Senza contratto di lavoro non si entra, il problema è che quasi tutti sono reclutati nel Paese d’origine da agenzie dietro tariffa che parte da 2.500 euro: il debito che ti affossa. Anche perché - spiegano i rapporti di Amnesty - spesso l’azienda trattiene il passaporto, tant’è che quando un lavoratore vuole lasciare il Qatar, sui giornali compare l’annuncio: «No objection certificate». Per esser sicuri che non ci siano pendenze con altri datori di lavoro.
Il Mondiale, come ogni evento sportivo, è l’occasione per lucidarsi la reputazione: «Il Qatar sta puntando sulla sua immagine - dice Nicholas McGeehan, ricercatore di Human Rights Watch - ma se il miglioramento delle condizioni dei lavoratori non sarà veloce, l’immagine non sarà così positiva». Qualcosa si comincia a fare, se d’estate non si può più lavorare dalle 11 alle 15: a 50 gradi, e non è un modo di dire, muratori e carpentieri erano morti. Per non parlare degli alloggi, dove spesso vivono 10 persone insieme, in condizioni igieniche diverse dai grattacieli di West Bay.
La situazione sta diventando talmente imbarazzante che anche la Fifa, sveglia solo quando si fiutano voti e quattrini, ha dato segni di vita: il Comitato esecutivo ha fatto pressioni per la creazione di un’autorità indipendente che vigili sui programmi di riforma in Qatar. «Mi sembra che le regole sul lavoro siano un problema anche in Europa - argomenta pacato Ali Hassan Al-Salat, dirigente della Qatar Football Federation - ma la sicurezza, la salute e la dignità dei lavoratori per noi sono importanti: e l’impegno è di migliorare».
Ci spera anche Jamal Kamil, 28 anni, nepalese, alla guida del suo taxi: «Quasi tutto quel guadagno serve per pagare il noleggio dell’auto, che è di una grande compagnia». Al solito, le persone più povere e meno istruite sono quelle più sfruttate, ricorda McGeehan. Per ingegneri, architetti, designer, Doha continua a essere l’Eldorado, con le sue regole: Matteo T., 31 anni, italiano, per poter avere la residenza ha dovuto avere un contratto di lavoro con azienda in Qatar, certificazione internazionale della laurea, presentare esami del sangue e dare le impronte digitali di entrambe le mani
Un pil pro capite di 100.889 dollari, conteggio del Fondo monetario, è un bello spot: per dare l’idea, il doppio degli Usa e oltre tre volte quello italiano. Che qui non si badi a spese, è da prendere in senso letterale: in vista del Mondiale, al costo di 36 miliardi di euro, stanno tirando su una nuova città, Lusail City, 15 chilometri a Nord di Doha. L’unica in costruzione presente su Google Maps.
Non è solo questione di petrolio: il Qatar, che ha il triplo delle riserve di gas degli Stati Uniti, secondo solo a Russia e Iran, è il primo produttore di gas naturale liquefatto: dei 29 stati che ne importano (c’è anche l’Italia), 26 lo comprano qui. Vuoi non riuscire a fare un Mondiale d’estate? Anche se l’Eca, l’associazione dei club europei, dopo sopralluogo lo ha escluso. Sarà tra dicembre e marzo, anche se i network americani vogliono evitare la sovrapposizione con il football. «Estate o inverno, per noi non cambia niente - sorride Ali Hassan -: con i soldi, tutto è possibile». Anche dire qualche bugia.
Massimiliano Neirozzi per La Stampa