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  • Genoamania, 25 anni fa l'omicidio di 'Spagna': ma in Italia si continua a morire di tifo

    Genoamania, 25 anni fa l'omicidio di 'Spagna': ma in Italia si continua a morire di tifo

    • Marco Tripodi
    Un quarto di secolo. Tanto è trascorso da quel maledetto 29 gennaio 1995, quando il calcio italiano per la prima volta si fermò. Una data entrata negli annali del pallone nostrano come una delle peggiori della sua storia. Non l'unica. Purtroppo neppure l'ultima.

    Quella domenica pomeriggio, poco dopo l'ora di pranzo, la cronaca di una giornata qualsiasi di Serie A sparì dagli inserti sportivi dei quotidiani per raggiungerne prepotentemente le prime pagine. Il pallone si sporcava di sangue. Di nuovo. Vincenzo Claudio Spagnolo, per tutta Genova semplicemente 'Spagna', allungava suo malgrado un triste elenco che già comprendeva i nomi di Giuseppe Plaitano, Vincenzo Paparelli, Stefano Furlan, Marco Fonghessi, Nazzareno Filippini, Antonio De Falchi, Celestino Colombi. Tutte vittime della violenza da stadio, anzi da tifo. Visto che quel giorno maledetto Spagna al Ferraris, dove avrebbe voluto assistere alla sfida tra il suo Genoa e il Milan, non ci metterà mai piede. Il suo cuore cesserà di battere a pochi metri dai cancelli dell'impianto di Marassi, fermato a soli 24 anni dalla coltellata assassina del diciottenne lombardo Simone Barbaglia.

    Il sanguinoso episodio fu il culmine di una guerra assurda ed insensata tra due tifoserie diventate acerrime nemiche dopo essere state per anni gemelle. Un epilogo quasi scontato, frutto delle reciproche promesse minacciate da capi ultrà dalle fedine penali chilometriche. Capipopolo capaci di aizzare gli animi dei propri compagni di gradinata contro l'avversario per poi lasciare alla manovalanza il lavoro sporco, nascondendosi nelle retrovie e passarla liscia.

    Episodi visti e rivisti troppe volte ai margini di un campo da calcio. Ma quella volta, almeno, il pallone si fermò. Genoa e Milan decisero che non si poteva giocare ma solo riflettere. Il calcio doveva interrogarsi su stesso e sui propri demoni. E con esso si bloccò tutto il Paese, deciso a far sì che il sangue di Spagna sarebbe se non altro servito ad arginare per sempre quell'irrefrenabile fiume di violenza che macchiava gli stadi dello Stivale da oltre trent'anni. Ma come troppo spesso accade in questa Penisola, le buone intenzioni si estinsero non appena l'indignazione collettiva si placò. 

    Nonostante misure draconiane solo all’apparenza in questi 25 anni l'elenco si è allungato ancora. A Vincenzo sono seguiti Fabio Di Maio, Antonino Currò, Filippo Raciti, Gabriele Sandri, Ciro Esposito e molti altri. L’ultimo Fabio Tucciarello, appena dieci giorni fa. Ragazzi finiti ad arricchire il triste libro dei 'morti per tifo'. 25 in tutto, in poco più di 50 anni. Una media spaventosa.
     
    Perchè in Italia, ad un quarto di secolo di distanza da quel pomeriggio in cui il calcio si fermò assieme al cuore di Spagna, si continua a morire nel nome del dio pallone.
     

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