande calciatore della storia è Pelè: “El Negro es otra cosa…”. Fra gli italiani dico Baggio. Poi Pirlo. Mio padre dice Rivera. Maldini è stato il più grande difensore di sempre. Ho giocato con lui, e quando mi faceva segno di salire sentivo l’emozione alla gola, mi pareva di essere inadeguato. Ma gli immortali sono quelli che attaccano».
     
    L’ATTACCANTE PIU’ FROTE CON CUI HA GIOCATO - «Ronaldo Luis Nazario da Lima: faceva cose che non si erano mai viste fare a nessuno. Poi Batistuta. L’ho incontrato qui l’altro giorno, in un parcheggio. Ci siamo abbracciati. Aveva le caviglie a pezzi. Ora sta meglio, ha ripreso a camminare. Il calcio è anche sofferenza».
     
    SU BALOTELLI - «Era fortissimo. Aveva tutto. Ma è difficile resistere sia all’amore che ti piove addosso, sia all’invidia. Tutti vorrebbero fare il calciatore; quasi nessuno ci riesce».
     
    GLI INIZI DA ALLENATORE - «Mancini mi chiese di fargli da vice all’Inter. Ma lavoravo già a Sky, e avevo dato la mia parola».
     
    L’EPILOGO CON SKY - «Non lo so perché è finita. Non me l’hanno mai spiegato. Il rapporto prima si è raffreddato, poi si è interrotto».
     
    LA PASSIONE PER I SUDAMERICANI - «Ho sempre legato molto con loro. Lunghe serate in ritiro a parlare e a bere mate: Hernan “Valdanito” Crespo, El Pupi Zanetti, El Chino Recoba, Carlos “Colorado” Gamarra…». I paraguagi Carlos Gamarra e Celso Ayala furono la più forte coppia di difensori centrali di Francia 1998! Ma l’amico più caro divenne Matias Almeyda: un hermano, un fratello. Andai a trovarlo a Buenos Aires, e scoprii il River. Di notte non dormivo: guardavo il campionato argentino, quello uruguagio, la Copa Libertadores, la Copa America... Cos’hanno di speciale? Il sangue bollente. Le giocate di strada. Messi di solito scannerizza il campo, ha un radar che gli fa vedere cose che altri non vedono, ma l’altra sera quel dribbling sulla fascia è stato una giocata di strada. Sapevo che l’avrebbe fatta. Come le ho detto che sarebbe finita Argentina-Croazia, quando ci siamo visti allo stadio prima della partita?».
     
    LA GARRA CHARRUA - «È l’artiglio degli indios. È la rabbia con cui i nativi si difesero dagli invasori. Non si capisce il calcio sudamericano se non si coglie quel senso di ribellione che viene da dentro, che non accetta un No come risposta. È una passione al bordo della follia. L’ Uruguay è una delle due grandi passioni della mia vita. Perché è il miracolo del calcio. Tre milioni di abitanti, due Mondiali, due Olimpiadi, quindici Coppe America, quasi il doppio del Brasile. L’uruguagio dà il meglio quando è debole, sopraffatto, soverchiato. L’uruguagio è l’uomo a terra che si rialza. Tutti abbiamo dentro una scintilla del suo spirito. Quando la notte non riesco a dormire, penso al Capitan, lo vedo al Maracanà. L’altra è Mohammed Alì. Sono andato a piangere sulla sua tomba».
     
    CHI E’ IL CAPITAN - «Obdulio Varela, detto El Negro Jefe, leader degli eroi del 1950. Segna il Brasile. El Capitan capisce che se l’Uruguay si sbilancia all’attacco, è finita. Allora tiene palla, abbassa il ritmo, congela la partita. Pepe Schiaffino, nipote di un macellaio di Camogli, pareggia in contropiede. Al 79’ parte Ghiggia e infila il 2-1 davanti a duecentomila brasiliani… (Adani ha le lacrime agli occhi). La vittoria più clamorosa nella storia del calcio».
     
    SU ALLEGRI - «Non ce l’ho con lui. Per due volte ho interagito con lui, per due volte si è tolto l’auricolare e se n’è andato. Non si è evoluto. Lo farà, ne sono certo. Per ora, non mi piace come gioca e non mi piace come parla. Corto muso… Allegri non ha capito che il calcio contemporaneo deve dare emozioni. Il possesso palla è un mezzo, non un fine. Conta pressare, avanzare, calciare in porta».
     
    SULLA BOBO TV - «È la cosa più rivoluzionaria. Mi sa che qualche suo collega giornalista la patisce un po’. Cassano non ne azzecca una? Bugia. Antonio è un generoso. Siete voi che volete sempre ridurlo al trash. L’avete preso in giro quando disse che Julian Alvarez era meglio di Haaland; e adesso Alvarez è la sorpresa del Mondiale».
     
    SU QUANDO FECE RITROVARE UN RAGAZZO SCOMPARSO - «Vigilia di Inter-Juve, semifinale della Coppa Italia 2004. Un giornalista mi chiede di lanciare un appello per un padre di Brescia, disperato: il figlio, Francesco, non si trova più. Mi dicono che non si può. Così scrivo un messaggio sulla canottiera sotto la maglia. E penso: se segno, la faccio vedere. La Juve sta vincendo 2-1 a San Siro. Fuga di Stankovic sulla sinistra, cross, Emre che è piccolissimo la prende di testa, il portiere devia, io metto il piede, la palla entra. Corro verso centrocampo e mostro la scritta: “Francesco torna”. Il giorno dopo, Francesco tornò. Era in un bar di Genova, a guardare la partita. Crisi d’adolescenza; superata. Siamo rimasti in contatto, mi ha scritto l’altro giorno».
     
    SU CHI VINCE DOMANI - «La favorita è la Francia: 55 a 45. Ma preghiamo il dio del calcio perché ponga una mano sulla testa di Leo Messi».
     

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