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    10x8: Milan, auguri al 'Golden Boy' Gianni Rivera, la stella della prima stella e il migliore del dopoguerra

    10x8: Milan, auguri al 'Golden Boy' Gianni Rivera, la stella della prima stella e il migliore del dopoguerra

    • Alberto Cerruti
      Alberto Cerruti
    Tanti auguri a Gianni Rivera che festeggia oggi i suoi meravigliosi anni ottanta, preferendo moltiplicare per otto l’amato numero dieci con la stessa classe con cui ha giocato e vinto tutto. Perché Rivera non è stato soltanto un predestinato che debutta in serie A, il 2 giugno 1959, ad appena quindici anni con la maglia dell’Alessandria, incominciando a sfidare proprio l’Inter, prima rivale della sua grande carriera. Acquistato dal Milan per 60 milioni di lire, dimostra in fretta il proprio valore, economico e tecnico, segnando il primo gol in campionato con la maglia rossonera, il 6 novembre 1960, a Torino contro la Juventus, battuta 4-3.

    GOLDEN BOY - Capelli a spazzola, aria timida fuori, ma grande personalità in campo, prima ancora di diventare famoso Rivera è considerato il “golden boy” del calcio italiano, ma siccome non ha un gran fisico il più famoso giornalista dell’epoca, Gianni Brera, lo definisce “abatino” stuzzicando così il suo grande orgoglio. Perché a lui basta una finta per spiazzare gli avversari che cercano di fermarlo tirandogli la maglia e soprattutto gli basta un lancio in profondità per smarcare gli attaccanti che ha davanti, ai quali si sovrappone volentieri con le sue accelerazioni concluse spesso con tiri imparabili. Oggi un giocatore con le sue caratteristiche sarebbe definito “trequartista”, mentre allora era più semplicemente un regista, l’uomo cioè che faceva girare la squadra con la sua classe. Il più classico dei numeri dieci, quindi, quando quella maglia veniva indossata dai giocatori migliori, come lo sono stati dopo di lui Baggio e Totti, i più simili a Rivera, anche se a parer nostro rimane lui il più grande giocatore del dopoguerra, per quello che ha vinto e per la continuità con cui ha vinto. Senza dimenticare il fatto che Rivera, oltre a mandare a rete tutti i compagni che hanno avuto la fortuna di giocare al suo fianco, ha segnato molti gol, come invece non sanno più fare i centrocampisti di oggi.

    LA PRIMA COPPA - Capace di vincere il primo scudetto nel 1962, esaltando il Milan di Rocco quando non ha ancora diciannove anni, Rivera entra nella storia del calcio non soltanto italiano il 22 maggio 1963, a Wembley, quando smarca due volte Altafini che firma la doppietta del sorpasso contro il Benfica. Nessuna squadra italiana aveva mai conquistato la coppa dei Campioni, allora riservata alle squadre che avevano vinto i rispettivi campionati in Europa, ma Rivera avvolto in un impermeabilino grigio vicino a capitan Cesare Maldini, al momento della consegna della coppa, quasi non si rende conto dell’importanza di quel successo. Capitano a 22 anni, tocca poi a lui sollevare la prima coppa delle Coppe vinta nel 1968 contro l’Amburgo, nello stesso anno in cui festeggia anche il secondo scudetto. Ma soprattutto è lui a sollevare la seconda coppa dei Campioni, il 28 maggio 1969, a Madrid dopo il trionfale 4-1 contro l’Ajax del primo Cruijff. Rispetto a sei anni prima, nel Milan del bentornato Rocco dopo una parentesi al Torino, sono rimasti soltanto lui e Trapattoni ed è di nuovo lui a mandare in gol Pierino Prati, che rimane ancora oggi l’unico italiano capace di realizzare tre gol in una finale. A quel punto sulla torta con lo scudetto e la coppa dei Campioni manca soltanto la ciliegina sfuggita in precedenza: la coppa Intercontinentale che il Milan vince a Buenos Aires contro gli argentini dell’Estudiantes, il punto più alto della sua carriera.

    PALLONE D’ORO - E così, dopo essere stato il primo a vincere una coppa dei Campioni con una squadra italiana, in quel magico 1969 Rivera è anche il primo italiano che riceve il Pallone d’oro. Eppure, malgrado sia considerato il numero uno in Europa, e campione d’Europa in carica con la Nazionale, è costretto a subire la staffetta con Mazzola ai Mondiali del 1970 in Messico, dove segna il gol più bello e più importante in maglia azzurra, il destro in corsa che vale il decisivo 4-3 ai supplementari nella semifinale contro la Germania Ovest. Costretto a giocare soltanto gli ultimi inutili 6’ nella finale contro il Brasile, ma sempre titolarissimo nel Milan, continua a dare il meglio di sé in maglia rossonera dimostrando anche la sua confidenza con il gol perché nel 1973 vince la classifica dei cannonieri, arrivando a quota 17 in 30 partite, alla pari con due attaccanti di ruolo come Pulici e Savoldi. Purtroppo per lui e per il Milan quel campionato si conclude con la “fatal Verona” dove i rossoneri, quattro giorni dopo aver conquistato la coppa delle Coppe, perdono uno scudetto che sembrava già vinto.

    LA STELLA - Così attaccato al Milan da cercare invano di comprarlo, quando il presidente Buticchi parlando con il suo collega Pianelli del Torino ipotizza uno scambio con Claudio Sala, Rivera non vuole mai lasciare nemmeno il suo numero dieci, polemizzando con il nuovo allenatore Marchioro che vorrebbe spostarlo all’ala con il 7 sulla schiena. E così, dopo altri contrasti con Giagnoni che vorrebbe consideralo come gli altri, ritrova la serenità con Liedholm che crede ciecamente in lui come Rocco. E proprio con Liedholm vince il suo terzo e ultimo scudetto, quello della tanto sospirata stella in cui Rivera manda nove volte in gol anche un terzino come Maldera. Una stella dedicata a Rocco, morto pochi mesi prima, festeggiata il 6 maggio 1979 dopo lo 0-0 a San Siro contro il Bologna, in cui Rivera prende il microfono in mano prima della partita per convincere gli spettatori a lasciare il secondo anello chiuso per i lavori in vista dell’Europeo 1980, perché in caso contrario non si sarebbe giocata la partita e il Milan avrebbe rischiato la sconfitta a tavolino. Una prova del fascino che esercita sui tifosi, convinti di rivederlo la stagione successiva in coppa dei Campioni.

    ADDIO ARGENTINO - Malgrado gli acciacchi che nell’ultima stagione lo avevano costretto a lasciare spesso a Bigon la maglia e la fascia di capitano, Rivera parte con i compagni per la tournée di fine stagione in Sudamerica. L’ultima tappa è in programma il 5 giugno 1979 a Mendoza, in Argentina, dove vive Mumo Orsi oriundo campione del mondo nel 1934 con l’Italia di Pozzo che saluta Rivera definendolo “uno dei più grandi di sempre”. La squadra locale dei Talleres vince 4-2 e Rivera rimane in campo fino alla fine in un’amichevole che nessuno vede in Italia, sotto gli occhi di tre inviati italiani: chi scrive e scriveva allora per la “Gazzetta”, Gino Bacci per “Tuttosport” e Aldo Pacor per il “Corriere dello Sport”, testimoni inconsapevoli di una partita storica perché rimane quella l’ultima giocata da Rivera. Un segno del destino perché nel 1974 in Germania Ovest, in un altro giorno di giugno e proprio contro l’Argentina, al suo quarto Mondiale aveva disputato l’ultima delle sue 60 partite (con 14 gol) in Nazionale. Al ritorno in Italia, infatti, il capitano neo campione d’Italia annuncia in una conferenza stampa, tra la sorpresa generale, che smette di giocare. Sono passati vent’anni esatti dal suo esordio in serie A e per lui, subito promosso vicepresidente, incominciano nuove carriere in giacca e cravatta, nel calcio e nella politica. Anche se per tutti Rivera rimarrà soprattutto il numero 10 con la maglia del Milan. Un dieci che oggi si moltiplica per otto, con tanti auguri per lui e tanta nostalgia per chi lo ha visto giocare. 

     

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