Ad Harvard si studia il metodo Ferguson: metterebbe in riga anche il Padrino
Alla vigilia del suo 71° compleanno, festeggiato il 31 dicembre, il regalo più prestigioso lo ha ricevuto dalla università di Harvard. Anita Elberse e Tom Dye, professori della Business School nell'ateneo americano, hanno pubblicato un rapporto di 25 pagine, frutto di lunghe interviste avvenute nel corso del 2012, al manager più decorato della storia calcistica (28 trofei fra campionati e coppe contro 14 del secondo che è Mourinho).
Quale migliore riconoscimento per il fuoriclasse della panchina? Che sir Alex Ferguson, figlio di operai, sia una leggenda tanto del football scozzese (lui è di Glasgow e ha mosso i primi passi da giocatore nei Rangers e da allenatore nell'Aberdeen) quanto del football inglese (da 26 anni è alla guida del Manchester United) e del football mondiale (visti i successi internazionali) è un dato di fatto.
Ma che il baronetto laburista (la sua fede politica è dichiarata) nonché «comandante dell'Ordine dell'Impero Britannico» sia divenuto oggetto di studio della cattedra di marketing e management della Harvard Business School (dove sempre nel 2012 ha pure tenuto una lezione) è davvero una medaglia che nessuno ha fra i grandi del calcio.
Non ci sono biografie o articoli che illustrano così in profondità i segreti professionali e caratteriali di sir Alex, «uno che metterebbe in riga persino Don Corleone». Con gli ultramilionari campioni, che siano Ronaldo o Rooney, Cantona o Van Persie, usa poche ma banali regole, bastone e carota: li difende in pubblico e li massacra nello spogliatoio. Se corrono e sudano li gratifica con un «well done», ben fatto, perché (sua ammissione) sono «le due parole migliori inventate nello sport e perché non c'è bisogno di superlativi». Se sgarrano sono guai seri.
Il suo vangelo è che i migliori devono lavorare tanto e più degli altri: «Se non ti alleni duramente vuol dire che non sei un campione». Semplice. «Un atleta che si sottrae a questa basilare norma di comportamento per me è un uomo morto. Io voglio ragazzi che sposino in pieno la causa del Manchester, almeno fino a che stanno con me». I match li prepara studiando «i due o tre elementi più importanti fra gli avversari, ovvero chi organizza il gioco, chi batte le punizioni, chi è l'anima della squadra».
Metodologia di lavoro chiara. «Il mercoledì so già chi gioca la domenica. Il venerdì e il sabato guardo i filmati assieme alla squadra per valutare i punti deboli di chi incontriamo. La formazione la rendo nota solo un'ora e mezzo prima di scendere in campo. Chiamo gli esclusi, mi spiego e dopo parlo a tutti».
È un manager che vuole sempre vincere ma che sa perdere «se si perde con dignità», che sa usare le parole giuste per incoraggiare quando è necessario ma che s'infuria coi lazzaroni. Ed è un gentleman che a fine di ogni partita, trionfo o caduta, invita gli allenatori avversari a bere un bicchiere di buon vino nel suo ufficio allo stadio: «L'ospitalità è un dovere e un piacere».
Sir Alex è un signore e un mito che trova ispirazione manageriale nella storia della Guerra Civile. Ha compiuto 71 anni, 26 al Manchester United. Ha vinto tutto e più di tutti. Il Financial Times ne ha pronosticato il pensionamento a fine stagione. Ma anche i grandi giornali sbagliano. Sir Alex alla televisione di Abu Dhabi ha risposto: «Per altri due o tre anni resto». Poi, trovarne un altro che incanta persino Harvard sarà dura.