Sacchi punge Donnarumma: 'Dov'è la riconoscenza? Aveva baciato la maglia, ora rischia come Sheva e Kakà...'
Arrigo Sacchi dice la sua. Il giorno dopo la conferma di Paolo Maldini, che ha ufficializzato l'addio di Gigio Donnarumma, l'ex tecnico parla a La Gazzetta dello Sport: "Parlo perché ho avuto modo di incontrare Donnarumma in diverse occasioni e ne ho ricavato l’impressione di un ragazzo più maturo della sua giovane età. Quindi le mie parole nascono un sentimento di stima nei suoi confronti. Stima come uomo e come giocatore. E tuttavia non posso nascondere il dispiacere per questo epilogo".
SULLA VICENDA - "Se lui si trovava bene al Milan, il club che lo ha fatto crescere e lo ha valorizzato, doveva restare. Nella vita esiste anche il senso di riconoscenza nei confronti di chi ti ha dato una possibilità importante e questa era l’occasione per dimostrarlo. Inoltre, cosa che non va dimenticata, il club gli aveva proposto un contratto ricco. Quindi mi chiedo: perché andare via? Perché forzare la situazione? Ci sono esempi, restando nel mondo del Milan, che sono abbastanza significativi. Parlo dei casi di Shevchenko e di Kakà. Il primo, per i soldi, decise di andarsene al Chelsea. Il secondo, sempre per una questione economica, scelse il Real Madrid. Entrambi fallirono. Andare via da un posto dove sei amato è sempre un rischio. Io, francamente, non capisco come si possa lasciare il certo per l’incerto in nome del denaro".
SUI SOLDI - "Porto un esempio personale. Quando andai dal Parma al Milan, nel 1987, firmai il contratto in bianco. Seppi a fine stagione, dopo aver vinto lo scudetto, che guadagnavo meno di quello che prendevo al Parma. Me lo disse Galliani e io gli risposi: 'Bene così, vuol dire che non dovrò girare con le guardie del corpo...'. Io ero felice, non m’importava del denaro. E, soprattutto, non avevo rammarichi. Avevo scelto il Milan sulla base del progetto, delle emozioni che mi suscitava, non certo pensando ai soldi. I soldi sono importanti, ci mancherebbe altro, sono un riconoscimento al valore e alla professionalità, ma non possono essere al primo posto nel momento in cui si fa una scelta".
SULLE MOSSE DEL MILAN - "Il club ha fatto le sue valutazioni, ha offerto un ingaggio importante e il portiere non ha deciso: questa è la realtà. A quel punto è ovvio che la società rivolga le proprie attenzioni verso altri soggetti, non può mica giocare senza portiere... Pensavo che Donnarumma scegliesse pensando più alla felicità personale che al portafoglio. Avrei capito se lui avesse detto: 'Non mi trovo bene al Milan'. Allora sì che avrebbe dovuto andarsene. Ma mi pare che lui non abbia mai pronunciato queste parole e abbia sempre dichiarato l’amore per il club e per i colori rossoneri. Ha anche baciato la maglia, se ricordo bene... Quindi...".
SUL FUTURO - "Se avesse fatto un’altra scelta, e cioè se avesse deciso di restare, avrebbe fatto un salto di qualità come persona: avrebbe dimostrato di non essere condizionato dal vil denaro. E, probabilmente, in futuro, non avrebbe avuto rimpianti. Così, invece, non so. I soldi non possono essere l’obiettivo principale per un professionista, ma una giusta e normale conseguenza".
SULLA VICENDA - "Se lui si trovava bene al Milan, il club che lo ha fatto crescere e lo ha valorizzato, doveva restare. Nella vita esiste anche il senso di riconoscenza nei confronti di chi ti ha dato una possibilità importante e questa era l’occasione per dimostrarlo. Inoltre, cosa che non va dimenticata, il club gli aveva proposto un contratto ricco. Quindi mi chiedo: perché andare via? Perché forzare la situazione? Ci sono esempi, restando nel mondo del Milan, che sono abbastanza significativi. Parlo dei casi di Shevchenko e di Kakà. Il primo, per i soldi, decise di andarsene al Chelsea. Il secondo, sempre per una questione economica, scelse il Real Madrid. Entrambi fallirono. Andare via da un posto dove sei amato è sempre un rischio. Io, francamente, non capisco come si possa lasciare il certo per l’incerto in nome del denaro".
SUI SOLDI - "Porto un esempio personale. Quando andai dal Parma al Milan, nel 1987, firmai il contratto in bianco. Seppi a fine stagione, dopo aver vinto lo scudetto, che guadagnavo meno di quello che prendevo al Parma. Me lo disse Galliani e io gli risposi: 'Bene così, vuol dire che non dovrò girare con le guardie del corpo...'. Io ero felice, non m’importava del denaro. E, soprattutto, non avevo rammarichi. Avevo scelto il Milan sulla base del progetto, delle emozioni che mi suscitava, non certo pensando ai soldi. I soldi sono importanti, ci mancherebbe altro, sono un riconoscimento al valore e alla professionalità, ma non possono essere al primo posto nel momento in cui si fa una scelta".
SULLE MOSSE DEL MILAN - "Il club ha fatto le sue valutazioni, ha offerto un ingaggio importante e il portiere non ha deciso: questa è la realtà. A quel punto è ovvio che la società rivolga le proprie attenzioni verso altri soggetti, non può mica giocare senza portiere... Pensavo che Donnarumma scegliesse pensando più alla felicità personale che al portafoglio. Avrei capito se lui avesse detto: 'Non mi trovo bene al Milan'. Allora sì che avrebbe dovuto andarsene. Ma mi pare che lui non abbia mai pronunciato queste parole e abbia sempre dichiarato l’amore per il club e per i colori rossoneri. Ha anche baciato la maglia, se ricordo bene... Quindi...".
SUL FUTURO - "Se avesse fatto un’altra scelta, e cioè se avesse deciso di restare, avrebbe fatto un salto di qualità come persona: avrebbe dimostrato di non essere condizionato dal vil denaro. E, probabilmente, in futuro, non avrebbe avuto rimpianti. Così, invece, non so. I soldi non possono essere l’obiettivo principale per un professionista, ma una giusta e normale conseguenza".