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La parabola degli ultras del Cagliari: dal tifo romantico al caso Storari
Certo non erano tanti Don Chisciotte e Sancho Panza che si muovevano sognanti nella Mancha, di loro forse, studiandone i passaggi storici, gli Sconvolts degli esordi avevano il tratto romantico del movimento. Non erano raminghi per vocazione, ma più propriamente un gruppo di ultrà con una migrazione precisa le altre città d’Italia e, nel profondo del loro cuore con mito grande, la trasferta. Il viaggio degli Sconvolts era una migrazione di “ritorno”, sempre in giro per gli stadi d’Italia a portare quell’orgoglio cagliaritano sintesi dell’idea di Sardegna, per poi tornare a casa. Una migrazione ultrà che raccontava la parte romantica e coreografica del calcio degli anni ’80 nel quale erano nati, un tifo che gli Sconvolts spiegavano con le bandiere, le sciarpate, lo striscione “essere ultrà nella mente”. Erano quando compivano questa migrazione come germogli dell’anima aragonese delle coste sarde.
La cavalcata loro e del Cagliari nel triennio 1987-90 fu memorabile, gli Sconvolts che parlavano di mente usandola come paradosso per opporsi al razionale del tifo e la squadra che culminò la rimonta con Claudio Ranieri oggi Sir d’Inghilterra e allora re della città reale di Cagliari. Quando nell’estate del 1990 l’agorà delle mura cittadine che sintetizzano la Sardegna ospitò per il mondiale l’Olanda e l’Inghilterra, quel primo viaggio da “orientali” del tifo, da radicali aragonesi, da orgogliosi sardi, venne suggellato. Chi più di inglesi e olandesi che del viaggio hanno fatto imperi, poteva metaforicamente definire quanto questo avesse importanza nella cultura del tifo sardo, solo con l’arrivo nell’isola? Oggi le cose sono cambiate dai sogni primordiali e genuini degli esordi.
Oggi il tifo romantico e all’inglese di questo gruppo che ha riscosso successo e considerazione nell’Italia delle curve e nel fenomeno dell’aggregazionismo, è un tifo che ha perso i suoi due tratti distintivi: la segretezza e il silenzio. I passi che nella vita di ciascuno di noi raccontano mirabilmente le nostre passioni. C’è più vocio negli Sconvolts come il caso Storari con la richiesta da parte del gruppo, in un comunicato a settembre, di togliergli la fascia da capitano perché non rappresentante dell’orgoglio sardo, sta a testimoniare. Un brusio polemico, la trasformazione della mente in qualcosa di razionale e strutturato. Il tifo sardo della memoria non ha approvato e durante Cagliari – Atalanta di settembre ha sonoramente fischiato gli Sconvolts. Il segnale di un nuovo scisma o la richiesta di una redenzione, di un ritorno alle origini. Quelle origini che hanno formato il tifo cagliaritano, prima cittadino, poi sardo. Il tifo che risuonava l’alé, alé, Cagliari dell’Amsicora, lo stadio dove “Sandokan” Silvestri cavalcò come a Balaklava, verso la serie A. Era il 1964 e i vestiti rossoblù indossati dalle ragazze sarde erano i simboli del tifo che festeggiava l’abbraccio dell’isola al continente.
Il Cagliari ha sempre portato nel calcio cuore e vento. Il vento è stato il grande traghettatore dell’emozioni dell’altro, del cuore. Il campo degli esordi nel’20 di Via Pola, l’Amsicora, il Sant’Elia hanno tifato per eretici e eremiti, per passionali e silenziosi: due opposti della stessa medaglia, chiamata emozione. I sardi hanno negli occhi e nell’anima, il tifo per Gigi Riva, l’Achille del trionfo immortale, due isolani lui Gigi d’adozione e l’altro diòscuro invincibile, che hanno conquistato la terra ferma. Il supporto per Cera l’equilibratore, per Martin Lutero Scopigno, per il grande Samurai Domingo, l’Angelo nazionale e un tempo interista.
Il tifo sardo è questo amore per la terra e per gli uomini che li rappresentano come Matteoli, come Tabarez altro viaggiatore nel nuovo mondo. Per questo oggi, alla fine del 2016, il tifo “occidentale”, quello moderato solo dai silenzi del cuore, ha contestato gli “orientali”, gli Sconvolts. In quei fischi per una presa di posizione politica impropria e fuori luogo su di un giocatore tesserato, i sardi hanno visto l’allontanamento dalla passione. Dalle vestigia di Piazza Yenne, il luogo dei festeggiamenti. Dall’assedio del piroscafo nel 1929 per disturbare il viaggio di ritorno di leccesi, foggiani e palermitani, a ribadire la vittoria sul campo del Cagliari in un torneo, con un concetto chiaro: il viaggio, quello vero per mare tra viaggiatori grandi è dei sardi.
La parabola degli Sconvolts degli ultimi 8 anni ha segnato un loro distacco dai tratti “orientali” della genesi. Meno movimento, più perdita. Una perdita d’identità segnata da quattro passaggi della loro storia di genere. Il 1993 quando dando a Fonseca del traditore dopo un suo gol con il Napoli contro il Cagliari, elessero il tifo solo alla maglia e alla città abbandonando il terzo grande componente: gli uomini. Il 1994 quando nella grande semifinale UEFA finì il gemellaggio con l’Inter, perché gli ultrà della beneamata non si prodigarono in diplomazie con quelli milanisti rei di aver rubato il vessillo, la bandiera agli Sconvolts. Come perdere l’anima e sentirsi vuoti.
Ed anche stagioni più recenti, il 2012 anno della fine del ventennale gemellaggio con i tifosi del Foggia sancito in un mitico Foggia-Cagliari del 1989 in cui anche gli Sconvolts tifarono per la vittoria del Foggia che dava l’ingresso in serie B ad entrambi. Fino a oggi, anno del signore 2016 a finire. Il caso Storari, i daspo. Il silenzio della passione dimenticato. Nel trentennale che festeggeranno a breve, forse ritroveranno i valori della genesi. I fischi del tifo sardo a settembre chiedevano questo, il ritorno alle migrazioni aragonesi sulla Tirrenia. Perché il tifo cagliaritano e sardo è cuore e vento, mare e sole. Pilastri dell’emozione di un popolo.
Matteo Quaglini
@MQuaglini