La storia romanzesca di Tarantini: il Mondiale, i fratelli morti, la cocaina e quella incredibile foto con Videla
Questa è la storia di Alberto Tarantini.
“Sono un uomo grato al destino”. Sentirlo dire da un uomo con i capelli color cenere, che della sua storia personale può dire davvero “ne ho viste di tutti i colori” stupisce e fa una grande tenerezza.
L’infanzia in miseria, il padre poliziotto con sette figli da crescere. Due di questi strappati alla vita prima di compiere due anni e un terzo che se ne è andato in una maniera impossibile da accettare … una banale operazione a 12 anni, per correggere un paio di orecchie a sventola. Il risveglio del piccolo a metà operazione, una maschera di ossigeno, l’arresto cardiaco e la morte. Il padre di Tarantini non si riprenderà mai più da questo tragico momento. Si sentirà per sempre responsabile, lui che fu l’unico in famiglia ad opporsi strenuamente a quella inutile e stupida operazione. Tarantini racconterà che l’unica fonte di gioia sarà proprio poter seguire il piccolo Alberto agli inizi della sua carriera calcistica. Seguire gli allenamenti, le prime partite in prima squadra, le prime vittorie di Alberto … le uniche cose in grado di togliere dalla testa, anche solo per brevi momenti, la tragica morte del figlio dodicenne. Ma il destino pare non voler allentare la presa sulla famiglia Tarantini.
E’ il 1975.
Alberto torna a Buenos Aires reduce dalla vittoria con l’Argentina giovanile nel prestigioso torneo di Tolone. Il padre è ad accoglierlo all’aeroporto. Insieme tornano a casa. Dopo qualche ora gli chiede di accompagnarlo in auto da un amico di famiglia nelle vicinanze. Alberto è stanco e ancora intontito dal viaggio … dice al padre che non se la sente di accompagnarlo ma di prendere pure la sua auto. Il padre rifiuta l’offerta. Si incammina a piedi verso la casa dell’amico. “El conejo” non vedrà mai più suo padre vivo. Un infarto lo coglie per strada, a pochi metri dalla casa dell’amico a cui intendeva fare visita. Il suo cuore non era più lo stesso dalla morte del fratello dodicenne di Alberto.
“Quello fu il giorno che cambiò la mia carriera. In tutti i sensi” racconta lo stesso Tarantini. Il giorno dopo andò dal Presidente del Boca, il celeberrimo Armando, per chiedergli i soldi necessari al funerale di suo padre. Il Presidente acconsente ma in cambio chiese una firma di “garanzia” sulla restituzione della cifra. “Non potevo crederci … mio padre era morto da poche ore e il mio Presidente mi chiedeva una garanzia sulla restituzione della cifra”. “Gli tirai in faccia il denaro, pretesi di vedere il mio contratto con il Boca, lo strappai davanti ai suoi occhi giurandogli che da allora in poi sarei stato il suo peggior incubo” Tarantini giocò senza contratto i due anni successivi, prendendo il 20% per cento di quanto precedentemente stabilito, in pratica un minimo sindacale, fino a rompere definitivamente tutti i rapporti nel 1977 a pochi mesi dal Mondiale.
Non finì qui ovviamente. Per un po’ fu Armando a rivelarsi l’incubo di Tarantini; spinse tutti gli altri Presidenti di Club argentini ad un “patto” in cui si sarebbero impegnati a non mettere sotto contratto “El conejo”. E così fu. Per Tarantini non ci fu nessuna squadra disposta a dargli la possibilità di giocare.
Nonostante questo la fiducia di Menotti nel suo “ribelle” terzino rimane immutata. Alberto giocherà da titolare inamovibile i mondiali di casa contribuendo in maniera determinante con la sue scorribande sulla fascia sinistra, i suoi prodigiosi recuperi difensivi e la sua inesauribile energia al trionfo dei biancocelesti, il primo titolo per questo meraviglioso Paese “ammalato” di calcio, entrando nella storia come l’unico calciatore a vincere i Mondiali pur non avendo un contratto con nessuna squadra professionistica!
Anche dopo la fine del Mondiale “l’embargo” nei suoi confronti non finisce. Deve lasciare il Paese. Per lui arriva l’offerta addirittura del Barcellona. Tarantini è ovviamente felice ma quando tutto sembra ormai fatto sorge un problema; il club catalano intende “naturalizzarlo” visto che in squadra ci sono già i due stranieri permessi dal regolamento: Maradona e Schuster. La proposta è quasi comica; Tarantini deve sposare una ragazza spagnola (per altro una modella!) per avere la doppia nazionalità, potendo divorziare 48 ore dopo! Ovviamente Alberto si rifiuta e fa le valigie. Si trasferisce nel campionato inglese, nelle file di un club non certo di prima fila come il Birmingham City. La sua irruenza, la sua voglia di attaccare e la sua scarsa disciplina tattica si scontrano con i rigidi dettami del calcio inglese di allora, fermamente inchiodato sul classico 4-4-2 applicato praticamente da tutti i teams britannici dove i difensori dovevano innanzitutto difendere. Nel campionato inglese le cose non vanno come sperato. Il Mondiale di Spagna si avvicina, El Conejo vede in pericolo il suo posto di titolare sulla sinistra della difesa di Menotti. Pur di tornare in Argentina accetta l’offerta del piccolo Club del Talleres di Cordoba, che è talmente piccolo da non aver firmato “il gentlemen’s agreement” voluto dal Presidente nel Boca nei suoi confronti! Bastano poche partite per capire che Alberto non ha perso nessuna delle qualità di pochi anni prima anzi, nel suo gioco ci sono una maturità ed un controllo maggiori. Poco dopo il suo ritorno è il River Plate che vuole Alberto nelle sue file ad arricchire una formazione già di per sé eccezionale con tanti campioni del Mondo presenti nelle file dei Millionarios. Per Alberto la soddisfazione è doppia; un grande Club nel quale poter tornare a giocare per vincere dei trofei e soprattutto giocare per gli “odiati” rivali del Boca! Quale sgarbo migliore all’odiato Armando?
Con il River vince un Metropolitano e un Nacional (esattamente come aveva fatto da giovanissimo nelle file del Boca). Nel 1983 si trasferisce in Europa, nelle file del Bastia in Francia dove disputa 2 eccellenti stagioni. Rimarrà in Europa fino a fine carriera, prima nel Toulouse per chiudere la sua carriera calcistica nelle file del St. Gallen in Svizzera nel 1989 a neppure 34 anni.
Al suo ritorno in Argentina i fantasmi delle tante tragedie e di una vita vissuta “senza prendere il fiato” chiedono il conto; El Conejo entra in una spirale purtroppo comune a tanti ex-calciatori, fatta di una vita completamente dissoluta, di frequentazioni sospette e purtroppo, di tanta, tanta cocaina. Tarantini perde completamente il controllo, ci sono processi per spaccio, risse e anche il carcere. La risalita non è facile. Ci sono cliniche, ospedali ma soprattutto c’è l’amore della nuova compagna Adriana. Tarantini ricomincia a vivere anche se il calcio gli ha voltato le spalle, a cominciare dai suoi ex-compagni di Nazionale. Torna nella sua città natale, ricomincia a lavorare nel mondo del calcio, soprattutto con i settori giovanili. Poi, pochi anni fa, arriva la svolta; una proposta dalla televisione argentina come commentatore e opinionista nel nuovo progetto del calcio “para todos” come fortemente voluto dal governo argentino della Presidentessa Kirchner. Oggi “El conejo” lo si può vedere regolarmente alla televisione argentina come commentatore delle partite di Primera. Tarantini rimane ancora oggi quello che era; un ribelle che non ha certo paura di esprimere la sua opinione, con coerenza e coraggio. Ma la cosa che colpisce di più nel vederlo dietro ad un microfono è che Alberto ha lo stesso entusiasmo che aveva quando con la sua fluente chioma scorrazzava sull’out sinistro di una cancha. L’entusiasmo e la passione di chi ha toccato con mano l’abisso e che, come ricorda ogni volta che parla del suo passato, ora è “grato alla vita”.
ANEDDOTI E CURIOSITA’
Il soprannome “Conejo” gli viene affibbiato da un suo compagno di squadra al Boca, Tabita Garcia. Tarantini in età giovanile aveva un tic particolare; quello di “arricciare” il naso spessissimo. “Sembri un coniglio” gli dice Garcia. Da allora e ancora tuttora, per tutti in Argentina, Tarantini è “El conejo”.
“Con mio padre vivo non avrei mai potuto giocare per il River. Non me lo avrebbe permesso. Lui era del Boca nell’anima. E se non fosse morto probabilmente non avrei mai lasciato il Boca” Nella finale mondiale del 1978 Tarantini finisce il match con la maglia sporca di sangue: “Neeskens mi ruppe due denti in una “pelea” in area di rigore. Passarella gli aveva poco prima dato una gomitata in bocca e Neeskens diventò matto! Colpiva tutti quelli che gli arrivavano a tiro per vendicarsi!” … “aveva davvero “dos huevos asi”!
“Non ho mai voluto rivedere quella finale. Se capita di imbattermi mentre in tv fanno vedere qualcosa di quella partita cambio canale. Quella partita è tutta qua, nella mia testa e nella mia memoria. Mi ricordo tutto, il discorso di Menotti, le facce dei miei compagni, la sensazione entrando nel Monumental, mi ricordo ogni tackle, ogni colpo di testa, ogni passaggio riuscito ed ogni errore di tutti quei 120 minuti. E mi ricordo la gente che a fine partita, si abbracciava, baciava “santini” e piangeva. Non voglio rivederla … ho paura di perdere la magia …”
Si racconta che Tarantini fu uno dei primi motivi del famoso “odio” tra Menotti, allenatore dell’Argentina nel 1978 e 1982 e il suo successore Bilardo, che li vinse nel 1986. Menotti disse a Bilardo “ti lascio una grande squadra. Tarantini più altri 10.” Ma fu subito evidente che “el conejo” non rientrava nei piani di Bilardo e del suo gioco pragmatico, difensivo e assai poco spettacolare.
Celeberrima la foto in cui il Dittatore Videla visita gli spogliatoi della Nazionale Argentina e stringe la mano a Tarantini, uno dei più conosciuti oppositori del regime tra i giocatori argentini. Come se non bastasse la faccia del “Conejo” a far trasparire la sua avversione per Videla il racconto è sorprendente! “Mentre Videla inizia il suo giro di saluti guardo Passarella e gli dico “scommetti 1000 dollari con me che prima di stringergli la mano mi metto la mano nelle palle e la tolgo solo al momento di stringergli la mano?” Passarella, divertito e sicuro che il compagno di squadra non avrà il coraggio di arrivare a tanto, accetta. “Videla vide benissimo dove tenevo la mano e appena prima di stringerla diedi un’altra bella “sfregatina” … ma la stanza era piena di fotografi e a quel punto non poteva tirarsi indietro!” … “Passarella, ad oggi, deve ancora darmi i 1000 dollari !!!”.
“Arrivai al River nel 1980 e poche settimane dopo si giocava il Superclasico contro il Boca. Alla fine dell’ultimo allenamento mi si avvicinarono “El negro” Jota Jota e Merlo, miei compagni di squadra, dicendomi che il nostro allenatore Labruna non intendeva farmi giocare contro il Boca, per timore delle ripercussioni tra i tifosi e la pressione nei miei confronti nel mio primo match da “traditore”.
Corsi come una furia nel suo spogliatoio e lo aggredì alla mia maniera “se non mi fai giocare non convocarmi neanche. Io me ne vado a casa”. Lui mi guardò con la sua classica flemma e mi disse “tranquillo, certo che giochi. Volevo solo vedere come avresti reagito se ti avessi tenuto fuori” … “Quel derby lo vincemmo per 5 a 2. Me ne dissero di tutti i colori, inventarono nuovi cori per sputtanarmi e offendermi … penso che fu l’unica volta nella storia in cui i tifosi del Boca non si preoccuparono di perdere un derby con il River … erano troppo impegnati ad offendermi !!!”.
“Pochi mesi prima di lasciare il Boca giocammo e vincemmo la Copa Libertadores contro i brasiliani del Cruzeiro. A fine partita mentre stavo rientrando negli spogliatoi mi accorsi che il Presidente Armando era coricato per terra nel bel mezzo dei festeggiamenti in preda ad un attacco cardiaco … stava quasi soffocando. Andai da lui, gli slacciai la cravatta e chiesi aiuto … dietro di me c’era il nostro medico sociale. In pratica salvai la vita a quel “hijo de puta!” La più grande delusione calcistica “Quando non fui convocato per i Mondiali di Germania del 1974. E’ vero che avevo solo 19 anni ma avevo già esordito in Nazionale ed ero convinto di andare. Quando Cap me lo comunicò piansi come un bambino”.
L’avversario più “tosto” mai affrontato “Nessun dubbio! Joe Jordan, lo scozzese allora centravanti del Manchester United. Quando saltava di testa ti distruggeva. Era di marmo. Una volta saltando con lui su un cross lo colpì inavvertitamente con il gomito e lo mandai knock-out. Quando si riprese ricordo la sua espressione come se fosse oggi. Ero convinto che mi avrebbe ucciso!” La cosa di cui sei più orgoglioso “che ancora oggi tutti mi salutano cordialmente. I tifosi del River, del Boca, quelli che seguirono la Nazionale nel 1978 e i ragazzini che allora non erano ancora nati ma che hanno sentito le storie dai genitori. Non creo che esista una sola persona che possa dire “Tarantini mi ha deluso”.
La persona a cui devi di più nella vita ? “Non a cui devo di più … a cui DEVO TUTTO ! Mia moglie Adriana. L’unica che mi è stata vicina dopo quel terribile periodo in cui tutti, soprattutto nel calcio, mi voltarono le spalle. Perfino nei due anni in cui non feci assolutamente nulla, lei lavorava, pensava a tutto lei e mai una volta mi ha rinfacciato questo. Mi ha ridato autostima, mi ha insegnato ad ascoltare e ad aprirmi … Non so se senza di lei oggi sarei la persona che sono. So per certo però che con lei a fianco non avrei mai fatto gli errori che ho fatto”. Che dire? Bentornato “Conejo”!
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(Remo Gandolfi è anche su www.storiemaledette.com)
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