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    Lippi 'Juve, ci sono'; e il Milan...

    Lippi 'Juve, ci sono'; e il Milan...

    Marcello Lippi ha parlato in esclusiva ai microfoni di Sky. L’intervista all’ex commissario tecnico della Nazionale è andata in onda all’interno di “Sky Calcio Show”.

    L’ex commissario tecnico della Nazionale parla per la prima volta del fallimento al Mondiale sudafricano, svelando alcuni episodi inediti della preparazione della Nazionale. Parla anche del proprio futuro, non escludendo un ritorno alla Juventus, ma soprattutto risponde per la prima volta a Claudio Ranieri, che lo aveva accusato di tramare per sostituirlo sulla panchina della Roma. Lippi risponde rivelando un clamoroso retroscena: “Ranieri alla Juventus lo segnalai io.”

    Ecco le dichiarazioni di Lippi.

    Sentivo il desiderio di staccare perché è stata, per fortuna, una delle poche esperienze negative della mia carriera, perché poi ci si ricorda sempre dell’ultima, ma andando un pochino indietro vengono fuori tante altre cose importanti. Questa è stata abbastanza forte e io ho pensato che fosse giusto staccare la spina, l’ho fatto per qualche mese, senza stare a chiacchierare, cosa dovevo spiegare? C’era già una certa convinzione, una certa sicurezza dall’esterno ancora prima che cominciassimo a giocare, quindi era inutile spiegare, fare e brigare. Perciò meglio stare zitti, ma mi sono reso conto che passava troppo tempo e non era neanche giusto. Avevo detto che avrei ricominciato a parlare quando fossi tornato a lavorare, ma poichè all’orizzonte non c’erano cose interessanti mi son detto, “qua si corre il rischio di star zitti per troppo tempo”, allora è venuta questa partita di Torino che è stata splendida e, visto che avevo detto che avrei parlato al mio ritorno in panchina, lì andavo in panchina e ho ricominciato a parlare di calcio. Avevo voglia di parlare di calcio, non certo del passato perché del passato non ha senso parlare, né di quello positivo, né di quello negativo, perché è tutto scritto e nessuno lo cancella.

    Ha rivelato che qualche tempo fa c’era stato un riavvicinamento con la Juventus.

    Si, c’era stato un riavvicinamento, c’era stata un’offerta della società precedente di fare l’allenatore, che io ho rifiutato perché non ero pronto per tornare a fare l’allenatore, perché volevo che prima si risolvessero delle cose, quelle che poi mi avevano dato lo spunto per lasciare la Nazionale dopo la Germania. Queste cose si sono risolte in maniera molto chiara, come era naturale che fosse, e anche nel recente passato c’è stata la possibilità di tornare, non come allenatore, ma in un’altra veste.

    Ed è stato quindi lei a rifiutare perché si sentiva ancora allenatore?

    No, le cose sono andate diversamente. Ricordate quando ero in Nazionale e sembrava che tutto ciò che faceva la Juventus dipendesse da Lippi? In realtà non dipendeva niente da Lippi, c’era solo la disponibilità di tornare alla Juve, una volta finito il lavoro alla Nazionale. Quello che succedeva alla Juventus non era il frutto di suggerimenti di Lippi, ma di valutazioni delle persone che lavoravano in quel periodo alla Juventus e che, magari per giustificare le cose che non andavano tanto bene, approfittando anche di un pranzo che io ho fatto con Blanc a Secco, durante il quale abbiamo parlato di tutto tranne di ciò che dicevano loro, hanno approfittato per scaricare le loro responsabilità. È un classico, no?

    Quando le cose non vanno bene alla Juventus dalle curve si sente il suo nome: immagino che le faccia piacere.

    Enormemente piacere. Abbiamo passato 8 anni talmente entusiasmanti, nei quali in pratica vincevamo quasi sempre. Forse nemmeno ci rendevamo conto di quante cose importanti stavamo facendo, non ce le godevamo neanche. Quindi è chiaro che il rapporto tra me e i tifosi della Juventus sia rimasto di un certo tipo. Ormai sono 6 anni che non sono alla Juve e, ogni volta che le cose vanno male, esce fuori il mio nome, ma è il frutto della grande stima reciproca che c’è tra me e l’ambiente juventino. Ho già detto in tante occasioni che non deve dare fastidio a nessuno, anzi è una cosa fantastica questo rapporto che è venuto attraverso tanti grandi risultati e ormai rimarrà nel tempo, indipendentemente dal fatto che io possa tornare a lavorare alla Juventus. Questo è un altro discorso, tanto non succederà.

    Lei si sente di escludere, usando un termine politico, un Lippi-ter, cioè un terzo governo Lippi alla Juventus?

    Non c’è bisogno. La Juventus ha le idee chiare. Ripeto, tutti sanno che nella passata gestione c’era questa grande possibilità. Adesso c’è una nuova gestione, quanto di meglio ci possa essere alla presidenza, perché Andrea è l’ultimo degli Agnelli a fare il Presidente ed è una cosa bellissima. Ha tanto entusiasmo, tanta capacità. Nella vita, però, non bisogna mai escludere niente, perché sono situazioni, ambienti e persone alle quali non si direbbe mai di no. Quindi mai dire mai, ma questa non è una candidatura, è una spiegazione. Io ho detto: “In Italia l’allenatore non lo faccio più, se non per ragioni di cuore”, ma questo fa parte del discorso di prima, del rapporto che ho con questa società e che un giorno, speriamo che non succeda mai perché vorrebbe dire che le cose vanno bene, se dovessero aver bisogno una mano gliela darei, in qualsiasi maniera.

    Lei ha avuto il Del Piero giovane, il miglior Del Piero, il Del Piero da gestire come ha fatto ai Mondiali in Germania. Le chiedo: è così ingombrante, così difficile da gestire?

    Del Piero è un giocatore che vorrebbe giocare sempre, ma perché è il suo spirito che gli permette di arrivare a quanti anni ha e di essere ancora determinante. Ed è importante, ci mancherebbe altro che un giocatore dicesse: “Non c’è problema fatemi giocare quando volete voi”. Un giocatore cosi va venduto immediatamente. Invece, un giocatore che vuol giocare sempre…. Ma tra persone intelligenti ci si mette sempre d’accordo. A me viene da fare un esempio naturalissimo: Giggs e Scholes nel Manchester United giocano una partita si due no, due si tre no, una volta giocano una partita meno importante, a volte una grande partita di coppa. Questa è la gestione. Loro si sentono sempre importanti, partecipi a un grande progetto e l’allenatore sa di poter contare su grandi calciatori che non possono più fare 50/60 partite all’anno, ma 35 partite di altissimo livello le possono fare.

    Lei, poco fa, ha detto che in Italia non allenerà più, se non alla Juventus, ma durante questo periodo di silenzio è stato accostato a un certo punto alla Roma. Pura fantasia?

    Pura fantasia, anzi ne approfitto per rispondere a Ranieri, perchè non gli ho mai risposto e non c’era niente da rispondere. Lui era impegnato a lavorare con la Roma, con tanti problemi, ma anche con grandi soddisfazioni perché sono stati 2 anni anche di grandi soddisfazioni. E vedeva ombre dove non c’erano, perché io non ho mai sentito mezza parola di una persona della Roma e, ti dirò di più, io più volte avevo detto di no alla Roma, ma non alla Roma perché Roma. Perché Roma è una città fantastica, una società fantastica, una tifoseria fantastica e una squadra fantastica, ma io avevo già deciso e avevo detto 50.000 volte che a Roma non ci sarei mai stato. Invece lui accostò i fantasmi di Roma a quelli di Torino e non sapeva neanche nulla di Torino, perché io è vero che ero vicino alla Juventus, ma non certo come allenatore, era tutt’altro ruolo quello che avrei occupato alla Juventus ritornando, perciò neanche mezza parola con la Roma.

    Con Ranieri ha mai chiarito direttamente?

    No, direttamente no. Ho spiegato tutto a persone che lavoravano con lui che, peraltro, erano state alla Juventus. Mi riferisco a Montali. Gli ho spiegato tutto e gli ho detto: “Dille a Ranieri” perché Montali la verità la conosceva e penso che glielo abbia detto. Ma io non ho niente contro Ranieri. Forse, adesso mi diverto anch’io a raccontare qualcosa di simpatico, tanto non c’è niente di male. Quando venne Blanc a chiedermi se andavo ad allenare la Juventus, e parliamo di 4 anni fa, gli dissi no per i motivi che ho detto prima, perché io non volevo essere un problema per la Juventus, perché sapevo già che se fossi tornato a lavorare alla Juve avrebbero rotto le scatole, io avrei reagito in una certa maniera e avrei creato delle problematiche. Perciò gli dissi: “Non voglio essere un problema”. E allora finimmo per pensare a un allenatore e io gli dissi: “A parere mio, la persona più indicata, per esperienza internazionale, per personalità, è Ranieri”. In pratica lo dissi io di prendere Ranieri se vogliamo, o meglio glielo suggerii. E perciò non c’era assolutamente niente. Si vede che lui ha sentito l’odore di sigaro, ma non era il mio il sigaro, era di qualcun altro.

    Visto che ci siamo c’è stata un’altra voce, subito dopo Berlino, che riguardava il Milan.

    Sono professionisti di altissimo livello e, tra l’altro, sono molto amici. C’è stato modo di chiacchierare molto spesso con Galliani di calcio, a tutti livelli, ma poi non se n’è fatto nulla.

    Un annetto fa circa si preparava l’avventura mondiale: che percezioni aveva?

    Le avevo buone. Avevo in mente qualcosa che è stato uno dei motivi che mi hanno dato maggiore rammarico. Stavo girando, andavo a Milano a parlare con Nesta, andavo a Torino per parlare con Chiellini e Cannavaro perché mi ero messo in testa di andare ai Mondiali con una difesa a tre: Nesta, Cannavaro e Chiellini. Mi piaceva molto. Avevamo degli esterni che si prestavano a questo tipo di gioco, perché giocavano in questa maniera nelle loro squadre, mi riferisco a Maggio e a Criscito. Mi piaceva molto ed ero convinto di essere riuscito a convincere Nesta, invece prevalse questa sensazione di gestirsi, di tanti problemi che aveva avuto, mi è dispiaciuto molto. C’era una grande disponibilità da parte di tutti. Poi provai qualcosa di simile anche con Bonucci e avevo in testa di farlo, solo che Chiellini si presentò al ritiro con uno stiramento al polpaccio e fece 15 giorni di lavoro differenziato. Quando arrivammo a fare il Mondiale non potevo fare una cosa che non avevo mai provato, quindi lasciai le cose come stavano. Contemporaneamente ci fu un’altra tegola, l’infortunio di Pirlo che era uno dei grandi giocatori che avevamo. Alla prima partita si infortunò Buffon e la squadra perse un pochino delle sue convinzioni. Tutto questo non giustifica affatto che tu debba perdere con la Slovacchia, che tu faccia fatica con la Nuova Zelanda. Fatto sta che si era creata una situazione psicologica che ha fatto perdere alla squadra un pochino di sicurezza, convinzione, autostima. La squadra non aveva una grande personalità. Uscendo Pirlo e Buffon e pareggiando con la Nuova Zelanda, la squadra perse di convinzione e così ci fu la frittata con la Slovacchia. Certamente il valore dell’Italia non era quello, era sicuramente superiore, ma può succedere che possano esserci dei momenti particolarmente negativi. Questo non significa nulla per quanto riguarda il futuro post Nazionale. Era comunque un gruppo da rinnovare, sia che avesse vinto il Mondiale, sia che fosse arrivato secondo, terzo o ultimo. Infatti Cesare Prandelli sta facendo cosi, sta facendo un rinnovamento quasi totale. E’ chiaro che c’era gente che era giusto che rimanesse, tipo Pirlo, Buffon, De Rossi. Prandelli sta facendo un rinnovamento totale e non è facile, perché nelle grandi squadre, e questo è un problema che ho già affrontato io 6 anni fa all’inizio della mia esperienza in Nazionale, la maggior parte dei giocatori sono stranieri. I giocatori bravi italiani ci sono, e molti sono ancora nel giro della Nazionale, ma sono giocatori bravi che giocano in squadre non di prima fascia, quindi non fanno le coppe e di conseguenza non hanno esperienza internazionale. E l’esperienza internazionale è molto importante. Comunque sia, vedo che si sta costruendo di nuovo un gruppo giovane, con grande entusiasmo, con buone qualità tecniche, così mi sembra di rivedere lo stesso entusiasmo che c’era nel biennio prima della Germania, nel quale costruimmo una squadra formidabile sia dal punto di vista tecnico, ma soprattutto dal punto di vista morale. C’era una voglia fantastica di esserci e di partecipare, mi sembra di rivedere un po’ di quella voglia in questo gruppo. Speriamo sia di buon auspicio.

    In questi mesi, parlando ancora di Nazionale, ha mai pensato: “Ma chi me l’ha fatto fare a tornare?” Cosa l’ha spinta?

    Me lo dicevano tutti. Se l’Italia fosse andata in semifinale c’era un contratto che prevedeva la conferma di Donadoni, che tra l’altro se lo sarebbe meritato. Io non ho fatto altro che dare la mia disponibilità a chi me l’aveva chiesta e ho detto: “Fate il vostro Europeo”. Se le cose vanno bene rimane tutto com’è, come è giusto che sia. Se le cose non vanno bene allora io, se c’è bisogno, torno volentieri. Perché non è un mistero che quando io avevo lasciato la Nazionale dopo un pochino me ne ero subito pentito, perché avevo lasciato un gruppo straordinario, fantastico con cui avevamo costruito delle cose fantastiche. Tanti mi hanno detto: “Chi te l’ha fatto fare”, si è vero.

    E lei ci ha pensato in questo periodo?

    Sì, qualche volta.

    E la risposta è?

    Quella che ho detto poco fa, la voglia di lavorare con un gruppo fantastico.

    E tornando indietro lo rifarebbe?

    Questa è una cosa che non si può fare (sorride, ndr) quindi è inutile parlarne.

    I soliti nomi: Borriello, Giuseppe Rossi, Balotelli, Cassano. In questi mesi ha mai pensato ad uno che avrebbe portato in Sudafrica?

    Sì, Giuseppe Rossi, è un giocatore fantastico, un ragazzo fantastico, un professionista fantastico, che negli ultimi mesi prima del Mondiale aveva perso un po’ di fiducia, un po’ di convinzione, un po’ di entusiasmo, e nel fare le scelte lo avevo lasciato a casa. Quest’anno è esploso in maniera eccezionale, sta facendo benissimo, è diventato veramente un giocatore di primissima fascia internazionale. Sono contento per lui perché è davvero un bravissimo ragazzo. Ma quello che deve entrare nella testa delle persone è che ognuno può dire ciò che vuole, purché non diventi una strumentalizzazione, come in alcuni casi è diventata, con contestazioni organizzate apposta in allenamento, non deve diventare quello, ma soprattutto non si deve pensare che un allenatore ce l’abbia con un giocatore. Un allenatore non ce l’ha con nessuno, soprattutto con il giocatore uomo. Un allenatore può avere delle idee diverse sul piano tecnico e pensare che un giocatore possa non essere determinante per la sua squadra, pur considerando quel giocatore un bravo ragazzo e una persona seria. Non è detto che se un allenatore non vede in un giocatore delle caratteristiche che secondo lui non vanno bene per la squadra, debba per forza avercela con lui, non è vero. Sono soltanto convinzioni tecniche che poi possono essere sbagliate oppure no, oppure può avere ragione.

    Conta anche il bene del gruppo?

    Non è quello, perché io non ho mai pensato che qualche giocatore potesse disturbare il lavoro, sono semplicemente convinzioni tecniche.

    Lei in questo momento è fermo, Capello è in Inghilterra, Ancelotti al Chelsea, Mancini al City, Spalletti allo Zenit. Nel campionato italiano non c’è più un allenatore che ha vinto qualcosa. Questa “fuga di cervelli” anche tra gli allenatori incide in qualche modo sul nostro campionato?

    Quest’anno ci sono allenatori che mi sono piaciuti in modo particolare. Ad esempio Guidolin, che è un allenatore più o meno della mia generazione, abbiamo anche giocato insieme a Pistoia, si sta dimostrando un allenatore di altissimo livello, ed è un peccato che un allenatore così bravo non abbia mai allenato una delle classiche “grandi squadre”. Poi c’è Mazzarri che sta facendo molto bene, lo stesso Ballardini che quando è andato al Genoa si è trovato una squadra totalmente rinnovata ha dovuto amalgamarla e l’ha fatto abbastanza in fretta e si trova in una buona situazione di classifica. Poi Allegri. Questo è l’anno dei livornesi, ci sono di scoglio e di sabbia.

    Lei come caratteristiche si sente più vicino ad Allegri che a Mazzarri?

    Ho detto di recente che mi rivedo molto in Allegri perché come lui andai alla Juve quando avevo 46 anni, avevo il suo entusiasmo e la sua concretezza. Questo è quanto ha dimostrato lui, non solo ha dimostrato di avere, ma ha dimostrato di saperlo trasmettere agli altri, perché uno può avere tutte le qualità che vuoi, ma se non sa trasmetterle agli altri non serve a niente che le abbia lui e basta. Ha trasmesso alla squadra questa sua grande concretezza, questa grande determinazione. L’ho sentito parlare e diceva ai giocatori le stesse cose che dicevo io, è una combinazione, però è la verità perché anch’io dicevo: “Qui c’è gente che ha già vinto, ma è una vita che non vince, ce n’è altra come me e altri giocatori che non ha vinto niente. E una volta che abbiamo dimostrato di avere le qualità di poter vincere e non vinciamo c’è da arrabbiarsi, no?”. Lui è riuscito a trasmettere alla squadra questa grande voglia, questa concretezza e determinazione e quando trasmetti a questi giocatori con grandi qualità tecniche anche queste qualità psicologiche è un bel passo avanti.

    Lippi allenatore nel 2011: sicuro, probabile o difficile?

    Probabile.

    Di una Nazionale o di un club?

    Preferirei di una Nazionale.

    All’estero o in Italia?

    Al 100% all’estero, anzi diciamo al 98%.

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