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Pippo Russo: Guardiola o Catalogna?
Il motivo è dato dalle elezioni regionali che domenica si svolgeranno in Catalogna, e che potrebbero segnare una vittoria della coalizione indipendentista con avvio del processo di secessione dallo stato centrale. In questo quadro il Barcellona, da brand globale con decine di milioni di tifosi sparsi per il mondo, rischia di diventare il simbolo di un movimento sportivo locale condannato a una lunga fase di provincialismo. Perché qualora le forze indipendentiste proclamassero l’indipendenza della Catalogna, dando via alla secessione dalla Spagna, l’intero sport catalano perderebbe automaticamente l’affiliazione dalle federazioni nazionali, e i club si vedrebbero espulsi dai rispettivi campionati nazionali. Toccherebbe loro dar vita a federazioni nazionali catalane, il cui livello competitivo sarebbe giocoforza molto ribassato, e la cui affiliazione alle federazioni internazionali dovrebbe partire da zero. Con ciò che questo comporta in termini di ranking nelle competizioni internazionali. Si tratta dunque di un destino che non riguarderebbe soltanto il Barcellona, perché tutti i club sportivi catalani verrebbero toccati dal provvedimento d’espulsione. A partire dall’Espanyol, l’altra metà della Barcellona calcistica nella Liga, fino alla gloriosa Joventut Badalona di basket, passando per migliaia di altre realtà di vertice e di base. Il Barça si ritroverebbe nel mucchio dei club catalani tagliati fuori dalle competizioni nazionali. Ma è ovvio che la prospettiva d’esclusione del club blaugrana assuma ben altro peso nel dibattito pubblico. Il Barcellona scopre ora d’essere un simbolo della catalanità sia nella buona che nella cattiva sorte. E come simbolo viene trattato in questi giorni che precedono il voto. All’interno di un dibattito che ha preso una piega isterica.
A questo proposito, è bene esprimere alcune parole di chiarezza. Quello che si svolgerà domenica in Catalogna sarà un voto amministrativo, non un referendum sulla Catalogna indipendente. E certo, si sono create le condizioni affinché il voto amministrativo sia una premessa per il cammino verso la trasformazione della Catalogna da Comunità Autonoma a Stato Nazione. Ma dare le cose per scontate sarebbe un errore. Giusto un anno fa di questi tempi si votò per l’indipendenza della Scozia dalla Gran Bretagna (e quello era proprio un referendum, non un voto locale), e l’esito fu sfavorevole alle forze indipendentiste. Stavolta le cose dovrebbero andare diversamente. E tuttavia, a urne chiuse, bisognerà valutare una serie di variabili: la misura della vittoria e il suo riflesso in termini di seggi, la tenuta della coalizione indipendentista, la complessità dei passaggi istituzionali da compiere, l’eventuale riapertura di una trattativa con lo stato centrale per la negoziazione di condizioni autonomistiche tali da essere “quasi indipendenza” senza esserlo del tutto. Le vie della politica sono infinite, e quelle delle realpolitik ancor di più. E invece il dibattito viene condotto come se da lunedì il Barcellona dovesse essere messo fuori dalla Liga. Ciò che non è e non sarà.
A drammatizzare lo scenario ha provveduto il presidente della Liga, Javier Tebas Medrano. Il quale ha detto che, in caso di uscita della Catalogna dalla Spagna, al Barcellona e a tutti gli altri club calcistici catalani verrebbero a mancare i requisiti per l’affiliazione alla federcalcio spagnola. In Spagna ci si affilia infatti attraverso le federazioni regionali, e cessando quella catalana d’esserlo, ecco che verrebbe a mancare il prerequisito d’affiliazione per i club catalani. A meno di non prefigurare improbabili scenari, che vedano il Barcellona e gli altri club affiliati a un’altra federazione regionale. Si tratterebbe di un contrappasso: il club simbolo della catalanità che chiede ospitalità all’Andalusia o a Castilla-La Mancha. Fantapolitica.
In realtà la mossa di Tebas ha innanzitutto valore politico e di pressione. Il presidente di Lega, quello che si batte per la regolarizzazione dei fondi d’investimento nel calcio, agita la minaccia del Barcellona fuori dalla Liga (e, a quel punto, anche dalle competizioni europee) per salvaguardare la forza della sua organizzazione. Soprattutto, in circostanze del genere viene fuori il franchista che è in lui. Non molti sanno che l’avvocato Tebas Medrano, in gioventù, fu un dirigente locale di un partito politico dal nome inequivocabile: Fuerza Nueva (LEGGI QUI). Un movimento fondato dall’ultrafranchista Blas Piñar López, del cui movimento giovanile Tebas fu dirigente nella città di Huesca. Nell’articolo linkato sopra trovate che nel 1979 il futuro presidente della Liga organizzava manifestazioni pubbliche contro lo Statuto del Lavoratore. Ovvio che a uno così le pulsioni anti-centraliste provochino l’orticaria.
Ma al di là delle estremizzazioni (e degli estremisti in giacca e cravatta), per il Barcellona si presentano tempi molto difficili. Mentre i grandi personaggi dell’universo barcellonista (a partire da Pep Guardiola) si dichiarano a favore dell’indipendenza, il club ha sempre mantenuto un profilo basso sulla questione. L’uscita dalla Liga sarebbe una catastrofe, e purtroppo i dirigenti non possono nemmeno dirlo pubblicamente. Se lo facessero crollerebbe in un istante il mito del Barcellona come simbolo della catalanità. E allora ecco che il presidente Josep Maria Bertomeu e il suo stato maggiore si trovano stretti dentro un sanguinoso paradosso: obbligati a mantenere fede all’identità, a costo di correre verso la catastrofe. C’è da scommettere che siano proprio i dirigenti blaugrana a tifare più di altri per una soluzione di compromesso.
@pippoevai