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    I calcoli di Pallotta e la farsa Totti: i tifosi della Roma non ne possono più

    I calcoli di Pallotta e la farsa Totti: i tifosi della Roma non ne possono più

    • Paolo Franci

    E ora giocatela con l'Inter senza De Rossi, Dzeko Pellegrini, ed El Shaarawy.  A spanne e mettendo nel mucchio pochi altri - da Olsen a Manolas - il miglior prodotto interno del povero Di Francesco. Sì, sì, loro non avranno il Ninja, mortificato dalla sostituzione a Londra per evidente ritardo di condizione, ma certo è che l'Inter del "nemico" Spalletti fa un po' più paura. E toccherà ancora alla Città dei Ragazzi, quella che avrebbe dovuto far risplendere una Roma nuova, secondo i piani di Monchi in grado di cambiare pelle e futuro. E invece, siamo in una città - sponda romanista - spaccata, esacerbata, delusa. E i fischi della notte del Real, quando la Roma per altrui meriti nell'occasione, s'è presa la qualificazione agli ottavi, ne sono insindacabile testimonianza e amara sentenza.


    La gran parte della tifoseria non ne può più. E raccontargli la favola dei milioni necessari che servono per costruire il futuro non funziona più. Perché la Roma che vende Strootman al 26 agosto e ancora prima aveva mollato Dzeko a gennaio - senza il quale probabilmente la Roma sarebbe finita fuori dai radar che contano - ha rappresentato il punto di non ritorno. E alla fine, ascoltando qualche tifoso, irritano anche le manifestazioni tipo l'ingresso di Totti nella Hall of Fame romanista (salvaguardando lo stesso Totti eh), celebrato prima della notte con il Real Madrid. Perché se come club non vinci mai, quel pomposo “Hall of Fame” assume contorni farseschi e pure un po' pacchiani. Nel calcio, se non vinci, non c'è “fame”, detto all'inglese naturalmente, ma solo fama, rigorosamente in italiano.

    Certo, poi ci sono presidenti che evidentemente la pensano come Pallotta - ritenuto con Monchi il maggior responsabile (ma va?) dell'attuale disastro in campionato da un sondaggio di un grande quotidiano - e ti sbattono in faccia cose tipoMeglio tre anni in Champions che uno scudetto”, come ha fatto il numero uno del Milan, Scaroni. E' il calcio dei costi e dei ricavi infarcito di insopportabili anglismi economico-finanziari: benchmark, stakeholder, commodity, hedging, range, partnership. E' inevitabile, certo, ma se i tifosi ti fischiano quando centri gli ottavi di Champions - obiettivo più prestigioso ancora se sei con un club di medio valore e a zero emissione di trofei come la Roma americana – sarà il caso di interrogarsi su quello che resta il maggior patrimonio delle società: i tifosi che spendono per lo stadio e, soprattutto, la vitale tv. Quelli che, secondo Kolarov, dovrebbero tifare e stare zitti perché non capiscono nulla pur pagandogli il suo stipendiuccio milionario.

    E si torna all'Inter e alla Città dei Ragazzi. Toccherà più o meno a quelli che hanno giocato be contro il Real e forse l'avrebbero anche spuntata se un turchetto (Under) e un colosso argentino (Fazio) non avessero fatto quei due scarabocchi su un affresco niente male, pur contro il peggior Real che ricordi. Si dice che questi ragazzini non abbiano un'anima da Roma. Che non ci mettano il cuore ma solo sprazzi di talento, che abbiano in mente solo il futuro, magari a Manchester, Monaco o Barcellona. Ma se trasmettiamo loro il calcio degli anglicismi, se gli spieghiamo che un calciatore su un foglio di excel è una variabile non indispensabile se c'è da far quattrini, come si può chiedergli di avere un'anima? Come si può impedire che si sentano di passaggio in un club come la Roma dove tutti sono di passaggio? Come si possono convincere di far parte di un progetto se quel progetto non c'è, se non nelle colonne dei costi e dei ricavi? Ma forse, alla fine, Scaroni convincerà anche me: meglio tre qualificazioni in Champions che uno scudetto. E chissà, magari un domani i tifosi festeggeranno non le vittorie, ma i bilanci davanti alla Consob, o alla banca sotto casa. Intonando cori su management, budget, covered bonds e trading. Hai visto mai?

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