90 anni di Ferlaino: lo 'scandalo' Savoldi, amore e odio con Maradona e il tifo schivo per il Napoli di De Laurentiis
Geniale? Sicuramente sì. Ma pure furbo. Amante della velocità. Soprattutto quella di pensiero. Raramente uomo di mezze misure anche nelle passioni che suscitava - e ancora suscita - nei ricordi e nei racconti della gente. Eccolo Corrado Ferlaino: lo scudetto dei novant’anni appena conquistato e una vita mai noiosa. Agitata, persino pericolosa, forse, ma noiosa decisamente no. Fosse nato animale, sarebbe stato un gatto diffidente. Di sicuro è stato un uomo schivo, introverso, di poche parole. E’ stato, sì. Perchè con l’andare degli anni è assai cambiato. Abbandonato il calcio. Lasciato il suo Napoli dopo trentatré anni, un mese e dodici giorni di regno quasi ininterrotto, ma anche dopo due scudetti, una coppa Uefa, due coppe Italia, due retrocessioni, una promozione, cento felicità e mille tribolazioni, dopo tutto questo, infatti, a poco a poco ha trovato il gusto d’essere presente.
Di farsi vedere, di parlare di nuovo di pallone. Napoli compreso. Sì, per qualche anno ha rispettosamente evitato pensieri e parole forse pure per non sembrare inopportuno o, chissà, per non andare in conflitto con la nuova proprietà del club, ma poi non ce l’ha fatta più e s’è lasciato andare: “io farei così”, “io non licenzierei l’allenatore”, “io…”, “io…”, “io…”. Mai troppo invadente, però. Mai oltre il segno del rispetto per il nuovo regno azzurro. Però la voglia di sentirsi ancora un po’ protagonista, sì. Comprensibile, umano. E certe sortite gliele avrà sicuramente perdonate Aurelio De Laurentiis, il quale non ha fatto mancare al suo predecessore gli auguri suoi e quelli del suo vecchio club.
Due scudetti e il primo dei due anche il primo della storia azzurra. Maggio 1987. “Finita la partita e fatta un po’ di festa, dopo una telefonata a casa tornai in albergo. Volevo starmene tranquillo per i fatti miei, mentre fuori c’era una città impazzita di gioia e di felicità. Ma nell’albergo sul lungomare arrivò il presidente, Corrado Ferlaino, e praticamente mi obbligò a salire in macchina con lui e andare per strade e per piazze. E fu un’emozione incredibile. Non volevo andarci, ma oggi ringrazio Ferlaino. Oggi non mi sarei perdonato di non aver vissuto in mezzo alla gente quelle indimenticabili emozioni”, ricorda Ottavio Bianchi, l’allenatore di quello storico successo.
Il Napoli Ferlaino l’aveva fatto suo il 14 febbraio del ’69. Duecentosessantacinque milioni di lire per il 51 per cento di un club pieno di debiti e con l’ufficiale giudiziario alla porta per pignorare qualche mobile senza alcun valore. “Questo guaglione è fesso”, commentò il vecchio Comandante Achille Lauro, sino ad allora padre-padrone della società. “Tutti quei milioni per una società che vale meno della metà”, disse. Ma poi s’accorse che “fesso” non era quel guaglione che gli aveva portato via la sua creatura. E qual giorno cominciò un’altra storia. Fatta di successi e di sconfitte, bidoni e di campioni; di conflitti, critiche pure feroci ed ambizioni, fino alle stanze del potere della Federcalcio.
Due miliardi di lire per prendere Savoldi. Fu uno scandalo per chi mischiava e confondeva la vita del Napoli con quella di una Napoli non certo benestante. Savoldi, dunque. Ma anche Vinicio allenatore visionario e precursore della zona. E poi il capitano Antonio Juliano, eccellente numero otto in campo e poi dirigente testardo al punto da riuscire a portare a Napoli nientepopodimeno che Diego Maradona. Oggi si racconta triste, Ferlaino, perché Diego non c’è più. Sarà pure così. Sarà che con passare degli anni aumenta pure la sensibilità, ma cert’è anche con Maradona fu amore e ruggine. Maradona ce l’aveva con lui, ma quando l’incontrava non gli negava mai un sorriso. “Se vinciamo la coppa Uefa - era il 1989 - ti lascio libero d’andare al Marsiglia”, così ha sempre raccontato Diego che aveva già definito tutto con Bernard Tapie. “Non è vero, quella promessa io non l’ho fatta mai”, replicò anni dopo Ferlaino. Cosicché, ognuno è libero di credere all’uno, oppure all’altro dei protagonisti. Cert’è, quando il Napoli ritirò la maglia numero 10 e Ferlaino andò in un hotel di Roma per consegnare a Maradona quell’ultima maglietta, Diego lo lasciò fuori della porta almeno una decina di minuti. Una piccola vendetta, se si vuole, prima dei soliti sorrisi e qualche abbraccio.
L’addio al Napoli nel febbraio del 2002, dopo 34 campionati, 1050 partite e mettendo in fila quasi dieci milioni di spettatori affezionati. L’addio quando il Napoli era già tristemente avviato verso il fallimento. Ma quando questo accadde, due anni dopo, lui già non c’era più. Ebbene, da allora lui il Napoli allo stadio non l’ha visto più. Non ha voluto più vederlo. Fors’anche per non rubare anche solo per un attimo la scena al Napoli di oggi. Sì, fino ad oggi per il Napoli al San Paolo oggi San Diego non c’è più tornato. Ma mai dire mai. Domani si vedrà.
Di farsi vedere, di parlare di nuovo di pallone. Napoli compreso. Sì, per qualche anno ha rispettosamente evitato pensieri e parole forse pure per non sembrare inopportuno o, chissà, per non andare in conflitto con la nuova proprietà del club, ma poi non ce l’ha fatta più e s’è lasciato andare: “io farei così”, “io non licenzierei l’allenatore”, “io…”, “io…”, “io…”. Mai troppo invadente, però. Mai oltre il segno del rispetto per il nuovo regno azzurro. Però la voglia di sentirsi ancora un po’ protagonista, sì. Comprensibile, umano. E certe sortite gliele avrà sicuramente perdonate Aurelio De Laurentiis, il quale non ha fatto mancare al suo predecessore gli auguri suoi e quelli del suo vecchio club.
Due scudetti e il primo dei due anche il primo della storia azzurra. Maggio 1987. “Finita la partita e fatta un po’ di festa, dopo una telefonata a casa tornai in albergo. Volevo starmene tranquillo per i fatti miei, mentre fuori c’era una città impazzita di gioia e di felicità. Ma nell’albergo sul lungomare arrivò il presidente, Corrado Ferlaino, e praticamente mi obbligò a salire in macchina con lui e andare per strade e per piazze. E fu un’emozione incredibile. Non volevo andarci, ma oggi ringrazio Ferlaino. Oggi non mi sarei perdonato di non aver vissuto in mezzo alla gente quelle indimenticabili emozioni”, ricorda Ottavio Bianchi, l’allenatore di quello storico successo.
Il Napoli Ferlaino l’aveva fatto suo il 14 febbraio del ’69. Duecentosessantacinque milioni di lire per il 51 per cento di un club pieno di debiti e con l’ufficiale giudiziario alla porta per pignorare qualche mobile senza alcun valore. “Questo guaglione è fesso”, commentò il vecchio Comandante Achille Lauro, sino ad allora padre-padrone della società. “Tutti quei milioni per una società che vale meno della metà”, disse. Ma poi s’accorse che “fesso” non era quel guaglione che gli aveva portato via la sua creatura. E qual giorno cominciò un’altra storia. Fatta di successi e di sconfitte, bidoni e di campioni; di conflitti, critiche pure feroci ed ambizioni, fino alle stanze del potere della Federcalcio.
Due miliardi di lire per prendere Savoldi. Fu uno scandalo per chi mischiava e confondeva la vita del Napoli con quella di una Napoli non certo benestante. Savoldi, dunque. Ma anche Vinicio allenatore visionario e precursore della zona. E poi il capitano Antonio Juliano, eccellente numero otto in campo e poi dirigente testardo al punto da riuscire a portare a Napoli nientepopodimeno che Diego Maradona. Oggi si racconta triste, Ferlaino, perché Diego non c’è più. Sarà pure così. Sarà che con passare degli anni aumenta pure la sensibilità, ma cert’è anche con Maradona fu amore e ruggine. Maradona ce l’aveva con lui, ma quando l’incontrava non gli negava mai un sorriso. “Se vinciamo la coppa Uefa - era il 1989 - ti lascio libero d’andare al Marsiglia”, così ha sempre raccontato Diego che aveva già definito tutto con Bernard Tapie. “Non è vero, quella promessa io non l’ho fatta mai”, replicò anni dopo Ferlaino. Cosicché, ognuno è libero di credere all’uno, oppure all’altro dei protagonisti. Cert’è, quando il Napoli ritirò la maglia numero 10 e Ferlaino andò in un hotel di Roma per consegnare a Maradona quell’ultima maglietta, Diego lo lasciò fuori della porta almeno una decina di minuti. Una piccola vendetta, se si vuole, prima dei soliti sorrisi e qualche abbraccio.
L’addio al Napoli nel febbraio del 2002, dopo 34 campionati, 1050 partite e mettendo in fila quasi dieci milioni di spettatori affezionati. L’addio quando il Napoli era già tristemente avviato verso il fallimento. Ma quando questo accadde, due anni dopo, lui già non c’era più. Ebbene, da allora lui il Napoli allo stadio non l’ha visto più. Non ha voluto più vederlo. Fors’anche per non rubare anche solo per un attimo la scena al Napoli di oggi. Sì, fino ad oggi per il Napoli al San Paolo oggi San Diego non c’è più tornato. Ma mai dire mai. Domani si vedrà.