Schick: 'Scelsi la Juve, non vedevo l'ora. Futuro? In un club migliore. Le visite...'
L'uomo dell'estate. Patrik Schick si è preso le luci della ribalta nell'ultima sessione di mercato: prima le visite mediche con la Juventus, poi il problema cardiaco, i tentativi dell'Inter e la chiusura dell'affare da parte della Roma. Ora in fase di recupero, dopo un inizio ad handicap, l'attaccante ceco si racconta al magazine Reporter: "Giampaolo mi chiese come mi chiamassi e mi resi conto che non sapeva chi fossi. A volte mi sono chiesto se sarei dovuto rimanere allo Sparta. Dopo le partite in cui non giocavo, stavo a casa arrabbiato, a malapena salutavo Hanca e mi chiudevo in camera, da dove chiamavo il mio agente Taborsky perché non sapevo cosa fare. Lui e Hanca (la compagna, ndr) mi dicevano di non fare nulla e di essere paziente, così ci provai e ci fu una svolta. Ero a Torino dove giocammo contro la Juventus, alla fine di ottobre. Probabilmente voleva farci fuori, dandoci una chance per poi avere motivi per non farsi rompere le scatole dopo la sconfitta. Ma andò abbastanza bene e dopo un quarto d’ora segnai, fu una fortissima emozione. Per un po’ non ho creduto che fosse vero, nonostante non ci fosse nulla di strano. Provai entusiasmo per diverse settimane. Due giorni dopo in allenamento sbagliai un paio di volte e lui cominciò a urlarmi contro in modo isterico. C’erano anche i miei genitori a vedermi. Quando tornai a casa mi chiusi in camera e diedi calci alle sedie per un’ora. Chiamai di nuovo il mio agente e mi disse che la mia chance sarebbe arrivata. Nella partita successiva l’allenatore mi fece scaldare all’intervallo, ma al 18’ mi disse di sedermi perché sarebbe entrato qualcun altro. Ma poi lui fu allontanato per proteste e il suo secondo mi chiamò: nella mia testa avevo già smesso di giocare, ma entrai e segnai al 90’. All’inizio della stagione, nessuno mi riconosceva a Genova, potevo passeggiare e andare nei negozi, ma dopo pochi mesi ho completamente perso la mia privacy. Diverse volte sono rimasto barricato a casa con Hanca, perché lei voleva uscire e io dovevo dirle no perché non ero dell’umore per fare sorrisi forzati alla gente". MERCATO - "Alla fine della stagione potevo scegliere, le offerte che mi piacevano di più arrivavano da Torino, Milano e Roma. Scelsi la Juventus, ero stato chiamato da Nedved e tutto sembrava affascinante. Non vedevo l’ora. A giugno mi sentivo un giocatore della Juventus, ma in realtà non lo ero.Le visite mediche a Torino? Sapevo che non era niente di serio, era un’infiammazione cardiaca che era passata, stavo bene, sapevo di avere abbastanza tempo per riposare e che tutto sarebbe stato normale, ma la Juventus rinviò il mio trasferimento. Quando tornai dalle vacanze, il mio agente Paska mi disse che sarei dovuto tornare a Torino per altri test. Risposi che non sarei andato da nessuna parte. Alla Juventus non importava più di me, ero un po’ arrabbiato. A metà luglio, la clausola di risoluzione da 25 milioni non fu più valida, dunque il presidente della Sampdoria mi disse che avrebbe voluto spuntare il prezzo più alto possibile e lo fece, cedendomi per 40 milioni di euro alla Roma. Quando ho firmato, ho provato grande sollievo perché potevo concentrarmi solamente sul calcio. Sono sicuramente più tranquillo di un anno fa a Genova, perché arrivai come un signor nessuno, ma qui tutti mi conoscono, sanno che sono un giovane che qualcosa ha fatto. Kolarov mi ha rassicurato e mi ha detto di non subire il peso del costo del mio cartellino, di star calmo e che tutto sarebbe andato bene e che sono stati loro a voler spendere quei soldi e l’hanno fatto". FUTURO - "Spero di potermi trasferire tra qualche anno in un club ancora migliore, dove sarò pagato ancora meglio, è una motivazione che mi ha sempre aiutato molto. Dove? Non credo di poter andare molto più in alto di così. Ma forse restano un paio di club... diciamo Real Madrid, Barcellona o Manchester United".