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    Acerbi-Juan Jesus, il razzismo va preso di petto: si scusi per le frasi in campo, negate poi fuori. Solo così sarà migliore

    Acerbi-Juan Jesus, il razzismo va preso di petto: si scusi per le frasi in campo, negate poi fuori. Solo così sarà migliore

    • Sandro Sabatini
      Sandro Sabatini
    Acerbi si è scusato in campo; Acerbi ha negato fuori dal campo. Se continua così, rischia di peggiorare la sua posizione. Juan Jesus ha ascoltato e parlato in campo, Juan Jesus ha riflettuto e scritto fuori dal campo. Se continua così, può simboleggiare lo slogan che per surreale coincidenza era appiccicato alla giornata di campionato: #keepracismout.



    Ricominciamo. Domenica sera Acerbi si è scusato con l’arbitro testimone: significa che aveva pronunciato qualcosa, una frase o una parola, di cui scusarsi. Da lunedì mattina Acerbi ha negato e sta negando: può significare tante cose. Che è smemorato o bugiardo, impaurito o vigliacco. Non significa che è razzista. No, perchè almeno quello l’ha giurato sia in campo che fuori.

    Ma proprio questo finisce per essere il problema di base, che molti continuano a non comprendere. “Io non sono razzista” è una frase vuota, in sé. Una promessa. Uno slogan. Una pubblicità. Un’autopromozione di un Acerbi qualsiasi. Attenzione invece a quest’altra frase, e immaginatela pronunciata da un qualsiasi Juan Jesus: “Tu non sei razzista”. Da “io” a “tu” c’è il mondo che cambia. Il mondo che comprende e diffonde l’essenza della lotta al razzismo: la parola “negro” non va misurata per l’effetto che fa a chi la dice, bensì a chi la ascolta. Per qualsiasi espressione, conta la sensibilità di chi riceve, non di chi invia. È la base dei rapporti umani. E vale per tutto.

    Sintesi senza ipocrisia: Acerbi non è razzista, ma ha pronunciato qualcosa di razzista. E usciamo anche dal labirinto di giustificazioni, eccezioni, comprensioni, eccetera eccetera. Il labirinto dei “ma”. Io dico negro, ma non sono razzista. E che sono, allora? 

    “Un ignorante, un inconsapevole, un giocherellone, uno scherzoso. Giuro, non ci ho pensato. La tensione agonistica, è stato un attimo. Siamo anche amici, ci conosciamo da anni. Ho un compagno che è come lui. Dai, su: non facciamola tanto lunga”. Quella che avete appena letto è un’immaginaria trascrizione tra virgolette delle scuse (non immaginarie) esposte da chi si esprime senza rendersi conto della sensibilità altrui.

    La difficoltà di espressione ha contagiato un po’ tutti, in questa storia che - speriamo - un giorno potrebbe anche diventare bellissima ed esemplare, se ci fosse un’accurata presa di coscienza da parte di tutti. La coscienza della Federcalcio che, facendosi precedere da un comunicato politico, rimanda a casa Acerbi ma senza specificare perchè. La coscienza dell’Inter che lo riaccoglie senza aver chiesto perchè. Testuale dal comunicato del club: “FC Internazionale Milano si riserva quanto prima un confronto con il proprio tesserato al fine di far luce sulle esatte dinamiche di quanto accaduto”. Scusate: ma di avete parlato fino ad ora? Cioè: negli spogliatoi nessuno ha chiesto “Caro Acerbi, che è successo?”.

    Infinita e risaputa stima per Spalletti, però anche lui poteva essere meno imbarazzato: “Ho chiamato Juan Jesus, ma aveva il telefono staccato”. Come la Playstation in ritiro? Il telefonino spento nel giorno di riposo? Boh… Il telefonino spento non si sentiva da quando Spalletti era l’allenatore dell’Empoli, anzichè dell’Italia. Stessa maglia azzurra, ma con sfumature differenti.

    Ovunque e comunque si commenti questa storia, c’è il pericolo di giocare a nascondino. Qui invece va presa la situazione di petto. “Petto netto”, come diceva proprio Spalletti per un rigore. E con grande rigore, qui c’è solo una soluzione: Acerbi deve ammettere e scusarsi nuovamente. Sia per quello che ha detto in campo, sia per ciò che non ha poi avuto il coraggio di confermare fuori dal campo. Prenderà la squalifica e salterà l’Europeo, ma sarà un uomo migliore. Altrimenti, senza questo passo essenziale, rischia di non vedere la luce in fondo al tunnel. “Un tunnel nero” si può dire, non è razzismo. Questo, no…

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