CM a casa di Sarri, le origini del mito: la sua storia in 6 tappe FOTOGALLERY
«Mi chiamano ancora l’ex impiegato. Come fosse una colpa aver fatto altro»
Inizio con una citazione del protagonista, in modo classico, proprio come i personaggi della nostra storia: genuini e sinceri, persone normali non incastrate nella gogna di interessi a cui è legato questo mondo. Una pacatezza simile alle sensazioni che mi hanno accompagnato fin dall’inizio di questo viaggio nelle terre primordiali di Maurizio Sarri: l’allenatore di tutti, partito dall’aretino prima di spiccare il volo. Adesso guarda tutti dall’alto in Serie A, ma è partito dai campi della Toscana attraversando mille peripezie e svolgendo una vita comune, come quella di tante persone, inseguendo un sogno e mettendosi in gioco. E ho deciso di ripercorrere le sue tappe, per conoscere meglio cosa si cela dietro al mister nativo di Napoli.
PRIMA TAPPA: LA CASA D'INFANZIA - La cordialità si nota fin dalle prime ore del mattino: ore 7:30, Piazza Marsilio Ficino a Figline Valdarno, in provincia di Firenze. Permane ancora un po’ di scia lasciata dall’alba mentre il paese inizia a vivere: accanto a un porticato si scorge ‘L’Antico Caffè Greco’, sede del ‘Napoli Club Maurizio Sarri’, gestito dalla famiglia Iaiunese. Un vero e proprio luogo partenopeo trapiantato sotto la casa in cui il tecnico è cresciuto. «La cosa bella – raccontano i proprietari – è che questo club sorge al piano terra della palazzina in cui Sarri ha trascorso l’adolescenza, ma totalmente per caso». Incredibile. «Siamo amici oltre il calcio, due anni fa inaugurammo questo tributo in suo onore e partecipò alla festa – continuano a riferire – in un clima di gioia», tutto condito da un rapporto pluriennale, considerando anche il fatto che il fratello di uno dei due imprenditori giocava nel Cavriglia proprio con il nostro protagonista.
SECONDA TAPPA: IL 'CIRCOLO' E L'EDICOLA - Lasciata Figline Valdarno, non dopo aver sorseggiato un caffè in pieno stile napoletano, mi metto in marcia verso Matassino: qui sovente Maurizio, quando torna nei luoghi di gioventù, trascorre del tempo tra la casa del popolo – dove spesso si può trovare il padre – senza però lesinare l’acquisto del giornale all’edicola situata in riva al fiume. «Il babbo viene dopo ogni partita – racconta l’edicolante – e compra il quotidiano. Sono tutti rimasti come prima, rispecchiano le persone che erano prima della fama». «Ma non ti fa effetto vederlo sulle prime pagine?», le chiedo. «Inizialmente mi commovevo, adesso mi fa effetto: lo conosco da una vita». E anche all’interno della casa del popolo lo conoscono molto bene: lì e in quella di Vaggio, cittadina limitrofa in cui abita la famiglia Sarri.
TERZA TAPPA: IL BAR - Cordialità e Gazzetta in mano, questi gli ingredienti: tutti lo stimano, visto che «il tempo è passato ma è rimasto uguale, genuino. Quando lo vediamo alle conferenze stampa, beh… si comporta nello stesso modo con cui si relazionerebbe con noi al bancone. E dopo ogni vittoria passava e comprava una stecca di sigarette». All’interno del bar adiacente il ponte che si arrampica per Vaggio è impossibile sentirne parlar male, anche se un signore mi confessa: «A me il tiki-taka non piace, mi fa ‘ingrullire’, sono più per il calcio fatto di ripartenze. E non mi piace neanche Mertens»: si parla però molto di sport e raramente di Maurizio. Poco male, perché poco prima dell’ora di pranzo ho un appuntamento informale con i genitori, all’interno di casa Sarri.
QUARTA TAPPA: A CASA SARRI - Mi accolgono Amerigo e Clementina, due signori ultraottantenni che dimostrano almeno dieci anni di meno, nello spirito ma non solo. Un caffè – il secondo in poche ore, per me che non lo prendo mai - e tante chiacchiere, senza però entrare troppo nel merito del pallone. Non possono e non vogliono rilasciare interviste. Sono riservati – non vogliono apparire in foto – e ligi al dovere. Però c'è spazio per parlare di tutto, ascoltando tante storie extracalcistiche. Anche perché lo sport di famiglia è il ciclismo: il ‘babbo’, così come lo chiama adesso, poiché da piccolo l’attuale allenatore del Napoli lo chiamava ‘bapà’ – nomenclatura, quella di ‘papà’, ripudiata in Toscana - a causa dell’inflessione bergamasca dovuta proprio al lavoro del padre, era un ciclista e ci tiene a ricordare come ancora oggi possieda una bicicletta del ’48. Ci ha provato anche Maurizio, una volta finì contro un cartello e all’ospedale: otteneva buone prestazioni, così come a scuola, quando al termine dell’esame di Maturità la commissione lo invogliò a continuare gli studi. Si iscrisse all’Università ma niente, lavorava già in banca e coltivava fin da quattro anni il sogno di allenare: distribuiva le figurine per terra secondo i suoi schemi e guai a toccargliele. Un perfezionista, fin dall’epoca. E un “trascinatore”, come lo definivano le maestre: anche per questo i calciatori lo amano, lo seguono e si rivitalizzano. Basti pensare a Higuain, lo adora. Tante difficoltà incontrare durante il percorso: si è messo in gioco, abbandonando il lavoro ai tempi della Sangiovannese per scommettere su se stesso e sul calcio. Esperimento azzardato ma azzeccato. Pensare che si è dovuto guadagnare l’idoneità per allenare tra i professionisti vincendo una Coppa Italia di Serie D con il Sansovino, altrimenti niente abilitazione a causa del suo mancato “passato importante”.
QUINTA TAPPA: LE PRIME PANCHINE E L'AMICO/COLLEGA - Prima di rientrare, un salto verso Faella: neanche dieci minuti in macchina da casa Sarri e seconda tappa, dopo la parentesi a Stia, della carriera da allenatore dell’attuale tecnico del Napoli. Il campo è deserto, lo stanno innaffiando, ma si scorge quella panchina che un tempo probabilmente lo ha ospitato: chissà chi era il suo Mertens all’epoca. Durante il viaggio verso Firenze, squilla il telefono: è Aurelio Virgili – figlio di Giuseppe, ex calciatore della Fiorentina, nonché direttore di Sarri in banca – pronto a raccontarci l’amico. «L’ho sentito ieri sera, gli ho raccontato di te e della tua idea, così abbiamo iniziato a rammentare i vecchi tempi. Ero e sono il suo amuleto: mi chiama prima di ogni partita, addirittura quando si giocava la promozione in Serie A con l’Empoli mi obbligò ad andare allo stadio con il Pescara. Una volta mi portò addirittura la maglia di un attaccante che non riusciva a segnare: me la fece toccare, la domenica siglò una doppietta e si ruppe il naso», mi dice ridendo Virgili. «Ero incaricato di selezionare i migliori bancari - continua - mi presentarono Maurizio, lavorava all’ufficio estero. Devi cercare le motivazioni nei candidati, mi piacque e inoltre da noi gli orari gli permettevano di poter allenare, organizzandosi naturalmente. Aveva una stanza in casa con tutti i VHS con le partite».
SESTA TAPPA: DRITTO AL CUORE - «Tifa Fiorentina e non se ne vergogna. Anche se essendo nato a Napoli tifa anche per gli Azzurri. Ricordo lo scorso anno: i viola vincevano due a zero contro il Borussia Monchengladbach. Si assentò un attimo, tornò e perdeva 4-2. ‘Ho detto una serie di imprecazioni…’, mi disse». Anche la sua famiglia sostiene i gigliati, ma adesso la testa è solamente sul Napoli. Maurizio Sarri è primo in classifica, gioca la Champions League ed è rimasto l’uomo di sempre, pronto a tornare nella sua Toscana, nei suoi posti, vivendo comunque nella normalità essenziale per rimanere umili e continuare a sognare. E chissà che in quella saletta, che i genitori mi hanno mostrato con orgoglio, piena di gagliardetti - dalle squadre dilettantistiche a quelle europee - di maglie e di premi, a fine anno non possa esserci il trofeo più glorioso...
PRIMA TAPPA: LA CASA D'INFANZIA - La cordialità si nota fin dalle prime ore del mattino: ore 7:30, Piazza Marsilio Ficino a Figline Valdarno, in provincia di Firenze. Permane ancora un po’ di scia lasciata dall’alba mentre il paese inizia a vivere: accanto a un porticato si scorge ‘L’Antico Caffè Greco’, sede del ‘Napoli Club Maurizio Sarri’, gestito dalla famiglia Iaiunese. Un vero e proprio luogo partenopeo trapiantato sotto la casa in cui il tecnico è cresciuto. «La cosa bella – raccontano i proprietari – è che questo club sorge al piano terra della palazzina in cui Sarri ha trascorso l’adolescenza, ma totalmente per caso». Incredibile. «Siamo amici oltre il calcio, due anni fa inaugurammo questo tributo in suo onore e partecipò alla festa – continuano a riferire – in un clima di gioia», tutto condito da un rapporto pluriennale, considerando anche il fatto che il fratello di uno dei due imprenditori giocava nel Cavriglia proprio con il nostro protagonista.
SECONDA TAPPA: IL 'CIRCOLO' E L'EDICOLA - Lasciata Figline Valdarno, non dopo aver sorseggiato un caffè in pieno stile napoletano, mi metto in marcia verso Matassino: qui sovente Maurizio, quando torna nei luoghi di gioventù, trascorre del tempo tra la casa del popolo – dove spesso si può trovare il padre – senza però lesinare l’acquisto del giornale all’edicola situata in riva al fiume. «Il babbo viene dopo ogni partita – racconta l’edicolante – e compra il quotidiano. Sono tutti rimasti come prima, rispecchiano le persone che erano prima della fama». «Ma non ti fa effetto vederlo sulle prime pagine?», le chiedo. «Inizialmente mi commovevo, adesso mi fa effetto: lo conosco da una vita». E anche all’interno della casa del popolo lo conoscono molto bene: lì e in quella di Vaggio, cittadina limitrofa in cui abita la famiglia Sarri.
TERZA TAPPA: IL BAR - Cordialità e Gazzetta in mano, questi gli ingredienti: tutti lo stimano, visto che «il tempo è passato ma è rimasto uguale, genuino. Quando lo vediamo alle conferenze stampa, beh… si comporta nello stesso modo con cui si relazionerebbe con noi al bancone. E dopo ogni vittoria passava e comprava una stecca di sigarette». All’interno del bar adiacente il ponte che si arrampica per Vaggio è impossibile sentirne parlar male, anche se un signore mi confessa: «A me il tiki-taka non piace, mi fa ‘ingrullire’, sono più per il calcio fatto di ripartenze. E non mi piace neanche Mertens»: si parla però molto di sport e raramente di Maurizio. Poco male, perché poco prima dell’ora di pranzo ho un appuntamento informale con i genitori, all’interno di casa Sarri.
QUARTA TAPPA: A CASA SARRI - Mi accolgono Amerigo e Clementina, due signori ultraottantenni che dimostrano almeno dieci anni di meno, nello spirito ma non solo. Un caffè – il secondo in poche ore, per me che non lo prendo mai - e tante chiacchiere, senza però entrare troppo nel merito del pallone. Non possono e non vogliono rilasciare interviste. Sono riservati – non vogliono apparire in foto – e ligi al dovere. Però c'è spazio per parlare di tutto, ascoltando tante storie extracalcistiche. Anche perché lo sport di famiglia è il ciclismo: il ‘babbo’, così come lo chiama adesso, poiché da piccolo l’attuale allenatore del Napoli lo chiamava ‘bapà’ – nomenclatura, quella di ‘papà’, ripudiata in Toscana - a causa dell’inflessione bergamasca dovuta proprio al lavoro del padre, era un ciclista e ci tiene a ricordare come ancora oggi possieda una bicicletta del ’48. Ci ha provato anche Maurizio, una volta finì contro un cartello e all’ospedale: otteneva buone prestazioni, così come a scuola, quando al termine dell’esame di Maturità la commissione lo invogliò a continuare gli studi. Si iscrisse all’Università ma niente, lavorava già in banca e coltivava fin da quattro anni il sogno di allenare: distribuiva le figurine per terra secondo i suoi schemi e guai a toccargliele. Un perfezionista, fin dall’epoca. E un “trascinatore”, come lo definivano le maestre: anche per questo i calciatori lo amano, lo seguono e si rivitalizzano. Basti pensare a Higuain, lo adora. Tante difficoltà incontrare durante il percorso: si è messo in gioco, abbandonando il lavoro ai tempi della Sangiovannese per scommettere su se stesso e sul calcio. Esperimento azzardato ma azzeccato. Pensare che si è dovuto guadagnare l’idoneità per allenare tra i professionisti vincendo una Coppa Italia di Serie D con il Sansovino, altrimenti niente abilitazione a causa del suo mancato “passato importante”.
QUINTA TAPPA: LE PRIME PANCHINE E L'AMICO/COLLEGA - Prima di rientrare, un salto verso Faella: neanche dieci minuti in macchina da casa Sarri e seconda tappa, dopo la parentesi a Stia, della carriera da allenatore dell’attuale tecnico del Napoli. Il campo è deserto, lo stanno innaffiando, ma si scorge quella panchina che un tempo probabilmente lo ha ospitato: chissà chi era il suo Mertens all’epoca. Durante il viaggio verso Firenze, squilla il telefono: è Aurelio Virgili – figlio di Giuseppe, ex calciatore della Fiorentina, nonché direttore di Sarri in banca – pronto a raccontarci l’amico. «L’ho sentito ieri sera, gli ho raccontato di te e della tua idea, così abbiamo iniziato a rammentare i vecchi tempi. Ero e sono il suo amuleto: mi chiama prima di ogni partita, addirittura quando si giocava la promozione in Serie A con l’Empoli mi obbligò ad andare allo stadio con il Pescara. Una volta mi portò addirittura la maglia di un attaccante che non riusciva a segnare: me la fece toccare, la domenica siglò una doppietta e si ruppe il naso», mi dice ridendo Virgili. «Ero incaricato di selezionare i migliori bancari - continua - mi presentarono Maurizio, lavorava all’ufficio estero. Devi cercare le motivazioni nei candidati, mi piacque e inoltre da noi gli orari gli permettevano di poter allenare, organizzandosi naturalmente. Aveva una stanza in casa con tutti i VHS con le partite».
SESTA TAPPA: DRITTO AL CUORE - «Tifa Fiorentina e non se ne vergogna. Anche se essendo nato a Napoli tifa anche per gli Azzurri. Ricordo lo scorso anno: i viola vincevano due a zero contro il Borussia Monchengladbach. Si assentò un attimo, tornò e perdeva 4-2. ‘Ho detto una serie di imprecazioni…’, mi disse». Anche la sua famiglia sostiene i gigliati, ma adesso la testa è solamente sul Napoli. Maurizio Sarri è primo in classifica, gioca la Champions League ed è rimasto l’uomo di sempre, pronto a tornare nella sua Toscana, nei suoi posti, vivendo comunque nella normalità essenziale per rimanere umili e continuare a sognare. E chissà che in quella saletta, che i genitori mi hanno mostrato con orgoglio, piena di gagliardetti - dalle squadre dilettantistiche a quelle europee - di maglie e di premi, a fine anno non possa esserci il trofeo più glorioso...