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80 anni di Ferguson: 'l’asciugacapelli' che ha cambiato l'idea dell'allenatore-manager, diventato il migliore di tutti
Nato a Glasgow, figlio di un piastrellista dei cantieri navali, protestante (ma dal 1966 fa coppia fissa con la moglie Cathy, cattolica), da sempre vicino al partito Laburista, perfettamente disegnato come il tipico scozzese da luogo comune - rude, ruvido nei rapporti, volutamente antipatico e di carattere, come tutti quelli che un carattere ce l'hanno, deciso e decisionista, attaccato ai soldi, coraggioso e impavido nelle scelte di vita - Ferguson si è ritirato nel 2013 eppure - sono passati più di otto anni - torna sempre nei discorsi di chi - dentro e fuori l'Inghilterra - lo ritiene Il Migliore. Noi tutti lo ricordiamo per la sua lunghissima parentesi al Manchester United - dal 1986 al 2013 - ma quando andò a sedersi sulla panchina di Old Trafford, Ferguson aveva già superato i quarant'anni e molto aveva vinto con l’Aberdeen. Stagioni felici, 3 scudetti e 4 coppe di Scozia tra il 1979 e il 1986, più la Coppa delle Coppe, vinta nel maggio del 1983 in finale contro il Real Madrid di Camacho e Stielike, Juanito e Santillana (e in semifinale aveva eliminato il Bayern Monaco).
A Manchester ha scritto - banalmente - la leggenda del club. Riportando il titolo dopo 26 anni di tentativi, vincendo la Coppa dei Campioni-Champions League dopo 29 anni dall'ultima volta. Ferguson ha creato un’identità, un senso di appartenenza, un'idea di calcio. Prima di lui il Man Utd era un club con un passato glorioso e un presente vago. Con lui è diventato una potenza mondiale, segnando il calcio moderno. La nascita della Premier League - 1992 - ha coinciso con il primo scudetto del Manchester United. Nel decennio 1993-2003 ha vinto il titolo 8 volte su 11, lasciando le briciole a Arsenal e Blackburn. Se oggi il Manchester United si fregia del record di club più titolato d'Inghilterra (20 campionati), molto del merito va a Fergie, che ne ha messi in bacheca ben 13, più della metà.
I suoi giocatori l’hanno rispettato, talvolta amato, sempre temuto. Era un duro, Ferguson. Di quelli che - quando vogliono - tirano fuori il meglio, ma anche il peggio dai loro calciatori. Lo chiamavano “Hairdryer”, cioè “L’asciugacapelli”, per le sue sfuriate e le urla negli spogliatoi. Celebre la volta in cui tirò una scarpa verso il visino incipriato di perfezione di David Beckham, o quando attaccava briga - prima dialetticamente a mezzo stampa e poi viso a viso in partita - contro i suoi colleghi: Mourinho e Wenger i prediletti. In molti ricordano che nei suoi primi sette (7!) anni in panchina a Old Trafford, Fergie non vinse mai il titolo inglese. Stava costruendo un’epopea di vittorie, lo lasciarono lavorare in tranquillità. Il primo trofeo (Fa Cup) arrivò nel 1990, dopo quattro anni. E sono comunque tanti se si pensa alla facilità con cui nascono e vengono abortiti i progetti oggi. Eric Cantona, Bryan Robson, Dwight Yorke e Andy Cole, i cosiddetti “Calypso Boys”, David Beckham, un suo pupillo, Paul Scholes, colui nel quale si riconosceva, Gary Neville, l’immenso Ryan Giggs, Roy Keane, Wayne Rooney, Ole Gunnar Solskjaer che gli regalò la straordinaria impresa della Champions vinta in due minuti - gli ultimi - contro il Bayern Monaco nel 1999, il figlio prediletto Cristiano Ronaldo: tutti i grandi campioni passati a Old Trafford devono qualcosa a Sir Alex Ferguson.