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Laziomania: il Ciro ferito ferisce i tifosi, ma perché? La vera paura di Immobile
ARABIA - La prima cosa che salta all’occhio nella lunga intervista concessa al Messaggero è l’insistenza di Ciro Immobile sul suo periodo no. Ma quello lo sapevamo: sta andando male, e, come dice lui stesso, se la squadra non gira lui non segna. È il suo grande limite, da sempre. Non è la punta che risolve le partite da solo: Scarpa d’oro, vagonate di gol, ma vale la pena dirlo. È una punta che si giova della squadra, delle azioni create per lui. Di un contesto che lo protegge e lo coccola. Lo ha detto: anche solo il pensiero dei 200 gol da raggiungere per lui potrebbe essere bloccante. La squadra, Sarri in questo devono aiutarlo. La tifoseria, quella dello stadio, ha già detto la sua con striscioni e cori. Parla anche della Nazionale: anche là attacca, ma in realtà non gioca di tutte le commodities che lo rendono un vero bomber, e di fatto non ha mai stupito o trascinato, come gli è sempre successo nelle esperienze in cui non è sentito a suo agio. A suo agio: questa è la chiave, ora Ciro non sembra a suo agio. Con i suoi nuovi infortuni (ci dice che oramai li conosce, sta diventando esperto, ridendo, ma è una cosa che sapevamo), con la sua età, con la sua carriera, con le necessità della squadra. Non è a suo agio. Viene da una stagione complessa, con tanto di orrendo incidente d’auto con le figlie con tanti strascichi legali, e non è a suo agio. Però da qui a tirare fuori l’ Arabia… E mi chiedo perché, proprio ora.
OFFERTE VERE - I meglio informati (anche di me) concordano su un punto: se ci sono stati degli interessamenti, dei flirt che hanno fatto pensare Ciro e il suo cerchio magico famigliare (molto stretto e che non sempre gli dà una mano, vedi certe Stories), vale la pena ricordare a tutti che una vera offerta a Claudio Lotito NON è mai arrivata. Mai. Di fatto stiamo parlando del nulla. Di avvicinamenti. Anche perché Ciro, per la Champions, per la Nazionale, ma pure perché si conosce e sa di cosa ha bisogno, ci avrebbe pensato. Detto tra noi: saremmo tutti curiosi di sapere cosa sarebbe successo con una VERA e REALE offerta in mano. Come è successo a Milinkovic Savic. Ma non è successo. È una linea temporale che non si è mai arrivata. Quindi è una parte di intervista che è metaverso, pura filosofia, vagheggiamenti. Viene da chiedersi allora: perché? Perché tirare fuori tutto questo, continuare a parlare di Arabia?
PERCHE’ CIRO - Ora bisognerebbe chiedersi perché. Perché ora? Il timing non è dovuto solo al suo momento specifico: lo vive da inizio anno. Il timing è dovuto alla sosta. E viene da chiedersi: voleva che la notizia deflagrasse forte? Non sarebbe bello, in questo ambiente che dovrebbe conoscere bene. E viene da chiedersi: perché? Ecco, qui, entrano altre cose. Non vuole sentirsi messo in discussione. Da nessuno. Dal suo allenatore, dal suo presidente, dai suoi tifosi. Mi viene da chiedermi: si riferisce tanto ai tifosi, ma siamo sicuri che siano davvero loro al centro di questa intervista? O ci sono interlocutori a cui non si riferisce, ma che nomina? E altra cosa: gli importa così tanto di 4 insulti social che tanto già sa, già conosce, oppure è solo spaventato? Di come sta, della sua carriera ai suoi ultimi anni, di cosa succederà in futuro? Non è che, in fondo in fondo, alla fine Ciro Immobile ha solo paura di invecchiare, come capita a tantissimi calciatori?
Certo parla, al suo allenatore: il gol e l’assist di Castellanos contro l’Atalanta potrebbero fargli venire strani pensieri. Certo, parla al suo presidente Claudio Lotito: il senatore sarà pure sonnecchiante, ma intanto è sempre presente in Molise, in Senato, e trova anche un bel po’ di tempo per chiudere certe relazioni decennali, alleanze storiche come quella con Igli Tare. Un altro suo figlio. O con Simone Inzaghi. Un altro suo figlio. Essere un figlio putativo per Lotito non è una garanzia di nulla, e il primo a saperlo è Ciro Immobile, che ben sa cosa si muove nel sottobosco di Formello, il centro sportivo della Lazio.
A CHI PARLA IMMOBILE- Come tutti, Ciro parla a molti stakeholder, si direbbe in ambito aziendale. Certo, parla ai tifosi: si è sentito messo in discussione, e questo nel suo ecosistema è insultante. E in parte lo è davvero: alcuni tifosi stentano a riconoscergli il carico di gol e gioia che ci ha regalato, e il suo ruolo leggendario nella storia della Lazio. Alcuni si sono lasciati andare ad insulti beceri, i soliti animali da social. Ma da qui a pretendere fede cieca da parte del laziale medio, mediamente razionale e con buone diottrie, ce ne passa. Il calcio è bello anche perché ogni partita vive di mille partite, e in ogni partita si può mettere in discussione la propria vita, le proprie scelte calcistiche, la propria storia, gli dei, il mondo intero, l’arbitro, i calciatori avversari e perfino la leggenda Ciro Immobile. Non è lesa maestà. È il calcio. È insultante per un tifoso, in nome delle ferite di Ciro Immobile e della sua attuale iper-sensibilitá, dopo tutti questi anni di Lazio sentir parlare di Arabia, pavoneggiarsi per offerte mai ricevute (così dicono i meglio informati) o pretendere trattamenti da superstar, o da sempiterno dio olimpico. È insultante continuare a dire che forse la scelta di rimanere alla Lazio è stata sbagliata: pensarlo può essere umano, da umano ferito, ma dirlo non al cerchio magico, non al bar, ma ad un quotidiano nazionale è quasi vilipendio di quella maglia, quella storia e quel club che ha contribuito a migliorare, con cui ha costruito la sua leggenda, di cui è già negli annali. Attenzione: molti giocatori, sul finale della carriera, hanno davanti questa scelta. Possono farsi ricordare per quello che hanno costruito, per la loro Legacy, per la leggenda. O possono invecchiare male, peggiorando i propri limiti, diventando dei signori biliosi, che parlano solo del passato e rinfacciano, e arrivano quasi a mettere in dubbio la Lazio. E questo non se lo può permettere nessuno, nemmeno Ciro Immobile. Molte leggende, anche più grandi di lui, sono state prese a pesci in faccia dalla sorte, dai tifosi, dai presidenti, in maniera decisamente peggiore. Eppure da qui si vede lo stile: si può fare come i Maldini, o come i Totti. Le linee temporali sono diverse, gli stili pure. L'amore per il giocatore resta eterno. Il rispetto su come gestisce la sua leggenda, il suo finale, le sue esternazioni, la sua comunicazione, insomma il mondo fuori dal campo, su come gestisce l'ambiente, su come lo ama e lo rispetta, cambia tantissimo. Si può uscire di scena male, o bene. Litigando, diventando un problema. Si può uscire di scena andandosene urlando in Arabia. Si può decidere di rimanere una leggenda per sempre, senza colpi di coda, brutti finali, occhiatacce, allusioni, ripensamenti. A Ciro la scelta, mentre noi, che magari ne abbiamo solo criticato qualche prestazione, che magari lo consideriamo noi sì, davvero, uno di famiglia, ancora ci chiediamo perché questa intervista.