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L’Udinese e il crepuscolo dei Pozzo, ma il Friuli non può restare al buio
Diversa ed esattamente opposta la situazione nell’altra città di frontiera che si chiama Udine. Qui il gioco del pallone e la squadra di riferimento per l’intero popolo friulano rappresentano entità talmente serie da essere irrinunciabili. L’Udinese, dalla sua fondazione a oggi, non è mai stata una semplice squadra di calcio per la quale si può provare grande entusiasmo quando vince oppure appena tiepido affetto se le cose non vanno a dovere. L’Udinese si trova costantemente sulla cima dei pensieri di ciascun abitante di una città che, a differenza di Trieste, si sente più italiana degli stessi italiani e che si mantiene a debita distanza ideologica e pratica dagli austriaci i quali si trovano a pochi chilometri di distanza oltre il confine dopo Tarvisio. Non si può fare a meno di amare Udine, con i sui angli preziosi e segreti, ed è impossibile non rispettare la sua gente tanto ospitale quanto saggiamente silenziosa. Così come tutta la sua grande provincia i cui simboli di un’umanità positiva non a caso, sotto la vice del calcio, sono Enzo Bearzot e Dino Zoff. In buona sostanza l’Udinese, per ciò che rappresenta anche oltre gli stretti confini del pallone, va difesa e preservata in quanto patrimonio culturale.
Oggi, dopo anni di presenza molto più che dignitosa al tavolo delle società che contano, per la squadra friulana le cose non sembrano filare nel modo giusto né per i risultati fin qui ottenuti e né soprattutto per le prospettive a breve-medio termine nonostante l’allontanamento del tecnico Iachini che alla resa dei conti potrebbe rivelarsi come a solita e inutile soluzione di facciata per non dover ammettere che il peccato capitale sta a monte del problema. Giampaolo Pozzo è ormai molto anziano e per la sua squadra del cuore italiano ne ha fatte e viste di tutti i colori. Suo figlio Gino vive da dieci anni a Barcellona e, malgrado l’affetto e a buona volontà, in può fare dell’Udinese il suo pensiero primario. Tant’è, per la prima volta dopo trent’anni di saggia e di avveniristica gestione la famiglia che aveva salvato la società friulana dal fallimento sotto la guida di Mazza e di Dal Cin sembra essere arrivata sulla soglia del crepuscolo in quanto a calo dell’impegno e alla mancanza di idee. Soprattutto loro, le idee. Quelle che, nel corso degli ultimi dieci anni, avevano provveduto a fare dell’Udinese una società modello e guida non solo per il calcio di casa nostra. Dalla compravendita di giovani destinati a diventare campioni, al centro di studi telematico di rilevanza mondiale, lle sperimentazioni di nuove tecnologie fino alla realizzazione del gioiello Dacia Stadium. Ora tutto ciò non può e non deve venir compromesso da un eventuale tramonto. Udine e il Friuli non possono ritrovarsi al buio.