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  • 1968, calcio e pugni chiusi, puntata 1: chi è Sollier, il 'Socrates' italiano

    1968, calcio e pugni chiusi, puntata 1: chi è Sollier, il 'Socrates' italiano

    • Marco Bernardini
    Da qualsiasi angolatura lo si voglia osservare è indiscutibile che il Sessantotto rappresentò uno snodo cruciale per l’intera società internazionale. Cinquant’anni sono trascorsi e i ragazzi di ieri sono ormai i nonni giovani attuali. Per alcuni storici quel momento di contestazione globale al sistema, nato nelle università americane di Berkeley e padre del maggio francese, fu una sorta di grave malattia giovanile dalle conseguenze nefaste. Per coloro che ebbero a vivere quel fenomeno sociale e politico in diretta, come protagonisti di “base” e non da leader, si tratta di un Sogno durato poco ma talmente potente e seduttivo il cui pensiero anche dopo così tanto tempo suscita non rimpianto ma malinconia e certezza di essere stati nel giusto. E se davvero allora la fantasia fosse riuscita ad andare al potere anziché generare violenza e colpi di pistola sono convinto che il mondo  di oggi sarebbe ben diverso da quello che è. Cioè, assolutamente migliore e vivibile sotto tutti i punti di vista.

    Lo sport, come ogni altro settore, venne per così dire contaminato da quel desiderio di mutamento radicale. Un vento rivoluzionario che sfiorò anche il mondo del pallone nel quale solitamente l’unica e autentica forma di “impegno” ammessa era quella di dimostrare sul campo di gioco il proprio entusiasmo. Del resto anche i capi del “Movimento” guardavano, sbagliando, il circo del pallone con la medesima diffidenza riservata alle passioni borghesi. Ricordo che l’Italia vinse gli Europei e che anche noi “compagni” quella notte facemmo festa in piazza. Il mattino dopo davanti all’Università di Palazzo Nuovo a Torino trovammo uno striscione con la scritta: “Tutti coloro che sono andati in strada per a fare casino sono dei pezzi di merda”. Non mi sono mai sentito come tale e neppure la maggioranza dei compagni. Era il primo sintomo del Sogno che si stava sfilacciando, ma ancora non lo sapevamo. Con Che Guevara e Ho Chi Min trovavano posto anche i nostri simboli della domenica come Bercellino il cui cognome, privato delle “o” finale, faceva pure rima con quello del generale nord vietnamita.

    Difficile ma non impossibile trovare punti di riferimento ideologici nel mondo del pallone. Uno su tutti era Paolo Sollier il quale certamente non era un big della domenica ma, comunque discreto atleta, portatore sano di quella “diversità” intellettuale e pratica tragicamente assente tra i suoi colleghi calciatori. Studente universitario, metalmeccanico alla Fiat, militante di Avanguardia Operaia e centrocampista di buona caratura agonistica e tecnica. Esattamente in questo ordine. Anche quando dalla Cossatese, dove giocava, e poi dal Rimini si trasferì al Perugia per contribuire alla conquista della Serie A. 

    Barba ribelle e capelli lunghi, era “l’anima rossa” del calcio. Salutava il pubblico e pugno chiuso e adorava giocare soprattutto contro la Lazio perché “era bello poter battere la squadra di Mussolini”. Divideva gli stadi. Con lui o contro di lui. Il mondo del pallone lo sopportava appena. Pochi amici tra i compagni di lavoro, come Montesi, Blangero e Vendrame. Oggi allena, per pura passione, la squadra “Osvaldo Soriano”, composta dagli scrittori, essendo anche lui un autore di libri che hanno fatto epoca.  

    Da autentico e immacolato ex sessantottino scampato anche allora dal revisionismo del Sogno e dalla manipolazione “politica” di un Movimento che era probabilmente visionario ma assolutamente “candido”, oggi a distanza di cinquanta anni esatti rinnega proprio nulla del suo passato. “Formidabili quei giorni di calci, pugni e sputi in faccia al sistema. Una grande illusione rovinata da coloro i quali vendettero quel sogno alla violenza e all’uso delle pistole. Poi ci sono i voltafaccia, come Ferrara e Liguori, al cui pensiero mi incazzo. Una generazione, mondiale, di bravi ragazzi infamata successivamente da una visione distorta della parola rivoluzione che per noi, invece, aveva il significato di libertà, eguaglianza, pace sociale e autentica democrazia. Anche nel calcio. Il calcio di Socrates, tanto per intenderci. Quello che, come tutto il resto, purtroppo è rimasto un sogno irrealizzato”.

    Puntata 1 (continua)

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