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8 mesi di Inter hanno cambiato parole e faccia di Simone Inzaghi
Di Simone Inzaghi sono cambiati soprattutto l’umore, il sorriso, le parole. Quando è arrivato sulla panchina dell’Inter, ma anche dopo, a stagione lanciata, è sembrato ai più una ventata di aria fresca dopo due anni di stereotipi di Conte, l’allenatore con gli spigoli, il duro sempre, in perenne recita di un copione che ne ha fatto la fortuna (senza scordarne le vittorie, ovviamente).
Inzaghi jr per sfidare le diffidenze dell’ambiente e dello spogliatoio recitava invece se stesso: spiegava, smussava, capiva e si faceva capire. I tifosi lo hanno abbracciato subito e i giocatori con loro, la critica lo ha osannato in fretta, con buona pace delle vedove di Conte. Da quando però il vento dei risultati ha smesso di spingere l’Inter, è cominciata la rapida metamorfosi, dialettica e non solo, dell’allenatore. I sorrisi sono diventati smorfie, le spiegazioni soprattutto giustificazioni.
Dal derby perso in avanti, mai c’è stata volta in cui Inzaghi abbia riconosciuto i meriti avversari: a sentir lui, sono sempre stati dell’Inter le occasioni migliori, il gioco migliore, i rimpianti maggiori. Arrivare a non riconoscere meriti nemmeno al Torino, cui sono stati scippati rigore e vittoria, dribblare la solarità dell’intervento falloso di Ranocchia su Belotti, trincerandosi dietro precedenti squalifiche, fa cadere la maschera e offre un alibi ai giocatori che corrono il rischio di credergli e di sentirsi ancora i migliori, quando invece l’Inter non lo è più da molte settimane.